UCRAINA – Il nome di Andriy Bogdanov potrebbe, anche ai grandi esperti di calcio internazionale, essere pressochè sconosciuto. Diverse apparizioni in squadre di media classifica in Ucraina, una presenza nel 2013 con la propria nazionale e nulla più. Eppure il venticinquenne di Kiev si è trovato, suo malgrado, al centro dell’ennesimo contenzioso tra Ucraina e Russia; una disputa che, con lo sport nulla dovrebbe avere a che fare. Al condizionale, purtroppo.
E pensare che nel 2012 la Federazione Calcistica Ucraina (FFU, per comodità) e la Federazione Russa (RFU, stante per Russian Football Union) ipotizzavano un campionato unificato. A lanciare la proposta fu Aleksey Miller, leader del colosso petrolifero della Gazprom nonchè Presidente dello Zenit San Pietroburgo. Un’idea che la maggior parte dei magnati russi, oltre che il presidente dello Shakhtar Donetsk Akhmetov, videro di buon grado, attratti anche dai maggiori ricavi – soprattutti eventuali diritti televisivi – che un simile torneo avrebbe portato. Un’idea prontamente abbandonata allo scoppio della guerra civile ucraina, dove i filoeuropeisti occidentali si sono opposti alle milizie filorusse, stanziate nelle regioni più ricche della nazionale, come le aree del Donbass e la penisola crimeana.
Ed è proprio dopo l’annessione della Crimea alla Russia a seguito di un referendum (considerato da UE e USA, per convenienza, illegale) del marzo 2014 che sorgono problemi anche in ambito sportivo. Le tre principali squadre della penisola (Tavriya Simferopol e FK Sevastopol, oltre allo Zhemchuzhina Yalta) chiedono alla FFU di passare sotto il controllo della RFU a partire dal luglio seguente. Il permesso è rifiutato, ma alle tre squadre viene vietata ogni partecipazione a competizioni ucraine. Tagliate fuori da tutto? Così sembra. Almeno fino a quando, a Mosca, decidono di bypassare la legislazione internazionale e di ammettere comunque le tre squadre al girone meridionale della terza serie russa. Si giocano le prime gare, sia di campionato che di coppa. La FFU, furibonda, si appella alla FIFA che, a gennaio, decide che – qualora non vengano immediatamente sospese dal campionato le tre formazioni – il Mondiale del 2018 rischierebbe di essere revocato. A febbraio arriva una nuova decisione: le formazioni della Crimea potranno partecipare soltanto a competizioni locali, ma non a quelle internazionali. Un po’ come avviene per le formazioni del Kosovo. Una scelta politica che non è piaciuta quasi a nessuno, nell’Est Europa.
Ma ad infiammare il tutto, dicevamo, è stato il Carneade Bogdanov. Febbraio: il centrocampista decide per lo svincolo dal Metalist Kharkiv. La società lo concede. Passano i giorni, ed al ragazzo arriva un’offerta importante, anche economicamente, dal Rostov, formazione russa. Sembra tutto facile. Almeno fino a quando Oleg Luzhniy, ex calciatore nonchè membro della FFU, si scaglia contro il connazionale. Egli dichiara: “Se lui ed il suo agente hanno deciso di andare in Russia, noi non possiamo permettergli di tornare in Ucraina. E come lui, ci sono altre decine di giocatori. Il suo trasferimento al Rostov? Lo espelleremo del paese, faremo così. Che razza di giocatore è? Non poteva trovare una squadra in Ucraina? Io non capisco. Poteva andare in Repubblica Ceca, in Bielorussia, ovunque. Ma non in Russia.”
La situazione si fa tanto calda quanto imbarazzante. Ma nonostante tutto, a Rostov-na-Donu ufficializzano il giocatore. Maglia numero 18, prime interviste rilasciate: “Sono contento di arrivare in Russia; è uno dei migliori campionati del mondo.”
Ed è qui che la situazione diventa grottesca. La FIFA non ha ricevuto il transfer che certifica come Bogdanov si fosse regolarmente svincolato. In Ucraina dicono di “non aver fatto in tempo”, in Russia accusano di aver “volontariamente sabotato il trasferimento“. Che comunque verrà chiuso in estate, quando la dirigenza del Rostov andrà, se necessario, anche al Tribunale di Losanna. Sperando che, nel frattempo, la situazione non peggiori. Perchè dal grottesco, si rischierebbe di arrivare al tragico.