Arsenal-Tottenham 1-1: Gunners belli ed incompiuti, gli Spurs sfiorano il colpaccio

E’ un derby d’alta classifica quello fra Arsenal e Tottenham, che assume un significato particolare anche in funzione dell’altra squadra londinese in lotta per il titolo, il Chelsea attualmente in testa. Perdere significa restare pericolosamente indietro, il pari tiene più in corsa i Gunners, che gli Spurs, ma l’andamento della gara che lo ha prodotto lascia l’amaro in bocca agli uomini di Wenger.

L’Arsenal propone un reparto offensivo privo di punti di riferimento centrali per la difesa avversaria e ricco invece di giocatori veloci in contropiede. Il piano partita di Wenger è piuttosto chiaro: rifiutare il confronto a centrocampo, lasciare l’iniziativa al Tottenham contrastando con Xhaka e Coquelin davanti alla difesa, per poi ripartire passando dai piedi di Özil e dalla velocità del trio Iwobi-Sanchez-Walcott. La strategia funziona per quasi tutto il primo tempo. I Gunners imperversano facilitati da un Tottenham ancora poco confidente con le modifiche tattiche volute da Pochettino. Sì, perché l’allenatore argentino opta per la “soluzione Conte“, ovvero il 3-4-2-1. Chiaramente alcune scelte sono anche influenzate dalle numerose assenze in casa Spurs: Alderweireld, Alli e Lamela infortunati, Sissoko squalificato. Torna, però, Kane che va a fare la punta centrale, ma fatica parecchio a tenersi nel vivo del gioco e deve essere sostituito a metà secondo tempo. Dietro Dier scende sulla linea dei difensori con Wimmer e Vertonghen, mentre Walker e Rose si allargano ai lati dei centrocampisti centrali Dembélé e Wanyama, che coprono le spalle al duo Son-Eriksen.

Il Tottenham nel primo tempo cerca di fare la partita seguendo la sua trama di gioco, ma fatica a tenere corti i riparti e rischia continuamente di subire contropiedi dall’Arsenal. Dalla mezz’ora in poi le defaillance si fanno allarmanti, perché gli Spurs iniziano a sbattere con continuità contro il muro dei Gunners e finiscono in apnea a correr dietro ai velocisti dell’Arsenal, che, dopo aver sfiorato più volte il gol, passa al 42′ grazie ad un clamoroso autogol di Wimmer di testa su cross da calcio piazzato di Özil. Sembra solo l’aperitivo di una gran goleada, perché il Tottenham è completamente fuori dalla partita. La squadra di Wenger ha il demerito di sentirsi forse eccessivamente al sicuro e cominciare il secondo tempo prendendo quasi sotto gamba la possibilità del pari. Ed ecco che una sfuriata improvvisa di Dembélé in avanti fermata sciaguratamente da Koscielny con un intervento falloso in area si trasforma nel gol dell’1-1 con Kane dal dischetto. Perso il vantaggio, i Gunners si smarriscono, mentre gli Spurs, galvanizzati, trovano maggiore precisione nei passaggi, maggiore pericolosità in avanti e, soprattutto, maggiore stabilità dietro. Wenger non crede ai suoi occhi e prova a riprendere la partita a suon di cambi, inserendo Ramsey, Oxlade-Chamberlain e Giroud nell’arco di cinque minuti. Inutile, perché le azioni più pericolose arrivano sull’altra sponda, con il palo di Eriksen a sei minuti dalla fine a far tremare i tifosi accorsi all’Emirates.

Il pareggio finale conduce a diverse implicazioni per le varie compagini londinesi: l’Arsenal resta in corsa per il titolo, ma perde il primato e non guadagna punti sul Manchester City, bloccato ieri in casa, il Tottenham rimane indietro, con la possibilità certo di rientrare, ma anche con la pressione addosso di non potersi permettere ulteriori passi falsi, ma, come nel più classico dei casi, tra i due litiganti è il terzo che gode, il Chelsea, che guadagna punti su tutti e resta in vetta in attesa del Liverpool.

 

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Cresciuto a pane e telecronache delle proprie partite con le figurine Panini sul campo di Subbuteo, sviluppa una passione viscerale per il calcio, che si trasforma presto in autentica dipendenza. Da sempre dalla parte degli underdog, non scambierebbe mai 1000 vittorie da cowboy con un unico grande successo indiano sul Little Bighorn. Tra una partita e l'altra, trova il tempo per laurearsi in economia, Tuttocalcioestero gli offre l'occasione per trarre finalmente qualcosa di buono dalla sua "malattia" per il pallone, strizzando l'occhio al sogno nel cassetto del giornalismo di professione.