“Noi samurai siamo come il vento che passa veloce sulla terra, ma la terra rimane e appartiene ai contadini”.
I Sette Samurai, Akira Kurosawa 1954
“Questo giro del mondo mi serve per capire come, nel mio piccolo, posso essere utile al mondo”. Così, in una intervista a La Gazzetta del 2008, diceva quello che forse è stato il più grande talento di calcio giapponese, Hidetoshi Nakata. Nato nella regione di Chubu, a Yamanashi, nel 1977, Hidetoshi mostra doti rare nel calcio asiatico, venendo già da subito inserito nelle squadre giovanili locali come centrocampista offensivo. Lui, faccia da bravo ragazzo che, come sosteneva Maradona “se tutti i giapponesi dribblassero come lui saremmo nei guai” inizia la sua carriera professionistica a partire da 18, quando entra nel club del Bellamare Hiratsuka. Qui diventa un piccolo re Mida, ogni pallone che tocca diventa oro. Nel 1996 infatti, grazie ad un suo gol, la squadra conquista la Coppa delle Coppe Asiatica (2-1 all’irachena Al-Talaba).
Le sue incursioni in area sono da puro attaccante ma lui ci sguazza in mezzo al campo, eccome. Con una offerta super del patron Gaucci (3,5 miliardi di dollari) viene acquistato dal Perugia nell’estate del 1998, pochi mesi dopo la sua prima avventura ad un Mondiale di calcio con la nazionale giapponese, quello di Francia ’98, dove il Giappone però delude, uscendo con 0 punti al primo girone. A Perugia diventa una specie di imperatore. Tutti i media sono rivolti su di lui, pellegrinaggi asiatici partono dal Giappone per approdare nella città del Grifone, come se Perugia fosse la nuova Canterbury del calcio. Al primo anno in Italia, grazie ai suoi 10 gol, oltre ad essere il capocannoniere della squadra, riesce a salvare il club da una quasi retrocessione in B. I giornali parlano di lui come un campione.
In patria conquista il premio come Miglior Calciatore Asiatico e l’Umbria si tramuta in una regione satellite del Sol Levante. Kurosawa biancorosso, shogun che al posto della katana ha il pallone, Nakata vive per un anno da assoluto signore, prima di approdare, l’anno successivo, alla calda piazza romana. Riserva di Totti, Nakata gioca poche gare ma quelle in cui partecipa si fanno sentire eccome. Grazie ad un suo gol ed un suo assist al compagno Montella, la Roma di Capello pareggia lo scontro diretto con la Juventus di Ancelotti e si proietta con forza al suo terzo Scudetto, quello del 2001. I 30 miliardi di lire spesi da Sensi per farlo entrare nella rosa di Capello sono risultati ben spesi. A Roma resta un anno e nell’estate del 2001, dopo aver perso la finale di Confederations Cup in Giappone contro la Francia, entra a far parte di un altro club italiano, quello del Parma. Qui il suo soggiorno è duraturo, circa tre anni, fra alti e bassi, di sicuro il suo gioco pimpante è di livello elevato. Col Parma di “Gedeone” Carmignani vince la finale di Coppa Italia del 2002 contro la Juventus di Lippi realizzando l’importante gol a Torino del 1-2 al 92° che portò, con il risultato di 1-0 al ritorno al Tardini il terzo titolo italiano per i Ducali.
In estate arriva un altro mondiale, quello giocato in Corea Del Sud e nel suo Giappone. Con 7 punti straordinari il Giappone passa il bollente Girone H contro Belgio, Russia e Giamaica ed accede agli ottavi, dove però perderà 1-0 con la sorpresa Turchia. Le altre due stagioni col Parma lo vedono alquanto discontinuo ma i riflettori sono sempre su di lui. Con il passaggio al Bologna di Mazzone prima e alla Fiorentina poi si conclude nel 2005 la sua lunga esperienza italiana per andare a giocare la stagione successiva al Bolton, in Premier. L’ultimo mondiale di Nakata, il terzo, gli da la gioia di giocare con la fascia di capitano sebbene il Giappone non riuscirà a passare il primo turno. Incredibilmente, all’età di 29 anni decide di smettere col calcio. Come sostiene lui stesso è stato costretto a girare troppi hotel ed aeroporti, ora vorrebbe viaggiare da solo. Inizia infatti dal 2006 un lungo cammino che lo porterà a girare il Medio Oriente, l’Africa e il Sud America, guardando con gli occhi e non attraverso la tv le sofferenze dei popoli più poveri. “Se si viaggiasse di più ci sarebbero meno pregiudizi idioti”, dice Nakata a La Gazzetta.
Il suo viaggio spirituale nel mondo lo cambia, non vuole farsi vedere in giro come un calciatore famoso ma come una semplice persona che però afferma che, pur avendo smesso, non lascerà mai il calcio. Nel 2008 la sua partita di addio fra Giappone ed All Stars allenata per l’occasione da Mourinho è l’ultimo sussulto di Nakata giocatore, forse il più grande Samurai che abbiamo avuto nel mondo del Pallone, un mondo fatto di soldi e spettacolo che lascia poco alla spiritualità, cosa che, lo shogun eremita, possedeva dentro il petto della sua scintillante Yoroi, l’armatura.