La prima settimana nella storia del Villarreal in cui il Submarino amarillo è al vertice del calcio spagnolo è appena iniziata. In novantadue anni e mezzo di storia e sedici stagioni in massima serie questo è sicuramente una delle soddisfazioni maggiori per la piccola cittadina di Vila-real. La classifica non ammette errori: Villarreal 16, Barcellona 15, e via via tutti gli altri. La resaca, ovvero tutto ciò che comporta un evento particolare, come la vittoria sull’Atlético Madrid che è valsa il primato, è ancora vivida e soprattutto estasiante. Una squadra di poco più di ventiquattro anni di età media ha domato lo squadrone di Simeone e si è seduta sul tetto di Spagna per guardare tutti, campioni d’Europa compresi, dall’alto al basso. In pochi lo avrebbero potuto pensare quel 31 maggio 1997 quando il primo Villarreal del neo-presidente Fernando Roig affondò di fronte al Badajoz con un secco zero-tre di fronte a tremila spettatori in un Madrigal semivuoto. Ma soprattutto di fronte al nuovo numero uno del club che a fine gara si girò verso Juan Manuel Llaneza, suo braccio destro, e gli sussurrò: «Tutto questo cambierà radicalmente».
E di cose ne sono cambiate eccome. Il Villarreal ha visto la Primera División, l’Europa, ha alzato tre Intertoto, ha raggiunto una semifinale di Champions League, e un secondo posto in Liga, ma finora non era mai salito così in alto in campionato, nemmeno per una giornata. Nemmeno l’equipazo di Don Manuel Pellegrini che poteva contare su un fatturato quasi del doppio di quello attuale e su giocatori del calibro di Riquelme, Forlán e Pires. E questa mancanza indispettiva. Soprattutto considerando che delle venti squadre di Primera solo Villarreal e Málaga mancavano all’appello. C’era riuscito il sorprendente Levante nel 2011/12 che rimase lassù per ben tre settimane, e perfino il piccolo Eibar che alla sua seconda stagione in massima serie, quest’anno era diventato virtualmente capolista della classifica dopo una giornata grazie a una differenza reti superiore a tutte le altre vincenti.
I meriti di questo piccolo e momentaneo successo sono da attribuire tanto alla società quanto a un allenatore che sa fare di necessità virtù traendo il meglio da una rosa di giocatori giovani o alla ricerca di rilancio. È il caso di Léo Baptistão, l’uomo-copertina della vittoria di sabato scorso grazie alla sua rete decisiva, ma che Marcelino aveva avvistato già da tempo. Nel maggio del 2011, ai tempi di Santander, il tecnico asturiano assistette a un Racing-Rayo Vallecano del campionato Juvenil, e si speculò circa un suo interessamento verso il figlio Sergio, giocatore rayista. Ma in realtà non andò a visionare né suo figlio e né il promettente Lass, ammettendo che a rubar loro la scena fu quel numero nove, un certo Léo. Ne è passato di tempo da allora e oggi Baptistão è parte integrante di una squadra che incanta per il suo gioco ma soprattutto per la sua solidità. È troppo presto per trionfalismi, non si è conquistato nulla e si è ancora ben lontani dal farlo, ma è il momento di godersi il momento, almeno fino al prossimo impegno di giovedì.