Carlos Arturo Bacca Ahumada non ha bisogno di presentazioni. È stato l’attaccante cardine del Siviglia di Unai Emery che ha dominato negli ultimi anni in Europa League, e durante il suo biennio al Milan anche i tifosi italiani hanno avuto modo di conoscerlo meglio. Ma le sue prestazioni non hanno convinto sui campi della Serie A e i rossoneri sono stati ben lieti di scaricarlo alla prima opportunità. Per molti è stato un autentico bidone, soprattutto per via deitrenta milioni di euro sborsati dal Milan due estati fa, che ha avuto la sorte di azzeccare un paio di stagioni in Andalusia, e nient’altro. A dirla tutta nemmeno con la nazionale colombiana Carlos Bacca ha mai brillato. Eppure nella Plana Baixa il suo arrivo è stato celebrato come il miglior colpo del mercato estivo. Secondo un sondaggio lanciato da Radio Vila-real, il 95% dei tifosi è soddisfatto del neo-arrivato. Insomma Bacca è stato un grande acquisto o sarà un altro flop? Per scoprirlo andiamo a vedere la sua storia.
Fin da piccolo il legame tra Carlos e il pallone è stato indissolubile. Uno dei tre fratelli maggiori ha tentato la carriera da calciatore, e papà Gilberto ha avuto un passato tra i dilettanti, giocando prima come difensore centrale e poi come portiere dell’Oro Porteño. Quando giocano in strada lui si mette in porta e Carlos tira in porta, ma se non ha tempo da dedicare al figlio, il piccolo Charlie va a giocare con gli altri bambini. Un giorno, uscito di casa alle otto di mattina si presenta a casa solo alle sette di sera, e si deve beccare le sfuriate di mamma Eloísa: per giocare a pallone si è dimenticato di fare colazione e di pranzare, tra un calcio e l’altro aveva avuto il tempo solamente di bere un po’ d’acqua . Nel barrio Norte di Puerto Colombia, cittadina portuale di neanche 50mila abitanti, lo conosco tutti come el Peluca, da quando un professore lo aveva minacciato di tagliarli la folta chioma e lui aveva prontamente risposto di lasciar perdere la sua “parrucca”.
Mentre una delle leggende metropolitane che avvolgono la sua infanzia riguarda il fatto che abbia iniziato a lavorare vendendo il pesce, aneddoto smentito da lui stessoe collegato al fatto che il papà, assieme allo zio, si è guadagnato da vivere nel settore. La verità è che le precarie condizioni della sua famiglia non gli permettono di avere una vita agiata, ma non per questo Carlos ha dato una mano all’azienda di famiglia. I genitori gli ripetono sempre che l’istruzione è la cosa più importante e ci tengono affinché lui finisca gli studi. Anzi, terminate le superiori, ma solo grazie a una borsa di studio, ha la possibilità di iscriversi all’Università presso la Facoltà di Ingegneria Industriale, che però abbandonerà dopo un paio di anni. Intanto le sue ambizioni calcistiche non sembrano trovare terreno fertile. A diciassette anni Juan Manotas Correa, un amico di famiglia, lo porta nel centro sportivo della sua squadra del cuore, l’Atlético Junior di Barranquilla, per un provino. Carlos si mette in mostra: entra nel finale di una partitella e segna tre reti, il giorno dopo fa registrare una doppietta (tra cui una rete direttamente dalla bandierina del calcio d’angolo) e infine un’altra tripletta. Ma non basta. L’allenatore gli dirà di essere sufficientemente coperto nel reparto offensivo e viene rispedito al mittente.