Doveva essere il carnevale più bello del mondo, fatto di gioie e colori, eppure non è mai avvenuto. Colpa di Obdulio Valera, di Schiaffino e soprattutto di Ghiggia.
Il 16 luglio del 1950 di fronte quasi duecentomila, a pochi minuti dall’inizio della partita prese la parola il generale Angelo Mendes De Moiras:
« Voi, brasiliani, che io considero vincitori del Campionato del Mondo.
Voi, giocatori, che tra poche ore sarete acclamati da milioni di compatrioti.
Voi, che avete rivali in tutto l’emisfero. Voi che superate qualsiasi rivale. Siete voi che io saluto come vincitori! »
Il destino di quella partita sembrava essere già scritto, il Brasile avrebbe vinto la coppa del Mondo e l’intero popolo carioca avrebbe finalmente gioito di quel trionfo così atteso, dai mondiali del 1938, quando l’Italia eliminò il Brasile orfano di Leonidas.
I padroni di casa, in maglia bianca, andarono a segno al 47′ con Friaca, il Maracana fu pervaso di gioia, la meta pareva più vicina, il fortino dell’Uruguay sembrava prossimo al collasso. Ci pensò il capitano, Obdulio Varela a smorzare l’entusiasmo di quel momento, con fare lento raccolse la sfera e tenendola sotto braccio guardando con fare di sfida il pubblico sugli spalti, si recò a centrocampo di fronte l’arbitro per reclamare un fuorigioco durante l’azione del gol. I due non potevano capirsi, Varela parlava spagnolo, l’arbitro inglese Reader non poteva capirlo, fu interpellato un interprete. L’intero siparietto durò circa dieci minuti, quanto bastò a tramutare gli applausi del pubblico in fischi e la dirompente grinta dei giocatori brasiliani in nervosismo, poi in paura.
L’Uruguay riuscì a guadagnare terreno, con Schiaffino che siglò il gol del pareggio al 66′ su assist di Ghiggia. La paura pervase il Maracanà, e al 79′ Perez servì Ghiggia che con un tiro fulmineo trafisse Barbosa. Calò il silenzio assoluto.
I racconti di ciò che accadde dopo il triplice fischio sono svariati per quanto fantasiosi. Si parla di almeno dieci tifosi che colti dalla disperazione si gettarono giù dagli spalti. La Guardia d’Onore non intonò l’inno dell’Uruguay in quanto non furono consegnate le spartiture, ritenute superflue, lo stesso presidente della FIFA Rimet si trovò impreparato, in quanto il discorso che aveva preparato riguardava solo il trionfo del Brasile. Non fu migliore il comportamento dei dirigenti dell’Uruguay che intascarono le medaglie d’oro lasciando quelle d’argento ai giocatori.
Il Brasile proclamò tre giorni di lutto, gli stessi giocatori uruguagi furono travolti da quello che si presentò di fronte i loro occhi, un popolo tradizionalmente così allegro che improvvisamente piombò nella disperazione più assoluta: «Sciogliemmo l’angoscia che ci aveva accompagnato per tutta la partita– Raccontò Schiaffino –piangendo lacrime di gioia, pensando alle nostre famiglie in Uruguay, mentre i nostri avversari piangevano di amarezza per la sconfitta. A un certo punto provai pena per quello che stava accadendo».
Ghiggia, l’eroe di quella giornata rientrò immediatamente a Montevideo pur di evitare un’aggressione, le precauzioni nonostante tutto non gli impedirono di rimediare qualche acciacco, torno a casa con un gesso e delle stampelle. Negli anni successivi, ricordò con ironia quel momento: «A sole tre persone è bastato un gesto per far tacere il Maracanã: Frank Sinatra, papa Giovanni Paolo II e io».
Protagonista di quella giornata, seppur in negativo, fu il portiere brasiliano Barbosa, considerato dal popolo brasiliano il capro espiatorio del Maracanazo:
‘Nel 1963 passai per la prima volta dopo 13 anni davanti al Maracana.- Racconta il portiere- Vidi che lo ristrutturavano. Mi feci coraggio e entrai. Chiesi di poter avere i pali in legno della porta in cui Ghiggia mi trafisse.
Li portai a casa e con loro preparai un fuoco e poi un barbecue. Fu la cena più buona della mia vita’.
La vita a volte è strana, a essere superstiziosi si potrebbe ricollegare tutto al destino, oggi, 16 luglio 2015 si è spento Ghiggia, esattamente 65 anni dopo quel giorno così triste, così felice. Facile pensare a un disegno divino per quell’esterno destro che scrisse la storia segnando il gol più importante della storia del calcio.
Quel che resta sono le emozioni e il ricordo indelebile di quelle gesta che nel bene o nel male, rimarranno per sempre il simbolo del calcio.