Le pagelle di Barcellona-Psg: Emery e gli allenatori protagonisti, Neymar e la magia del Camp Nou

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Dieci alla magia del calcio, della Champions League in particolare: alcuni incroci saranno pure ripetitivi, ma questa serata quasi fa tornare bambini. Quando l’impossibile non è così irraggiungibile, quando credere a tutto è la normalità. E dieci anche al Camp Nou, teatro per la seconda volta in 18 anni di una rimonta che resterà di diritto nella storia del football. Nel ’99 fu il Manchester United di Ferguson a lasciare tutti a bocca aperta nella finale col Bayern, stavolta è la squadra di casa a far diventare definitivamente mistico il proprio stadio. Negli anni ’80 il mitico Juanito (10) diceva: “90 minuti nel Bernabeu son molto longos”, riferendosi alle grandi rimonte del Madrid: oggi 98 minuti nel Camp Nou possono destabilizzare qualsiasi persona sana di mente. Perché i tifosi del Psg (10, per compassione) che torneranno nella capitale non saranno le stesse persone che son partite ore fa.

Prendere un 6-1 dal Barcellona meno Barcellona degli ultimi anni, dal Barcellona meno messiano dell’ultimo decennio, da un Barcellona che lascia da parte il fioretto per far spazio ai muscoli, da un Barcellona che sembra quasi un terraiolo argentino da tornei challenger dopo aver rappresentato l’equivalente di Federer nel calcio, da una sorta di squadra di rugby che ha provato a fare meta sfondando letteralmente le linee avversarie, frontalmente, prendere un 6-1 dicevamo non può non lasciare tracce indelebili. Sì, perché mai come stasera il Barça è stato specchio del suo allenatore. Luis Enrique (9) si prende una rivincita gustosissima su chi gli dava del bollito, il 3-3-1-3 messo in campo probabilmente penalizza Messi, non sfrutta in pieno le qualità di Rafinha (5.5, non ha il passo per giocare da attaccante esterno), ma è un segnale chiaro lanciato al tremebondo Psg. Tutto o nulla, non c’era spazio, d’altronde, per le mezze misure.

E nulla è toccato a Unai Emery (3), di solito equilibrato e ponderato nelle sue scelte, mai sopra le righe. L’esclusione di Di Maria per far spazio all’insulso Lucas Moura (4) è l’errore principale: quando un allenatore comincia a fare il protagonista e crede di essere più decisivo di uno dei tre giocatori più importanti a disposizione (per restare larghi di maniche), allora il fallimento è dietro l’angolo. Aver insistito su Rabiot (4, non azzecca mezzo disimpegno, imbarazzante) quasi ad oltranza, aver gestito così male il suo organico faraonico tanto da effettuare l’ultima sostituzione al 93′ e solo per perdere tempo, sono le colpe più evidenti in una serata cominciata male e finita peggio.

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Mentre Trapp (4.5, pachidermico su almeno tre gol avversari) è una sorta di ectoplasma (in porta poteva benissimo starci Malgioglio, Astutillo of course), Marquinhos (4, colpe su due gol e rigore procurato) e Thiago Silva (5) rendono inevitabile il disastro con continue indecisioni e nervosismi quasi inverosimili. Meunier (5) prova in tutti i modi a fermare Neymar ma gli va maluccio, Kurzawa (5) è maldestro in occasione del 2-0 ma almeno è protagonista nel gol dei suoi. A centrocampo, poi, oltre al disastroso e già citato Rabiot ci mette del suo anche il peggior Verratti della stagione (4.5), nemmeno lui preciso nei disimpegni e spesso in difficoltà nella lotta fisica. Matuidi (4.5) è frenato da un’ammonizione nei primissimi minuti di gioco e finisce per scomparire dal terreno di gioco (impietoso il confronto con l’andata), Draxler (4) fa, se possibile, peggio anche di Moura. Cavani (6) è l’unico che lotta, sbuffa, caccia fuori il carattere anche nei momenti più difficili. Il “matador” chiude il primo tempo nella posizione di terzino, prende un palo, sigla di prepotenza l’1-3 ma poco dopo fallisce a tu per tu con ter Stegen (6.5) il gol del raddoppio. Di Maria (6) entra e il Psg cambia d’improvviso copione ma il “fideo” finirà per fallire all’85’ un contropiede ghiottissimo che a conti fatti risulterà decisivo.

Per certi versi il naufragio parigino è reso ancora più grave dal fatto che Messi (6) è passato praticamente inosservato. Certo, il rigore del 3-0 è realizzato con freddezza, ma fa quasi impressione vederlo così fuori dal match durante lunghi tratti dell’incontro. Meno male che c’è Neymar (8.5): il gol NeyMaradoniano che riaccende le speranze all’88’ resta una perla di inestimabile valore che impreziosisce una prestazione volenterosa, in cui fa di tutto (e anche oltre) per rendere la vita impossibile al suo dirimpettaio. Suarez (6.5) è la faccia sporca di questo Barcellona: realizza subito l’1-0 in modo quasi casuale, poi si fa notare soprattutto per le polemiche con avversari e arbitri oltre che per almeno 3 simulazioni che definire goffe è forse poco. Una di queste trae in inganno l’arbitro proprio nel momento chiave della partita, ma chi vi scrive ha deciso di non dare spazio a polemiche di questo tipo in una serata così importante nella storia del calcio. E chiude anche un occhio sulle innumerevoli proteste stile “iene” dei padroni di casa, a circondare il fischietto tedesco, come talune squadre del nostro campionato hanno imparato da tempo a fare alla perfezione. Ma meglio andare avanti.

Iniesta si prende un 8 solo per aver creduto in quel pallone quasi perso e aver pensato la magia di tacco successiva. Don Andres sa essere ancora decisivo a questi livelli, altroché. Busquets (7) dal suo canto ritrova smalto e precisione, per una notte non è protagonista del “Salvate il soldato Sergi” andato in scena più volte in questa stagione. Rakitic (6.5) dà sostanza e, poche volte a dire il vero, qualità, ma sostanza è proprio la parola chiave della serata culé. Piqué, Mascherano e Umtiti in blocco verso il 6.5, Arda Turan e Andre Gomes verso il n.g. di routine. E a chiudere lui, l’eroe della serata. Quello che per molti è il vero punto debole di questo Barcellona, bistrattato in diverse occasioni. Sergi Roberto (7.5) si tuffa quasi alla cieca su un pallone al 95′ che scrive a caratteri cubitali il nome Barcellona nella storia della competizione. Una vittoria che probabilmente vale una Champions, senza correre il rischio di esagerare. Il sogno di ogni tifoso.

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Sono Alfonso Alfano, 32 anni, della provincia di Salerno ma da anni vivo in Spagna, a Madrid. Appassionato di sport (calcio, tennis, basket e motori in particolare), di tecnologia, divoratore di libri, adoro scrivere e cimentarmi in nuove avventure. Conto su svariate e importanti esperienze sul Web.