Quando nella porzione del Mondo da noi abitata la maggior parte della popolazione era comodamente addormentata sul proprio letto, nel Nuovo Continente si consumava uno dei drammi sportivi destinati a lasciare un segno indelebile nei prossimi anni: il Cile superava l’Argentina ai calci di rigore e si laureava, per la seconda volta consecutiva, vincitore della Copa America. Nulla di particolare in tutto questo, se non quanto avvenuto al termine delle celebrazioni: intercettato da alcuni giornalisti presenti in zona mista, Lionel Messi dichiarava che quella è stata la sua ultima partita con la maglia dell’Albiceleste.
Si scatena il finimondo: è come se tutti si fossero dimenticati del Cile e le parole pronunciate dal pluri-pallone d’oro distogliessero l’attenzione mediatica da Vidal e compagni, per restare paralizzati all’interno di quelle quattro parole pronunciate quasi sotto voce dal campione del Barcellona. I famosi giudici italiani seduti sul divano di casa, perché nel frattempo il sole è tornato a splendere nel Vecchio Continente, iniziano a puntare il dito sulla Pulga, rea di non essere decisiva con la maglia dell’Argentina: e giù paragoni su paragoni tra lui e Maradona, dimenticando che il calcio non è uno sport individuale ma una disciplina che si pratica undici contro undici e che a vincere è sempre il collettivo, mai il singolo.
L’addio di Messi mi ha lasciato sorpreso: ho visto diverse volte il video delle sue dichiarazioni per provare a scorgere sulla sua faccia un particolare sempre nuovo e l’unica idea che mi sono fatto è paragonabile a quanto scritto da Jean-Paul Sartre ne “La Nausea” (leggetelo). Immagino il campione dei Blaugrana lavarsi la faccia tentando di scacciare i fantasmi, prendere un asciugamano, intrappolare il proprio cranio all’interno e tamponare quell’agglomerato di lacrime ed acqua presente sul suo viso. Leo alza lo sguardo verso l’alto e …
“Sul muro v’è un buco bianco, lo specchio. E’ una trappola. So che sto per lasciarmici prendere. Ci siamo. La cosa grigia è apparsa sullo specchio. Mi avvicino e la guardo, non posso più andarmene. E’ il riflesso del mio volto“. Uno stato di inquietudine lo travolge. Cade nel più profondo dei suoi incubi: si trova nel MetLife Stadium, è pronto a tirare un calcio di rigore; spiazza il portiere ma calcia incredibilmente sopra la traversa. Il terribile momento vissuto precedentemente prende forma all’interno della testa del fenomeno del Barcellona e, in loop, lo costringe ad assistere tutta la notte a quella scena straziante. Il subconscio sradica l’Io e gli impone di assistere inerme a una tortura immeritata. Al mattino, la cosa grigia è sempre presente nello specchio e ha un aspetto decisamente peggiore di quello che aveva poche ore prima: l’inquietudine si è trasformata in ansia di vivere o, semplicemente, in Nausea.