“L’inizio è la parte più importante di un lavoro”.
Platone, La Repubblica
“Vorrei morire nel giorno in cui il Corinthians vince il titolo”. Ed è proprio quel 4 dicembre del 2011 che il grande Socrates ci ha lasciato, proprio quando il suo Corinthians ha conquistato il suo quinto campionato brasiliano. Aveva già previsto tutto fin dal 1983 Socrates. Anzi il suo nome vero era Socrates Brasileiro de Souza Vieira de Oliveira, nome infinito per un giocatore dalla vita piena zeppa di avventure. Nato a Belem, in Brasile, nel 1954 il padre, appassionato di letteratura greca gli affibbiò quel nome leggendo le opere di Platone che proprio nel filosofo Socrate hanno il loro cardine. In un’atmosfera così colta e filosofica il nostro Socrates non poteva che crescere bene. Frequentò gli studi di medicina, laureandosi a pieni voti ma la professione di medico non fu la primissima sua passione. La sua vera febbre era quella calcistica. Cominciò a giocare nelle file del Botafogo del Ribeirao Preto, la città dove viveva con la famiglia, vestendo i panni di centrocampista e cominciando a far parlare di sé per tutto il Brasile una volta giunto nel 1978 all’importante club di San Paolo del Corinthians. Qui iniziò la leggenda di Socrates fatta di raffinati tocchi di palla, una visione di gioco rara per un calciatore della sua età nonché un fiuto del gol da vera punta. Al primo anno conquistò subito un campionato paulista, seppur non da protagonista in campo. Fu dall’anno dopo, dal 1980 che Socrates incantò i tifosi dei Moschettieri corinthiani. I gol furono molti e le giocate sopraffine un attributo indistinguibile.
La nazionale brasiliana non può far finta di nulla, lo convoca di peso per i Mondiali di Spagna 1982 addirittura da capitano, in uno squadrone straordinario composto da fenomeni quali Zico o Falcao dei quali dirà, tempo dopo su La Repubblica, che a differenza sua erano più attaccati ai soldi che al calcio. Il suo incredibile Brasile però farà i conti con un certo Paolo Rossi in quella che fu la più importante gara della sua carriera. Nel girone C dei quarti di finale, dopo aver battuto 3-1 l’Argentina di Maradona, Socrates e compagni, con l’idea già di passare in semifinale, affrontano una irripetibile Italia. 3-2 il risultato conclusivo con tripletta di Rossi. A Socrates il merito comunque di aver realizzato il gol del pareggio dopo aver battuto Zoff sul suo palo. Sicuramente troppo spocchiosi, i verdeoro lasciano la Spagna con l’umiliazione di aver perduto un possibile mondiale visto che, con la Germania erano certamente i favoriti alla vittoria della coppa. Il capitano brasiliano, O’ Magrao, come lo chiamavano i tifosi sudamericani non era solo un condottiero nel calcio ma anche fuori.
A partire dal 1982 infatti si distinse per aver fondato nello spogliatoio del Corinthians, assieme ai suoi compagni Casagrande e Wladimir, sotto la presidenza Pires, quella che fu definita “Democrazia Corinthiana”, una vera e propria associazione con tanto di voti che stabiliva le tattiche in campo e la scelta dei giocatori da inserire in gara, una specie di Comune o di un Soviet del calcio, non a caso lui è sempre stato simpatizzante di Sinistra e ciò ne garantì una idea alquanto rivoluzionaria per lo sport. Altri due campionati paulisti nel 1982 e nel 1983, anno quest’ultimo nel quale il suo Brasile perse la finale di Copa America con l’Uruguay del grande Francescoli (0-2 e 1-1 i risultati della doppia finale). L’ultimo anno con la maglia dei moschettieri portò a Socrates in totale una quota di 172 reti in 6 anni al Corinthians, niente male per un centrocampista. L’anno successivo, per 5,3 miliardi di lire, O Magrao diventò Il Dottore una volta giunto a Firenze a vestire la prestigiosa maglia fiorentina. Il suo sogno era quella di restare in Italia per approfondire le specializzazioni in medicina e in più giocare in quello che considerava il campionato più bello, la Serie A. Affiancato da grandi elementi quali Antognoni e Massaro, Il Dottore però non si trovò a suo agio nel mondo fiorentino e decise di terminare la sua avventura in Italia già dall’estate successiva, ritornando in Brasile, questa volta al Flamengo. Intanto alle porte ci fu un altro mondiale, quello di Messico ’86.
Con bandane sul capo caratterizzate da frasi rivoluzionari indossate durante le partite per protesta alla FIFA, il nostro Socrates non riuscì a sfondare neppure qui, fermandosi ai calci di rigore contro la Francia di Platini. E’ il tramonto calcistico del Dottore che conclude due anni dopo la sua incredibile carriera da colonnello del calcio col Santos nel 1988. “E’ stato il giocatore più intelligente del calcio” affermò Pelè che lo inserì nella lista dei giocatori più importanti del secolo scorso. Tornò alla medicina, la sua seconda passione, un ritorno all’età studentesca nelle scuole di Ribeirao Preto. Fu un buon medico con gli altri ma non per se stesso. L’abuso di alcolici lo uccise a soli 57 anni dopo le complicazioni in seguito ad una forte cirrosi epatica, proprio quando il Corinthians alzava il titolo brasiliano, la morte che ha sempre desiderato. C’è chi sogna di morire nel sonno, c’è chi sogna di morire vincendo.
Come Socrates.