Continua il nostro a tu per tu con Malu Mpasinkatu, che nella seconda parte della sua intervista esclusiva ci ha raccontato per chi tiene maggiormente, spiegandoci anche alcuni dettami organizzativi della competizione che spesso in Europa vengono criticati immotivatamente.
Cerchi di essere sempre obiettivo sulla competizione, ma di dove sei e per chi fai il tifo?
“La Repubblica Democratica del Congo è il mio paese, quindi di conseguenza anche la mia squadra, perché al cuore non si comanda, avendoci fatto anche il direttore sportivo. Mi è dispiaciuto molto perché nella fase a gironi, assieme al Burkina Faso, siamo stati la squadra migliore. Poi nello scontro secco col Ghana abbiamo annullato ciò che di buono era stato fatto. Peccato, perché se nel 2015 eravamo stati una sorpresa assoluta, nel 2017 pensavamo di arrivare quantomeno in semifinale. Adesso bisogna andare a Russia 2018 però!”
Dal punto di vista organizzativo della competizione, la cadenza biennale risulta un po’ troppo “frequente” rispetto ad altre competizioni come il Mondiale o l’Europeo?
“Molte formule potrebbero essere aggiornate però l’Africa è abituata a questa formula, dettata anche a far piacere al popolo. In Africa ci sono vari problemi, ma quando c’è il calcio di mezzo tutto viene azzerato. Adesso che molti giocano in Europa la gente africana avrebbe molta difficoltà a vedere i propri beniamini, quindi fa parte della storia di questo continente e di questa manifestazione e all’africano piace così. Alcune critiche arrivano dall’Europa, soprattutto sul perché si giochi a Gennaio/Febbraio e non a Giugno, come mi chiedono in molti. Il discorso climatico è una bufala, perché in Sudafrica per esempio a Giugno è inverno. E’ un discorso di calendario, perché i campionati incominciano a partire da fine Febbraio/ inizio Marzo. Questo è lo spazio per le nazionali, farlo in un momento diverso sarebbe cambiare i calendari di tutta l’Africa!”
Per le squadre europee, mandare un calciatore alla Coppa d’Africa rappresenta un handicap?
“Quando son giocatori importanti e quando son tanti, come Koulibaly e Ghoulam nel Napoli, si. O come Mané, dove i tifosi del Liverpool speravano tornasse prima mentre quelli del Senegal sono lì che chiedono di onorare la maglia. A livello africano, per il tuo popolo vieni più classificato per quello che fai in nazionale e non nel club. Così entri davvero nel cuore di tutti. Tutti questi ragazzi, quando sono in nazionale, reggono le pressioni di un intero paese, e mettono sempre la nazionale davanti a tutti anche per un’amichevole, perché la nazionale è come la mamma ed il papà. E’ qualcosa che hai attaccato sulla pelle! Ecco perché il ritorno da queste competizioni, a livello psico-fisico, non è per nulla semplice, e alle volte ricco anche di critiche perché se esci al primo turno sembra che hai fatto solo la comparsata.”
Parlando del rifiuto di alcuni giocatori importanti del Camerun, pensi che in un futuro sarà semplice per loro riguadagnarsi la stima della nazionale?
“D’impossibile non c’è nulla, però anche essendo nei loro panni, è qualcosa di complicato. Pur ritornandoci riceveresti tanti fischi dalla tua gente. Nel Camerun, Roger Milla e Patrick Mboma, gente che ha sacrificato i successi nei club per averli in nazionale. Gente che era considerata, come Mboma a Cagliari e Parma, come buoni giocatori che in realtà in Camerun sono dei veri e propri miti, grazie alle sue prestazioni che regalarono l’oro olimpico nel 2000 e la grandissima Coppa del Mondo del 2002.”