Robin Hood e il Leicester, leggende di un’Inghilterra che fu e che sarà

Leicester

Avete presente la storia, raccontata anche dalla Disney, del leggendario Robin Hood, la volpe, e della sua banda di sbandati e fuorilegge della foresta di Sherwood?
Bene, oggi vogliamo raccontare qualcosa di simile, ma le nostre volpi avevano il loro covo poche miglia a sud, nella città di Leicester.
Se vogliamo metterla in musica, sulle note di “Urca urca tirulero”, le Foxes cantavano così:

Jamie Vardy e Riyad Mahrez van per la foresta
L’un la passa all’altro, dribbla, sterza e fa gol
Claudio è felice del successo delle loro gesta
“Dilly ding dilly dong, daje…un altro gol!”

Così come l’Inghilterra medievale, anche quella di cui vogliamo parlare noi era rimasta con il trono vacante. Re Mourinho di Portogallo però non era andato alle crociate come Re Riccardo, bensì era stato detronizzato dai suoi stessi scagnozzi in maglia blu ed il regno della Premier era rimasto senza padroni.
Come allora anche stavolta la ricchezza ed il denaro erano la chiave per raggiungere il potere e se il Principe Giovanni spremeva i cittadini di Nottingham a suon di tasse, tasse, tasse, la Premier di inizio secolo era nelle mani di sceicchi da mille e una notte e potentati economici vari.

La banda di Leicester se la passava male, non che dovesse ricorrere a nascondere i soldi nella fasciatura della gamba come il povero Otto durante la visita dello sceriffo, ma certamente il giardino del re non era il loro posto. Al massimo si potevano limitare alle scorribande nei dintorni senza scalfire le potenti mura del sistema.
Nel lontano 2015 i manigoldi guidati da Pearson erano caduti veramente in basso, ultimi, senza alcuna considerazione da parte delle bande rivali, ma all’epoca c’era ancora Re Mou.
Poi la comunità si compattò attorno ad una figura carismatica, il Fra Tuck venuto dall’Italia, Sor Claudio Ranieri.

Organizzati i suoi alla bell’e meglio, il Sor Claudio presentò la sua squadra all’appuntamento con l’assegnazione della Freccia d’oro… ehm, pardon, della Premier League.
Erano meno conosciuti e stimati di un qualsiasi Gambe a spillo, cicogna del Devonshire, o Sir Reginald, Duca di Whiskey, quotati 5.000 a 1 per la vittoria finale.
Con le frecce ci sapevano fare. Le parabole di Drinkwater, le corse forsennate a recuperare i dardi perduti di Albrighton e Kanté, gli assist del folletto Mahrez e poi l’infallibile arciere Jamie Vardy.
Man mano che gli avversari cadevano, uno ad uno, l’arco degli uomini di Sor Claudio continuava a flettersi, mirare e colpire dritto al bersaglio grosso. Non rimaneva che sconfiggere gli elefanti del City e i rinoceronti del Tottenham.

E qui, quando sarebbe servita una Lady Cocca in versione rugbystica, ecco uscire la miglior risposta a questi poderosi pachidermi: Robert Huth.
La grinta, la voglia di arrivare, quel trono vacante con gli impenetrabili giardini del re. L’ironia della sorte volle che ad affossare le residue speranze degli inossidabili rinoceronti di Pochettino fossero proprio gli stessi scagnozzi in maglia blu che avevano destituito Re Mou.
Il Sor Claudio è il nuovo Re, i suoi ragazzi potranno uscire dalla foresta di Leicester e giocare su tutti i prati regali d’Europa, da primi della classe, riabilitati agli occhi dei loro detrattori, osannati da chi neanche li conosceva.

Robin Hood ci ha insegnato che la via giusta non è detto che sia quella accettata dalla società, che avere convinzioni diverse dalla massa non significa essere in torto. Ti daranno del fuorilegge, cercheranno di metterti i bastoni fra le ruote, di limitarti, di farti pesare la loro potenza, ma tu ci devi credere perché verrà il giorno che riconosceranno il tuo valore. Durerà forse per poco, ma nessun Principe Giovanni potrà mai conoscere la soddisfazione di quel momento, la gloria di un’impresa giusta e meritata.
Non ha alcun senso reprimere il Robin Hood che è in ognuno di noi per trasformarci in tanti miserevoli Sir Bis pur di restare dalla parte dei vincenti. Meglio rimanere se stessi, fino in fondo, e se qualcuno ti dice che Robin Hood non è mai esistito e che le favole non si avverano, noi gli mostreremo le Foxes col loro trofeo. Noi ora abbiamo le prove, noi ci crediamo!

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Cresciuto a pane e telecronache delle proprie partite con le figurine Panini sul campo di Subbuteo, sviluppa una passione viscerale per il calcio, che si trasforma presto in autentica dipendenza. Da sempre dalla parte degli underdog, non scambierebbe mai 1000 vittorie da cowboy con un unico grande successo indiano sul Little Bighorn. Tra una partita e l'altra, trova il tempo per laurearsi in economia, Tuttocalcioestero gli offre l'occasione per trarre finalmente qualcosa di buono dalla sua "malattia" per il pallone, strizzando l'occhio al sogno nel cassetto del giornalismo di professione.