BENFICA GUTTMANN
Santos, Milan, Inter, Manchester United, Anderlecht, PSV, ancora Milan, e infine Chelsea. Sono otto le finali internazionali consecutive perse dal Benfica dal 1962 a oggi. È la maledizione di Bèla Guttmann, il tecnico che, dopo aver guidato i lusitani alla conquista di due Coppe dei Campioni, se ne andò via sbattendo la porta, e dichiarò: “Il Benfica non vincerà mai più nessuna Coppa senza di me”.
Bèla Guttmann, classe1899, laureato in psicologia, ungherese, naturalizzato austriaco da una famiglia di origini ebraiche, non era un allenatore comune. Aveva girato il mondo, ed era per il calcio di quei tempi una specie di santone, molto più che un Herrera o un Mourinho ante-litteram. La sua storia, più che quella di uno sportivo, potrebbe essere quella di un personaggio di un romanzo di Hemingway, o di Louis Ferdinand Cèline. Aveva vissuto le gioie e i dolori delle grandi migrazioni di quei tempi, si era trasferito giovane negli Stati Uniti, dove, oltre a giocare a calcio, usava insegnare danza per sopravvivere, e finì dopo alcune improbabili speculazioni borsitiche travolto dal crollo di Wall Street nel 1929. Ritrovandosi in miseria, e tornato in Europa, visse le tragedie della Guerra e dell’Olocausto, scampando morte e campi di concentramento, e disperdendo fino al 1945 le sue tracce per l’Europa e per il Mondo. Rifugiatosi in Brasile, tornò in Europa alla fine del conflitto e riprese ad allenare, incominciando una lunga carriera che nel 1959 lo portò al Benfica.
Il suo era una stile di gioco solido, costruito in anni e anni di vagabondaggio nella mitteleuropa, quando arrivò al Benfica lo unì alla tipica spregiudicatezza delle squadre latine e formò una squadra leggendaria, capace di vincere due Coppe dei Campioni di fila e di essere la prima in grado a sconfiggere il mitico Real Madrid di Puskás, Di Stefano, e compagni. Difficile spiegare come una squadra del genere in futuro non sia più riuscita a sollevare neanche un trofeo oltre i confini nazionali, difficile soprattutto spiegarlo se si considerano le numerosissime occasioni avute dai portoghesi fino a oggi. Verrebbe da pensare che nella storia del calcio è pieno di squadre che alle spalle hanno collezionato tanti insuccessi clamorosi, ma il modo in cui al Benfica non riesce più di rientrare nelle èlite del calcio europeo da sessant’anni è un qualcosa che sarebbe spiegabile solo con una maledizione, la maledizione di Guttmann, appunto.
Dall’ 1988 al 1990 arriva due volte in finale di Coppa dei Campioni, perdendo ai rigori la prima contro il PSV e la seconda per 1-0 contro il Milan. Nemmeno Eusebio, andato a pregare sulla tomba dell’ex allenatore defunto prima della partita, riuscì ad allontanare la sorte infausta.
Ma, andando a scavare neanche troppo, ci si accorge che il Benfica è da sempre una squadra attorno alla quale aleggia un certo alone di mistero e di sventura. Nel 1949, fu l’ultima squadra a giocare contro Il Grande Torino, che, come è noto, durante il volo aereo di ritorno si schiantò a Superga. Nel 2003, la squadra venne colta da una tragedia sportiva che vide il giocatore Miklós Fehér (ungherese come Guttmann) morire di infarto sul campo di calcio durante una partita di campionato. Insomma, gli intrecci si moltiplicano, tanto che la maledizione del Benfica pare essere molto di più che qualcosa legato a un singolo uomo. Anzi, molto non sanno che Guttmann al Benfica ci tornò, anche se per una sola stagione, 1965-66, ma non riuscì comunque a rivincere la Coppa dei Campioni. La storia tormentata e romanzesca dell’allenatore ungherese è solo una delle mille che accompagnano O Glorioso, ma certo, quella che colpisce di più.
Sono passati 51 anni ora da quel momento, e alla maledizione del Santone pare essersene aggiunta un’altra, quella dei minuti di recupero, dato che sia nella sfida decisiva di campionato col Porto di soli pochi giorni fa, e sia nella finale di Europa League, sono risultati entrambe le volte fatali. Insomma, Jorge Jesus, a dispetto del nome, pare non essere baciato da nessuna benedizione divina. Per scacciare il sortilegio del diavolo ungherese, che intanto sonnecchia e se la ridacchia nella tomba della sua amata Vienna, ci vorrà ben altro.
Sperando non si tratti di aspettare altro mezzo secolo.