“L’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca”.
Friedrich Schiller
“Si preoccupava più della squadra che di sé stesso, un fenomeno”. Queste sono le parole del Pibe Diego Armando Maradona riguardo ad Osvaldo Ardiles, detto Ossie, classe 1952, uno dei grandi centrocampisti della storia del calcio. Lui, argentino di nascita ma giaguaro di professione, agguantava i palloni in campo come fossero caramelle e niente lo preoccupava più del bene dei suoi compagni. Nato a Cordoba, giovanissimo espresse il suo talento in tre squadre giovanili quali l’Instituto, il Belgrano e lo Huracan di Buenos Aires, fra il ’69 e il ’77 dove le sue qualità atletiche, i suoi dribbling e i suoi assist precisi ai compagni, costrinsero il ct della nazionale argentina Cesar Luis Menotti a convocarlo per i Mondiali Argentina ’78.
Girone di ferro quello per Ossie e i suoi compagni di nazionale fra i quali si distinguono Bertoni, Kempes e Passerella per le qualità agonistiche, un girone che vedeva l’Argentina scontrarsi con Ungheria, Francia e la nostra Italia. Dopo aver sconfitto gli ungheresi e i francesi (con un giovanissimo Platini), Ardiles vide la sua squadra perdere in campo contro una fortissima Italia (per molti più bella come coralità di gioco di quella di Spagna ’82) con il famoso gol di Bettega dopo un’azione da urlo. Ma l’Argentina superò comunque il girone al secondo posto, trovando la strada spianata al successo mondiale in casa propria. Nel girone di semifinale furono Brasile, Perù e Polonia a sbarrare la strada alla squadra di Menotti ma le verticalizzazioni micidiali di Ardiles bucavano le difese avversarie con grande facilità e grazie ai gol di Kempes, attaccante prolifico e rapinatore d’area, portarono l’Argentina in finale contro l’Olanda di Happel.
Il 25 giugno 1978 ecco che Ossie riceve il regalo più bello che un giocatore di calcio sogna fin da bambino: la Coppa del Mondo. Un secco 3 a 1 (vittoria ai supplementari) con un grande Kempes, vero e proprio sforna-gol. Davanti a circa 77.000 spettatori del Monumental di Buenos Aires, Ardiles alza la coppa più importante e prestigiosa iniziando da quel giorno la sua vera carriera calcistica. E’ il Tottenham che lo chiama nello stesso anno, formazione inglese in cui militò per ben 9 stagioni, diventando probabilmente la sua squadra di club più importante della sua carriera. Con la maglia bianco-blu degli Spurs guidati da Burkinshaw, Ardiles conquista il suo primo ed unico trofeo europeo, la Coppa Uefa nel 1984, vinta con l’Anderlecht. Ossie non giocò la finale di andata (finita 1-1) ma ebbe il piacere di disputare dal 76° minuto in poi quella di ritorno, dopo essere subentrato a Miller.
Il ritorno finì 5-4 dopo i calci di rigore ed Ardiles e compagni alzarono il prestigioso trofeo (un peccato pensare a come la poi Europa League si sia afflosciata come competizione oggigiorno, competizione di tutto rispetto almeno fino agli anni ’90). La Coppa Uefa ’84 fu il terzo trofeo conquistato da Ardiles a Londra, dopo due FA Cup del 1981 e del 1982 e una Charity Shield ’81 condivisa con l’Aston Villa. Ma che c’è in mezzo a tutti questi successi? Beh, un altro mondiale, quello di Spagna ’82, memorabile per i nostri azzurri, un po’ meno per Ardiles che se pur caratterizzando le sue giocate spettacolari di grinta e voglia di vincere (segnò anche un gol contro l’Ungheria, nel girone 3), non riuscì a trascinare la sua nazionale assieme a gioielli del calibro di Maradona e Bertoni, fermati dai carioca (un Brasile straordinario) e dalla corazzata di Bearzot nel girone dei quarti di finale.
I campioni in carica escono dal Mondiale non nella loro espressione calcistica migliore. Insomma un mondiale da dimenticare per Ardiles. Ma non si può vincere per sempre. Subito dopo il mondiale spagnolo, Ardiles fu ceduto in prestito al Paris St. Germain in cui giocò un anno. Fu un periodo difficile per l’Argentina, appena uscita sconfitta dall’assurdo conflitto delle Falkland con l’Inghilterra, una piccola guerra durata una manciata di mesi per il possesso delle isole dell’Atlantico. Con i dieci anni nel club londinese e la parentesi parigina, Ossie conclude forse la sua carriera più viva e felice. Poi, come la giovenca Io nella mitologia greca, vagò in giro di città in città in cerca di altre vittorie che però non avvennero. Prima nel Blackburn, poi nel QPR, nel Ft.
Lauderdale californiano ed infine, nel suo ultimo anno da calciatore, il ‘91, il ritorno ancora in Inghilterra, sua patria adottiva calcisticamente parlando, con il club dello Swindon Town. Gli anni novanta sono per il veloce Ardiles, un Mercurio argentino o un Flash del calcio, l’apristrada della sua carriera da allenatore in formazioni quali il Newcastle, il suo amato Tottenham e i giapponesi del Shimizu S.Pulse con i quali vinse alcuni trofei nazionali. Il piccolo grande Ossie, 162 cm per circa 60 kg, fugace e leggiadro come Atteone tramutato in cervo o il passero solingo di Leopardi è per la generazione dei ’70 una vera leggenda, uno di quei giocatori che si ricordano facilmente, rimpiangendo il calcio che fu, forse il calcio più bello. Ed è, forse l’unico caso nella storia di questo sport, a mettere d’accordo manti del calcio con gli amanti del cinema.
Eh sì, perché il nostro Ossie, nel 1981 partecipò ad un film divenuto culto per tutti gli appassionati di pellicole, Fuga per la vittoria del buon vecchio John Huston, pellicola che vedeva fra attori di spessore quali Stallone o Caine, altri giocatori memorabili come Pelè o Bobby Moore. Ed impressa nella mente resterà per sempre quel giochetto di tacco con il pallone, lanciandolo per aria e superando l’avversario “nazista” del film, bucando lo schermo del cinema e la porta visiva del grande occhio collettivo che fisserà per sempre il lungo rullo di celluloide che è la storia del calcio.