Tredici. Sono le partite che rimangono da giocare al West Ham in questa Premier League.
Trentanove. I punti a disposizione dei londinesi per continuare a sperare in una qualificazione per l’Europa League del prossimo anno.
Sette. I punti raccolti dagli Hammers negli ultimi due mesi, vale a dire dalla vittoria sul Leicester del 20 dicembre scorso.
Cos’è successo alla macchina guidata da Sam Allardyce da quel successo sui Tigers? Come spiegarsi una flessione tanto drastica dopo la miglior partenza in campionato da trent’anni a questa parte? La risposta non è sicuramente univoca e va ricercata nel complesso intreccio di diversi fattori: gli infortuni sicuramente hanno avuto il loro impatto, da quello occorso ad Andy Carroll nello scorso turno infrasettimanale contro il Southampton e che lo terrà fuori dai giochi per il resto della stagione agli acciacchi dei vari Reid, Collins, Demel, Noble e Sakho, che hanno spesso impedito a Big Sam di avere a disposizione il miglior 11 da schierare.
Gli impegni della Coppa d’Africa, che se da una parte hanno tenuto lontano da Upton Park Cheikhou Kouyate convocato dal Senegal, dall’altra hanno destabilizzato l’ambiente per l’annosa questione riguardante Diafra Sakho e la sua rinuncia all’impegno con la nazionale, costata al West Ham una sanzione anche in termini prettamente economici (71.000£ di multa per aver schierato l’attaccante nel match di FA Cup con il Bristol City, pur essendo stato dichiarato indisponibile per la partecipazione con il Senegal alla Coppa d’Africa a causa di un presunto infortunio alla schiena).
Ma non finisce qui, perché ad un occhio attento non sarà sicuramente sfuggito il calo di condizione fisica che dall’inizio del nuovo anno ha impedito agli Irons di esprimere quel calcio tutto energia e, a tratti, qualità che aveva fatto ricredere molti tifosi sul cambio di approccio tattico da parte di Allardyce nei primi mesi di campionato; difficile interpretare anche la discontinuità che il manager ex Blackburn e Newcastle ha dimostrato nella scelta degli interpreti di un centrocampo che rappresenta la vera forza di questo West Ham.
Proprio da qui vogliamo partire per un’analisi tattica del periodo nero degli Hammers, proponendo varie soluzioni che possano fungere da panacea a tutti i mali che stanno affliggendo da fine dicembre la squadra di East London e che hanno raggiunto la massima espressione nella debacle del The Hawthorns di sabato scorso.
Prendiamo le mosse da un grafico che illustra le zone d’azione preferite e lo stile di gioco messo in pratica dal West Ham nel corso della stagione sin qui giocata.
Come messo in evidenza dall’immagine qui sopra, il piano-partita degli Hammers predilige solitamente un gioco ragionato e brevilineo messo in pratica soprattutto nel cuore del centrocampo. Non importa se a rombo, a diamante, se a 4 o 5 giocatori, sulla metà campo il West Ham di quest’anno ha a disposizione quantità e qualità, garantita soprattutto dagli innesti provenienti dall’ultimo mercato estivo. Alex Song, Cheikhou Kouyaté e Morgan Amalfitano hanno permesso ad Allardyce di mettere in pratica uno stile di gioco assolutamente nuovo dalle parti di Upton Park nel primo scorcio di campionato, fatto di giocate nello stretto, sovrapposizioni dei terzini e meno lanci lunghi.
Ecco, proprio sul tema delle “long balls”dobbiamo soffermarci un momento. Molti dei supporters si erano illusi, fino a dicembre, di essere finalmente giunti ad una svolta tattica nelle trame di gioco di Big Sam. L’allenatore che li aveva abituati ad una visione monotematica del calcio, fatta di passaggi lunghi per i centravanti di peso, sembrava aver definitivamente voltato pagina aprendo i propri orizzonti ad un gioco più spettacolare e piacevole da vedere.
Si erano illusi per l’appunto. Perché in coincidenza del ritorno al calcio giocato di Andy Carroll a fine novembre, Allardyce ha deciso di distorcere quanto di buono creato fino a quel momento per rimodellare la sua squadra in base alle misure e alle caratteristiche del proprio pupillo piuttosto che aiutare la transizione di Carroll verso un nuovo stile di gioco.
Il risultato? 5 goal dalla testa dell’ex-Liverpool, ma la contemporanea crisi d’identità di una delle coppie d’attacco più prolifiche e sorprendenti dei primi mesi di Premier League, quella formata da Sakho (2 goal in campionato dall’8 novembre, dopo averne segnati 6 in poco più di due mesi) e Valencia (il cui ultimo centro in Premier risale al 1 novembre nel pareggio 2-2 in casa dello Stoke City).
Ma i problemi non si limitano al solo reparto offensivo e le cause non vanno esclusivamente ricercate nel ritorno sul campo di Carroll. Il West Ham sta lentamente ricadendo nell’inefficienza tattica dimostrata negli ultimi anni, e buona parte del problema è rappresentata da un centrocampo che, come già detto in precedenza, pecca di continuità nelle scelte dell’allenatore.
7 varianti diverse nelle ultime 8 uscite e 7 giocatori ruotati su 3 moduli differenti: 4-3-3, 4-4-2 a rombo o 4-5-1. Ma soprattutto, una fiducia spropositata riposta nelle capacità di Kevin Nolan, capitano del club dal 2011 e favorito di Big Sam dai tempi della loro esperienza al Newcastle. Sono racchiusi qui, almeno a mio modo di vedere, i più recenti problemi del West Ham.
Effettivamente, l’apporto dato da Nolan alla causa claret and blue in questo campionato, se non in termini di leadership all’interno dello spogliatoio, si è notevolmente ridotto sul campo scaricandosi negativamente sui meccanismi dei compagni di reparto. Dal momento che la sua qualità migliore è quella di essere uno scorer, un centrocampista da 29 goal nelle ultime tre annate, la sola rete segnata nel 2-1 al WBA in questa stagione sta a lì a testimoniare tutte le difficoltà incontrate dal numero 17.
E allora perché non provare a mischiare nuovamente le carte in tavola? Magari schierando un centrocampo a quattro con il regista singolo, le ali “camuffate” per la sovrapposizione dei terzini e il trequartista puro alle spalle di Sakho e Valencia? Guarda caso proprio quel modulo che fino al ritorno di Nolan dall’infortunio a fine novembre, aveva permesso agli Hammers di arrivare a sognare addirittura un posto per la Champions League.
Con questo non voglio riporre tutte le responsabilità sulle spalle di un singolo giocatore, ma appare chiaro come le scelte di Allardyce – vedi le sopracitate inclinazioni verso Carroll e Nolan, ma anche il brutto episodio dell’affaire-Zarate – siano spesso dettate non da qualsivoglia colpo di genio manageriale, bensì da proprie convinzioni inamovibili, che in questo momento stanno tutte uscendo allo scoperto dimostrando una certa contraddittorietà e soprattutto controproduttività.
Il rimedio definitivo per tornare a vedere la luce alla fine del tunnel ovviamente non esiste, ma la soluzione del rebus potrebbe passare dalla considerazione di diverse opzioni. Per esempio, quella di tornare a valorizzare le caratteristiche dei propri attaccanti. Questo sarebbe possibile, come spiegato in precedenza, solo attraverso una nuova rivisitazione dello stile di gioco e un ritorno permanente al modulo a rombo, con Song e Noble alternati sulla mediana (il primo utilizzato nei match dove è richiesta maggiore copertura e meno qualità in fase di impostazione, il secondo nelle gare con spazi più ampi per esaltarne le qualità di regista), Kouyaté, Amalfitano e Nolan ad agire come interni per dare slancio alle cavalcate di Cresswell e Jenkinson dalle retrovie – due dei terzini migliori di questa Premier – e Downing impiegato da numero 10, dove è lasciato esprimere al massimo tutte le proprie potenzialità – e non da interno sinistro, dove la sua creatività e mobilità risultano limitate. Il nativo di Middlesbrough infatti rende di più quando ha la possibilità di agire con ampi spazi intorno a lui, restituendo a tutta la manovra degli Hammers più fluidità, rapidità e dinamismo.
Adesso tutto è rimesso nelle mani di Allardyce. Fallito l’obiettivo dell’FA Cup, a Big Sam non rimane altro che escogitare un nuovo piano per riprendere la rincorsa al treno dell’Europa. Per il bene del proprio futuro e di quello del suo (futuro?) club.