In Brasile, il calcio è molto più di un gioco. Non si tratta di ventidue persone che corrono, in calzettoni, dietro un pallone che rotola in un rettangolo verde. come alcuni detrattori della “Dea Eupalla” sostengono. Il calcio, in Brasile, è una sorta di “religione laica”, che unisce ed appassiona milioni di persone in tutta la splendida nazione sudamericana. Chi nasce in Brasile, presto o tardi, amerà il gioco del calcio, indipendentemente dalla propria estrazione sociale.
Nascer a Rio de Janeiro, la più celebre località brasiliana nel mondo, consente di poter tifare per la squadra più famosa del Brasile, venerata da oltre cinquanta milioni di persone in tutto il paese: il Flamengo. Tifare rubonegro è la via più semplice per sperare di inanellare trofei, risultare più cool agli occhi altrui, parteggiare per un club famoso in ogni angolo del mondo.
Quando nasci a Rio è più semplice tifare Mengao…
Questi “vantaggi”, invece, vengono meno se decidi di tifare per il “rivale” del Flamengo, il club che, un tempo, veniva accostato ai ceti benestanti di Rio e vanta, oggi, meno di un decimo dei tifosi del Mengao (3,6 milioni in tutto il Brasile): il Fluminense. Il Fla-Flu, il derby tra Flamengo e Fluminense, è uno dei più sentiti dell’intero Brasile, al pari del GreNal (Gremio-Internacional, stracittadina di Porto Alegre) e del derby Paulista (Palmeiras-Corinthians).
Il derby non è mai un momento banale per chi ama il Tricolor Carioca. Oltre un quarto del paese non ti vede di buon occhio e, in buona sostanza, ti considera un acerrimo rivale. Negli ultimi anni, poi, il Flamengo, dopo alcune stagioni complicate, è tornato all’antico splendore. E’ riuscito a vincere il Brasileirao dopo un digiuno decennale, in cui il Mengao ha rischiato anche di salutare la massima divisione brasiliana in un paio di circostanze.
Ma, soprattutto, è diventato dominante in ambito continentale disputando tre finali di Libertadores negli ultimi quattro anni, alzando al cielo la coppa della “Gloria Eterna” per ben due volte. Tifare Flu, però, significa essere temprati nel corpo e nello spirito. Significa riuscire a risalire la china dall’inferno della terza serie, come accaduto nella seconda metà degli anni ‘90, e ritrovarsi nuovamente competitivi ai massimi livelli nell’arco di un decennio.
La maledizione continentale
Tifare Tricolor Carioca, innamorarsi di quei colori solo apparentemente così poco cromatici, significa saper soffrire in silenzio, aspettare pazientemente il momento in cui la gioia fa capolino ed esplode in tutta la sua ridondante flagranza. Pochi titoli brasiliani in bacheca (4), alcuni dei quali,però, a dir poco memorabili.
Il Brasileirao del 2010, giunto al termine di una palpitante “lotta a tre” con Cruzeiro e Corinthians, viene ricordato ancora oggi come una sorta di liberazione per i tifosi Tricolores, nuovamente campioni nazionali dopo un digiuno durato 26 lunghissimi anni, in cui il Flu ha navigato anche lontano dalla massima serie.
In oltre cento anni di storia, tuttavia, il Fluminense non è mai riuscito ad impreziosire la propria bacheca con un alloro continentale. Ci è andato vicino diverse volte. in due circostanze ha visto sfumare la coppa all’ultimo atto. Ed in entrambi i casi, per due anni consecutivi, fu la LDU di Quito a riporre i sogni nel cassetto: nel 2008 ai calci di rigore nella finale della Copa Libertadores; l’anno successivo, in Copa Sudamericana, dopo che il Flu, sconfitto 5-1 in terra ecuadoregna, non riuscì a compiere l’impresa di ribaltare il risultato dell’andata, imponendosi 3-0 in un Maracanà che ha creduto, fino all’ultimo, nel miracolo di Fred e compagni.
Il viaggio a fari spenti del Flu in Libertadores, quel ruolo da underdog che ben si presta alla storia del club carioca
Vincere un trofeo continentale, quindi, rappresenta una sorta di maledizione per i tifosi del Fluminense. Ma il destino, spesso, riesce a sorprenderti. Ti fornisce uno straordinario assist per riscattarti e farlo nel miglior contesto possibile. La finale della Copa Libertadores 2023 si disputa al Maracanà, lo storico stadio che viene utilizzato da Flamengo e Fluminense. Nella sua storia, il Flamengo ha vinto 3 Libertadores, ma non è mai riuscito ad alzare il trofeo nel proprio stadio.
Certo, gli ultimi trionfi del club rossonero sono avvenuti in finale a gara secca, in impianti lontani da Rio de Janeiro. Ma nel 1980, all’epoca in cui la finale non si disputava in gara unica, il Fla vinse la coppa solo allo spareggio in campo neutro. Alzare la Libertadores al Maracanà, laddove il rivale rubonegro non è mai riuscito nell’impresa, è un sogno per tutti i 3,6 milioni del Flu. La realtà, però, dice che l’avversario, il glorioso Boca Juniors, è favorito dai pronostici.
Anche il Flu, però, partiva favorito alla vigilia della doppia finale della Libertadores del 2008, quando venne sconfitto dalla LDU. Ai tifosi Tricolores, tuttavia, il ruolo di “underdog” non dispiace affatto. Anzi, durante il corso di tutto il torneo, il Tricolor Carioca ha sempre viaggiato a fari spenti, poco considerato dai bookmakers finché non ha raggiunto le semifinali, dove la maggior parte degli esperti, tuttavia, considerava Boca-Palmeiras al pari di una finale anticipata.
Soffrire è insito nel DNA dei tifosi Tricolores
La voglia di vincere, diventare la terza squadra di Rio ad alzare la Libertadores al cielo e l’undicesima compagine nella gloriosa storia del calcio brasiliano, è insita in ogni singolo tifoso e ogni singolo componente del club carioca. Soffrire, però, è un verbo che fa parte del DNA del club. E anche la finale della Copa al Maracanà, non poteva essere altrimenti.
Ottima partenza: il Boca, di fatto, è costretto a rintanarsi nella propria metà campo. Poi, col passare del tempo, gli argentini prendono fiducia, si affacciano più volte nella metà campo avversaria, anche se non creano grattacapi a Fabio. A dieci minuti dal termine del primo tempo, però, l’asse Arias-Keno mette a soqquadro la mancina del Boca e Cano, divinamente imboccato da Keno, realizza il gol del vantaggio.
La ripresa è equilibrata, ma il Flu sembra essere in grado di gestire il vantaggio. Man mano che scorre il cronometro, tuttavia, il pressing del Tricolor è meno intenso. Il Boca trova maggior libertà propositiva e, a poco meno di venti minuti dal triplice fischio finale, realizza il goal del pareggio con un sontuoso tiro dalla distanza di Advincula.
L’incoscienza dei vent’anni di John Kennedy
Panico sugli spalti. I volti dei tifosi del Flu vestiti a lutto. In campo la squadra sembra aver accusato il colpo, morsa dalla paura di veder sfumare, per l’ennesima volta, l’alloro continentale al fotofinish. La storia del Flu, d’altro canto, dice questo fin qui. Il Boca inizia a crederci, attacca con maggior convinzione. Serve una scossa, una scintilla. Serve l’incoscienza di uno spavaldo ventunenne dalle ottime doti tecniche, cresciuto con la maglia del Flu addosso.
Fernando Diniz, ottimo tecnico dei brasiliani, lo comprende. Decide, all’ottantesimo, che è venuto il momento di John Kennedy Batista de Souza. Per tutti, semplicemente, John Kennedy. Se il fato ha fatto sì che i tuoi genitori ti chiamassero così, hai qualche chance in più rispetto ai comuni mortali di lasciare il segno nella storia. E il calciatore carioca ha scelto di scriverla nel momento più bello, durante il primo tempo supplementare, con un destro fulminante che ha battuto l’incolpevole Romero.
Troppa la gioia per essere trattenuta. Un ventenne che segna all’ultimo atto dalla Libertadores, nello stadio di casa, con la maglia della squadra dove è cresciuto e per la quale ha tifato sin da bambino, valgono bene un altro cartellino giallo. Reprimere quella inebriante gioia, senza farsi travolgere dall’abbraccio della curva dei supporters Tricolores, sarebbe stato ipocrita.
I sentimenti di un ragazzo ventenne, che porta il proprio club sul tetto continentale per la prima volta nella storia, superano qualsiasi logica opportunistica del campo. E rendono, ancor più magica, la vittoria del Tricolor Carioca. L’unico club di Rio ad aver alzato la Libertadores al Maracanà….