CILE-ARGENTINA 4-1 (d.c.r.) – 33 minatori cileni rimasero intrappolati per 70 giorni a circa 700 metri di profondità nella miniera di San José. La nazionale cilena di fútbol è rimasta per 99 anni ingabbiata nella morsa dell’anonimato. Così come quei 33 uomini si aggrapparono alla vita, coltivando anche il briciolo di speranza più nascosto nelle viscere della Terra, riuscendo a sopravvivere, la nazionale calcistica cilena ha saputo resistere alle folate di vento che nel corso della sua storia l’hanno spinta più volte giu dal podio delle migliori selezioni continentali e quest’oggi si è finalmente consacrata al primo posto della Copa América 2015 organizzata in casa. Nel 1955, proprio l’Argentina, in finale, rovinò i sogni di gloria della Roja. Nel 1987 fu l’Uruguay a spezzare l’entusiasmo cileno. Quest’anno non ce n’è stato per nessuno e, al netto di qualche dubbia decisione arbitrale, il Cile ha meritatamente regalato al suo popolo la tanto attesa soddisfazione: il primato sudamericano. Inevitabili la commozione, litri di lacrime sono stati versati tra campo e spalti. E chissà quanti altri davanti alla tv e per le strade. Santiago ribolle di orgoglio e fierezza. Buenos Aires e l’Argentina tutta sono esterrefatte, non possono credere che dovranno aspettare i mondiali in Russia nel 2018 per tentare di mettere le mani su un trofeo.
Intensità illusoria – La prima frazione di gioco è sfrecciata di fronte ai nostri occhi con una velocità e un’intensità tali che le due squadre sembrava avessero energie infinite. Non c’è stato un attimo di pausa. Cile e Argentina si sono affrontate a viso aperto. Con coraggio, perché il successo bisogna andare a prenderselo. Così si spiegano l’elevato agonismo e il divertimento che ne consegue. Di Vidal – volée di sinistro ben respinta da Romero – e Vargas – destro alto sopra la traversa su imbeccata di F. Silva – le occasioni per la Roja. Di Agüero – colpo di testa su punizione neutralizzato da Bravo – e Lavezzi – piattone che ha centrato il portiere del Barcellona – le chances dell’Albiceleste.
Calo fisico e confusione – L’ottimo livello ammirato nei primi 45 minuti era solamente una dolce illusione. Il più che pronosticabile calo fisico della ripresa ha condotto il match verso la strada funesta della confusione e della povertà tecnica causate dalla mancanza di lucidità. Una strada impervia che entrambe le compagini non hanno avuto modo di domare. Nonostante ciò, dal gioco del Cile è emersa sempre una precisa identità cementificata dal gran lavoro svolto dal tecnico argentino Sampaoli, fedele allievo e studioso della corrente bielsista. L’Argentina, che era apparsa in crescita dopo il 6-1 rifilato al Paraguay in semifinale, ha compiuto un enorme passo indietro offrendo una prestazione davvero scadente per un’istanza importante come una finale. Di Maria è uscito circa 25 minuti per infortunio, il Kun è stato sterilizzato dalla difesa a 3 dei padroni di casa, Messi – sistematicamente fermato appena toccava palla – è risultato impalpabile. Pastore è l’unico che ha fornito qualche sprazzo d’alta classe ma ciò non è bastato per accendere la luce nell’oscurità di idee in cui è piombata la squadra del Tata Martino. Benché l’Argentina non abbia sfoggiato le sue enormi potenzialità ha sfiorato la vittoria al 92°: Higuaín non ha trovato la porta da due passi su cross rasoterra di Lavezzi.
Supplementari farsa – La finale è l’unica partita nella quale è previsto l’over time. Considerata la mole di gare che i 22 in campo hanno nelle gambe dopo una stagione a dir poco pesante l’organizzazione avrebbe potuto risparmiarsi questa “concessione”. Nei supplementari, le due nazionali hanno trascinato una contesa che è poi prevedibilmente terminata ai calci di rigore. Non ne avevano più, ogni goccia di sudore era stata già spesa e consumata. Anche se, su svarione difensivo di Mascherano in preda ai crampi, Alexis Sánchez avrebbe potuto anticipare la storia. Ma la palla ha concluso la sua corsa oltre la traversa.
Scavetto storico per il Cile – Una storia che ha incontrato il suo lieto fine dopo una sfida ai rigori a senso unico. Messi ha realizzato l’unico penalty dei suoi – Higuaín si è confermato inguardabile dal dischetto, di Banega l’altro errore -, come avessero inconsciamente deciso di abbandonare la Pulga nella sua ennesima disfatta con la nazionale maggiore. Come se l’immagine della tristezza e della disperazione argentine dovesse prendere la forma del suo volto. Incredulo, impotente. Ancora una volta la storia (con la nazionale) gli ha girato le spalle e le ha negato il sorriso. Un sorriso che finalmente è sbocciato sulle facce entusiaste dei cileni. Sánchez ha scavato la sfera, sotto la quale ora c’è molto spazio. Oggi per la Copa América, in futuro chi lo sa. Nulla è precluso alla generazione d’oro del fútbol cileno.