Niente da rimproverarsi. O quasi. La Juventus esce dall’Olympiastadion a testa alta, altissima, con un secondo posto che da lustro, più in generale, all’intero calcio italiano, ancora lontano, però, dal considerarsi fuori dalla crisi che lo attanaglia da oltre un quinquennio. Piazzamento d’onore che, solo ad inizio stagione, era difficilmente ipotizzabile, specie se si considera quanto sia stato difficile superare la fase a gironi, parsa insormontabile a mezz’ora dal fischio finale del match contro l‘Olympiakos, allorquando la Vecchia Signora, trovatasi sotto di un goal, era vicina a ripetere il poco edificante cammino dell’anno precedente. Ma questa Juventus è cresciuta giornata dopo giornata, mese dopo mese, grazie alla saggezza del proprio condottiero, quel Massimiliano Allegri contestato per il suo passato rossonero al momento dell’insediamento sulla panchina bianconera e oggi, più che mai, protagonista di questo inatteso secondo posto.
Il tecnico livornese non ha stravolto inizialmente la filosofia tattica della squadra di contiana memoria, puntando sulla difesa a tre e sul grande spirito di combattività. Poi, poco alla volta, ha inserito le proprie idee tattiche, portando la difesa a quattro e, soprattutto, mettendo Tevez nelle condizioni di esprimere al meglio il proprio talento, da seconda punta, libero di spaziare su tutto il fronte offensivo, come ai tempi d’oro del Boca e del Manchester City. Seppur meno aggressiva e più ragioniera, la Juventus di Allegri ha mantenuto la stessa ferocia di quella di Conte, con un atteggiamento tattico decisamente più europeo e più produttivo. E alla fine ha sfiorato un triplete storico grazie (anche) all’assenza totale di degne avversarie sul territorio nazionale, che le hanno consentito di vivere gli ultimi tre mesi della Serie A come un semplice allenamento, quasi fosse la tradizionale partitella infrasettimanale contro la squadra Primavera in attesa dell’impegno probante del martedì/mercoledì.
Anche oggi, al cospetto del Barcellona dall’attacco atomico, il migliore forse dell’intera storia del calcio, la squadra del Conte Max (consentitici questo gioco di parole) ha dimostrato di saper reggere la scena, giocando per almeno venti minuti meglio dei marziani in maglia blaugrana. Ed è proprio questo il grande dispiacere che albera nel cuore dei tifosi juventini, quel quasi nulla da non rimproverarsi con cui dovranno convivere per alcune settimane, prima dell’avvio della nuova stagione che, difficilmente, potrà essere entusiasmante come quella appena andata in archivio. Subito il primo goal dopo neppure quattro minuti, in quel momento anfiteatro – secondo alcuni – di una possibile goleada, la Juventus è rimasta a galla grazie ad un paio di prodezze (una, superba, su Dani Alves) di Gigi Buffon, prima di crescere nel finale di frazione.
E nella ripresa, costretta a giocarsela a viso aperto per rimontare lo svantaggio, i bianconeri hanno rischiato qualcosa nei primi dieci minuti e poi trovato il pareggio con Morata, spartiacque della rinascita piemontese. Da quel momento, infatti, l’inerzia della partita è stata tutta appannaggio di Tevez&C., capaci di mandare in tilt le certezze di un Barça forte, fortissimo, ma assai presuntuoso e sicuro di aver riportato la coppa in terra catalana troppo presto, dopo solo quarantacinque giri di lancette. In quei minuti, in quel quarto d’ora abbondante di predominio territoriale, è paradossalmente maturata la sconfitta. Il pareggio ha dato forza, vigore e, purtroppo, anche troppo incoscienza, come testimonia il goal messo da Suarez, maturato al termine di un ficcante contropiede orchestrato da Messi, a cui va attribuito gran parte del merito della marcatura messa a segno dal Conejo.
Il peccato originale, forse, è stato quello di averci creduto troppo, consegnando a questo Barça l’arma, letale, del contropiede, poco utilizzata nell’epoca d’oro del “guardiolismo”, oggi, invece, preziosa alleata da utilizzare all’occorrenza, come mostrato con risultati ancora più efficaci nella doppia sfida contro il Bayern Monaco. E non è un caso, in tal senso, che due delle tre reti catalane portino la firma di Rakitic e Suarez, giocatori che hanno contribuito, forse in modo decisivo, a rendere più verticale il gioco del Barcellona, liberatosi forse definitivamente dell’etichetta di squadra troppo mielosa e dipendente dal “tiki taka“. Strappato il pari, un po’ di prudenza non sarebbe guastata, un po’ di quel sano difensivismo di stampo italico, tanto criticato ma, spesso, foriero di successi per le squadre del Belpaese. Probabilmente non sarebbe bastato, ma il dubbio resta. Sottigliezze, particolari che, seppur facendo spesso la differenza, non cancellano la bella storia di questa Juventus edizione 2014/2015. La prima, forse di una lunga serie, del Conte Max.