Hatem Ben Arfa

Nato il 7 marzo, a detta di alcuni che sono comunque molti, è stato il più grande talento di questo ventennio, secondo solo a Messi. Purtroppo, mestamente, è necessario raccontare questa storia con i condizionali perché ha potuto esprimere solo un decimo di quello che valeva. Fin dalla giovanissima età è stato il numero uno indiscusso: era dotato di personalità ed era in grado di ricoprire tutti i ruoli offensivi.
Nato a Clamart, un comune francese nella sperduta periferia sud-ovest di Parigi, si formò nell’élite dei centri di formazione calcistica francese giovanile. Stiamo parlando di Hatem Ben Arfa.
Tra le più conosciute nel mondo per i suoi metodi, l’Istituto Nazionale di Football a Clairefontaine è una delle accademie nazionali in cui la Federazione francese forma giovani calciatori dopo lunghe selezioni. Li formano dal punto di vista tecnico: “Ogni minuto di allenamento senza la palla tra i piedi è un minuto sprecato” diceva André Marelle ex direttore dell’Institut. I giovani sono formati anche dal punto di vista tattico, etico e morale: i ragazzi sono costretti a dimenticarsi della loro età, impegnati a dimostrare di essere i più bravi per non perdere l’opportunità di emergere. Sono abituati fin da subito a rimanere con i piedi per terra: a Clairefontaine si adotta ancora oggi uno stile da caserma secondo lo stile dell’unico allenatore “straniero” del campus Kovacs. Questo rumeno di origini ungare si era ispirato ai centri di addestramento comunisti. La sveglia suona ogni mattina alle 6:30 e i ragazzi vanno a scuola nella vicina Rambouillet.
Ed è in questo contesto che Hatem Ben Arfa rafforza il suo già incredibile talento. Faceva parte della selezione degli ’86, ma lui è un ’87. Chiaramente bisognava accelerare, di talento ne aveva troppo. Solo che a volte finisce per schiacciarti. Ancora oggi, quando si nominano i più celebri calciatori passati da Clairefontaine, tra i quali Henry, Anelka, Gallas, Giroud, Mbappé etc… il nome di Ben Arfa non manca mai. Eppure ha vinto pochissimo e solo in Francia.
“Dopo l’allenamento torni in camera e sei ancora in competizione. Tutti vogliono diventare il migliore. Mentalmente non ti riposi mai” diceva in quel famoso documentario quando era poco più che un adolescente. Il direttore dell’accademia a quel tempo, direttore Claude Dusseau, li aveva messi in guardia anzi tempo: “L’individualismo è il problema principale”. Con lui non era possibile mettersi una felpa diversa per risaltare all’occhio delle telecamere.
La carriera di questo incredibile giocatore è sempre stata zavorrata da un freno a mano: un’immaturità che non gli ha mai permesso di conciliarsi al 100% con squadra e allenatori “È da quando sono piccolo che mi arrabbio velocemente. Adesso mi sono un po’ calmato, ma a volte mi dicono una cosa che qualcun altro prenderebbe bene, solo che io mi arrabbio subito. Non lo so perché, è la vita, sono nato così”.
A Marsiglia, in occasione del suo primo classico di Francia, fu lasciato in panchina. Per affrontare il PSG Deschamps gli preferì Valbuena. Nel secondo tempo si rifiutò di entrare in segno di protesta. E questo dice tutto sulla sua incredibile sicurezza usata purtroppo per scopi sbagliati. Litigò con tutti i suoi principali allenatori all’inizio della sua carriera. Di lui Deschamps disse: “Mette gli allenatori nella merda”. Durante l’Europeo del 2012 litigò anche con Laurent Blanc che gli aveva detto di non rispondere al cellulare nello spogliatoio. “A volte si comportava da stupido”, ha detto Cris, l’ex difensore del Lione: “Quando ci parli lui dice sempre di aver capito e che terrà a mente i tuoi consigli. Il problema è che dieci minuti dopo, appena gli hai dato le spalle, fa il contrario esatto di quello che gli hai appena detto”.
Ma ci ha provato più volte a redimersi, più volte ha pensato a cambiare la sua mentalità.
Ancora giovanissimo, nella sua bella casa di Lione mostrava i libri che aveva collezionato: Kant, Nietsche, Wilde. Invece di friggersi il cervello davanti alla Playstation leggeva questi trattati di filosofia. E conduceva una vita piuttosto semplice pur essendo una vera star all’epoca.
Ma allora perché non si è realizzato? In gioventù era considerato da tutti il numero uno indiscusso: gli stessi Nasri e Benzema, suo compagni a Clairefontaine lo affermavano.
Eppure non è arrivato. Ma perché?
Chissà cosa avrà provato a vedere Benzema sollevare il pallone d’oro. E quando i suoi compagni della nazionale francese hanno sollevato la coppa del mondo nel 2018?
Non aveva solo il dribbling, aveva anche un grandissimo sinistro, potente e preciso, capace di ispirare assist come solo i grandi numeri 10 sanno fare. Eppure abbiamo visto spesso e volentieri il numero 8 sulle sue spalle.
Il bello è che non la passava mai come spesso si vede fare ai grandi talenti del Maghreb. Finte su finte, tunnel, elastici: che spettacolo! E al telecronista che gli chiedeva una spiegazione tecnica dei suoi dribbling gli rispondeva: “L’allenatore me lo permetteva io andavo d’istinto, i miei compagni si fidavano di me“.
È possibile però che il suo spiccato individualismo non gli abbia concesso di sbocciare in grandi squadre. Un’altra questione che gli si può imputare è che si sia affermato solo in Ligue 1. Qualche sprazzo di classe purissima lo lasciò intravedere al Newcastle in realtà e la nostalgia è inevitabile.
Quando si trasferì al Paris Saint Germain, dopo la splendida stagione al Nizza, in conferenza stampa un giornalista gli chiese: “Da quando hai cominciato in Ligue 1 si sente spesso ripetere che con quello che hai nei piedi, con il talento che possiedi potresti far parte dei migliori 5 giocatori al mondo. Adesso che ti ritrovi al PSG, che ha una rosa straordinaria: pensi che questa squadra possa aiutarti a superare questo paletto ed entrare nell’olimpo dei 3 migliori giocatori al mondo?”
Era una domanda con una premessa elaborata che forse avrebbe meritato qualche parola di più. Ma Ben Arfa, laconico, rispose: “Oui, bien sûr”. Tradotto: “Certamente”. E non una parola di più. Che sicurezza!
Sul far del tramonto, ormai giunto al crepuscolo della sua carriera calcistica da professionista e con la luce dell’agonismo sempre più opaca, sogna ancora un gol da antologia in una finale, con Get Lucky a fare da colonna sonora. Ma si tratta solo di un sogno nostalgico.