Si è parlato tanto, in questo periodo del Barcellona. Se ne è parlato per via della sanzione che fermerà il mercato dei catalani per un anno, a causa di manovre scorrette in sede di trasferimento di giovani promesse, con annesso terremoto societario che ha fatto uscire dai ranghi Zubizarreta e Puyol. E se ne è parlato soprattutto per un rendimento, che, a fronte di spese milionarie e di grandi fuoriclasse, non è mai stato del tutto convincente, specie se comparato a quello rivali del Real Madrid, che hanno macinato gioco e punti tra Champions League e Liga e che hanno avuto la meglio nello scontro diretto, issandosi in testa. Tante le problematiche che affliggono la squadra di Luis Enrique. Già Luis Enrique.
Satrapo blaugrana, figlio de “La Masia” chiamato per provare a ripristinare quella che più di un’elaborata dottrina tattica, era proprio una mentalità corporativa, improntata da Pep Guardiola, la cui partenza ha rappresentato un trauma mai del tutto elaborato dall’ambiente del Nou Camp. Il tecnico asturiano, che all’inizio ha provato a dare un impronta che fosse più vicina al vecchio corso, basato sull’“educacion futbolistica” fatta di Tiki-Taka e tanti giovani canterani (su tutti Munir e Sandro) si è poi ritrovato a dover gestire le diverse problematiche legate alla squadra e all’ambiente.
In primis il dover disegnare una squadra congruente alle sue idee o quantomeno efficace nel momento in cui è rientrato Suarez, tanto fenomenale quanto estraneo al Tiki-Taka, dovendo fronteggiare allo stesso tempo i problemi di una retroguardia che, al netto di Charlie Puyol, è apparsa sempre fragile, e che in sede di mercato è stata puntellata male, quest’anno come non mai (leggi: 30 milioni spesi per Mathieu e Vermaelen, peggio dell’acquisto di Chygrynski). E soprattutto il dover fronteggiare le pressioni che derivano dall’allenare il Barcellona oggi, da quelle di una platea ben abituata e mai sazia(a differenza dei giocatori) a quelle date dagli occhi di una stampa di settore che al Barça e alle sue dinamiche riserva inevitabilmente attenzioni morbose.
Specie all’uomo di riferimento, quel Lionel Messi a cui la storia, il talento e il record, non bastano per essere immuni dal mirino di una critica che fino a qualche tempo fa lo esaltava senza se e senza ma. Proprio di una spaccatura insanabile tra i due si è parlato in questi giorni, una speculazione che ha dato adito a diverse voci, alcune vedevano l’esonero di Lucho imminente, altre davano come seriamente possibile, la partenza di Messi da Barcellona, fatto abbastanza inusuale. E’ in questo clima caotico che si è arrivati alla sfida contro l’Atletico Madrid, una sfida fondamentale per delineare chi, tra le due, avesse le carte in regola per poter insidiare il Real Madrid nella corsa al titolo.
A spuntarla è stato il Barcelona, grazie ad un Messi ispiratissimo. Certamente una vittoria non risolve le problematiche di natura tecnica e strutturale generate da scelte contraddittorie fatte in sede di quel mercato nel quale toccherà stare fermi per due giri. Un successo di questo tipo può però rappresentare un nuovo inizio per una squadra che per tornare a far paura, necessita, prima ancora di giocatori talentuosi ed esosi, di trovare un nuovo equilibrio ed una nuova immagine di se. Un immagine che inevitabilmente deve passare sia dai piedi di Messi, che dalle linee guida di Luis Enrique. Senza dimenticare un passato su cui però non bisogna fossilizzarsi.