Fran Escribá è lo storico vice-allenatore di Quique Sánchez Flores. I due si sono conosciuti durante il corso da allenatore a Las Rozas e sono rimasti in contatto. Non appena Quique Flores ha avuto la grande opportunità di allenare in Primera División al Getafe, non ci ha pensato su due volte a chi chiamare per offrire un posto da secondo, ed Escribá ha subito accettato. Per molti essere l’allenatore in seconda per sette anni equivale a mancanza di ambizioni, ma per lui si è trattato solo di un lungo apprendistato, e non appena si è sentito pronto a incominciare la sua avventura da solista ha afferrato al volo l’opportunità che la vita gli ha riservato. Ma la storia di Fran Escribá incomincia molto prima, e per calarsi nel personaggio bisogna conoscerne i primi passi.
Come tutti i bambini anche Fran sogna di diventare un calciatore: in ogni foto della sua infanzia è ritratto con un pallone di cuoio tra i piedi e il fratello maggiore racconta che di notte parla nel sonno e sogna di giocare a calcio. E il talento c’è. Entra nella cantera del Valencia a dodici anni e per sette lunghi anni scala tutte le formazioni: di lui si dice un gran bene, è il classico diamante grezzo per cui allenatori e dirigenti stravedono. Gioca come esterno sinistro, è rapido e tecnico e negli occhi sogna di ricalcare i passi del suo idolo Mario Kempes, che negli anni ‘70 a Valencia ha spopolato. Arriva a giocare nella rappresentativa valenziana e perfino nella selezione nazionale juvenil, ma purtroppo la sua carriera non spiccherà mai il volo. Finirà rimbalzato tra Segunda B e Tercera in squadre perlopiù locali come il Nules e il Novelda (paesino d’origine di Mario Gaspar). Così, appesi gli scarpini al chiodo, decide di buttarsi sulla carriera da allenatore partendo dal piccolo Buñol, dove mette in pratica quello che sta imparando al corso di Las Rozas, nel quale ha incontrato Quique Flores.
Non appena ottiene il patentino il Valencia lo riaccoglie a braccia aperte affidandogli la squadra Alevín, ma non è certo un incarico che gli garantisca di sopravvivere. Nel frattempo riesce a trovare un posto come funzionario giudiziario presso gli uffici della Cancelleria di Valencia. Può sembrare che questo posto cozzi con un uomo che ha sempre respirato calcio, ma non è affatto così. Lui è un tipo estremamente preciso e ordinato, a tratti pignolo, e la sua precisione si applica alla perfezione in entrambe le professioni. Il suo lavoro è egregio e il Valencia lo promuove direttore della scuola-calcio: da qui in poi il rettangolo verde non lo condividerà più con nessun altro. Solo a questo punto, nel 2004, arriva la chiamata di Quique Sánchez Flores, con cui condivide le idee calcistiche e che perciò decide di seguire in qualità di allenatore in seconda. Assieme faranno grandi cose da Getafe in poi. Torna a Valencia da vincente e con la squadra ché raggiunge i quarti di finale di Champions League, poi passa al Benfica e infine all’Atlético Madrid, dove vince l’Europa League e la Supercoppa europea. Solo a questo punto decide di separarsi da Quique Flores. Dopo sette lunghi anni le differenze di vedute col suo collega lo portano a intraprendere la sua strada. Escribá crede fortemente nel rapporto umano con i calciatori (probabilmente la cosa che più ha affinato nel suo lungo tirocinio da vice) e nella dedizione in allenamento. Si sente finalmente pronto per le responsabilità che derivano dal condurre la nave.
La grande opportunità gliela concede nell’estate del 2012 l’Elche, la squadra che da più tempo milita consecutivamente in Segunda División. Qua ritrova Carles Gil, un ragazzo che aveva allenato ai tempi del Valencia Alevín, e in cui rivede sé stesso da giovane. Come lui è un’ala sinistra ma all’occorrenza lo utilizza come trequartista centrale in un centrocampo retto dalla mediana Mantecón–Alberto Rivera, e spinto da due ali formidabili come Xumetra e Fidel. È un 4-2-3-1 disciplinato nel quale solo tre giocatori vanno in rete più di quattro volte in quarantadue giornate: la punta Coro, il terzino Edu Albacár e la rivelazione Xumetra. È una squadra che segna poco (54 reti stagionali coincideranno col decimo miglior attacco della categoria), ma incassa ancora meno. Nella sua concezione di calcio la difesa è necessaria per vincere ed è lì che l’allenatore deve mettere le mani, perché in fondo la fase offensiva dipende dalla qualità dei calciatori, ma i meccanismi difensivi sono una questione automatismi. Nonostante la presenza del Villarreal appena retrocesso, sarà una stagione clamorosa: porterà l’Elche a una promozione che mancava da ventiquattro anni, rimanendo in vetta dalla prima all’ultima giornata, cosa che nessuno era mai riuscito a fare. All’andata batte un Sottomarino giallo alla deriva, mentre al Madrigal trova tutta un’altra squadra. Marcelino ha rilevato il Submarino amarillo e ospita i blanquiverdes alla 37° giornata, dopo una striscia di quattordici risultati utili. Conta poco: nonostante i nove punti di vantaggio sulla zona play-off, l’Elche si presenta nella sua forma migliore e sbanca il feudo amarillo per due a tre. Sarà l’unica gara casalinga persa da Marcelino nella stagione. A fine stagione i record battuti sono tanti, ma spicca il miglior girone d’andata di sempre con 49 punti su 63 disponibili. Mica male per chi era abituato a vivacchiare in Segunda División. Fran Escribá si aggiudica il trofeo Miguel Muñoz che lo incorona miglior tecnico della categoria.
Può così finalmente debuttare nella massima serie e l’obiettivo è ovviamente c’entrare la salvezza. Il suo Elche inizia una lenta ma sostanziale mutazione. Escribá sa che non può replicare la stessa squadra che ha fatto faville tra i cadetti, perché se ha saputo sfruttare al massimo il talento della sua rosa, adesso metterla sul piano della qualità significa prendere schiaffi su quasi tutti i campi della Liga. La squadra che dominato in Segunda era una formazione abituata a difendere, spesso a lasciare l’iniziativa agli avversari per poi ripartire negli spazi sfruttando le doti offensive dei due esterni Xumetra e Fidel. Giocatori che possono fare la differenza a Guadalajara o Lugo, ma non a Bilbao o Málaga. Decide perciò di impostare una campagna acquisti sulla fisicità muscolare, soprattutto in difesa (arrivano Lombán e Botía) con l’aggiunta di qualche mediano di interdizione a centrocampo, e la scommessa Boakye, dal vivaio della Juventus, in attacco. È un mercato a costo zero, perché la società ha scarsi introiti. Garry Rodrigues costa 600mila euro, Lombán 50mila e Carlos Sánchez viene preso a costo zero. L’idea è semplice: centimetri e corsa sono le uniche armi per avere qualche chance tra i grandi di Spagna, ma contestualmente la squadra deve imparare a tenere di più il possesso palla per minimizzare le occasioni concesse agli avversari. È un’annata difficile ma alla fine le cose funzionano: il pareggio col Barcellona alla penultima giornata certifica la salvezza matematica. Un’altra grande impresa.
Finalmente ci sarebbero i presupposti per costruire qualcosa, ma il 2014/15 sarà un anno più complicato de previsto. Carlos Sánchez viene subito rivenduto in Premier League per sei milioni di euro, ma il mercato in entrata sono solo parametri zero e prestiti. La grande intuizione si chiama Jonathas, il cui prestito viene a costare 500mila euro, è un attaccante 25enne del Pescara ma si dimostrerà un giocatore utilissimo: saranno quattordici i gol a fine stagione. Il problema è che l’Elche è invischiato in una serie di problemi amministrativi e finanziari. A Natale i calciatori si rendono conto di non ricevere lo stipendio da un paio di mensilità, addirittura molti giocatori non più in rosa reclamano ancora pendenze con il club, e il prestito chiesto dal presidente José Sepulcre non è mai stato concesso. Nella finestra di mercato arrivano José Alberto Cañas e Gabi Mundingayi: il primo supera le visite mediche e il secondo, svincolato, si allena per tre mesi in attesa che arrivi il lasciapassare. Ma la Federcalcio ha bloccato il mercato in entrata al club e nonostante le rassicurazioni dei dirigenti la faccenda non si sblocca e rimane tutto congelato.
In una situazione del genere è difficile allenare: l’Elche è ultimo in classifica con dieci punti e due sole vittorie in sedici gare. È a quel punto che Escribá tira fuori dal cilindro l’ennesima impresa. Il 3 gennaio riprende il campionato e i blanquiverdes bloccano il Villarreal di Marcelino: sarà l’inizio di una rimonta stratosferica. Trova la sistemazione tattica a Fayçal Fajr, dirottandolo dalle fasce a trequartista centrale e spostando Víctor Rodríguez sull’esterno, ma con licenza di accentrarsi a formare un doppio pivot alle spalle della punta. Il tecnico convince i giocatori a sfogare tutta la propria rabbia sul campo, senza pretendere alcuna riappacificazione con la società. Non a caso ad aprile è lui il primo a prender parte al boicottaggio annunciato il 2 aprile e organizzato da staff tecnico e giocatori che decidono di rifiutarsi di apparire pubblicamente in qualità di tesserati. Nonostante tutto l’Elche chiude con un miracoloso tredicesimo posto, ma a campionato chiuso verrà retrocesso d’ufficio per insolvenze con la Federazione.
Ma il suo lavoro non è passato inosservato e riparte l’anno dopo da Getafe. Qui conferma il 4-2-3-1, anche se di volta in volta sa adattarsi all’avversario optando per un 4-4-2 più strutturato, e punta tutto su alcuni giocatori chiave. Anche perché – manco a dirlo – la società non spende nemmeno un euro per il mercato in entrata, ma lo accontenta assicurandogli due giocatori da Elche: Víctor Rodríguez in prestito e Damián Suárez a parametro zero. I perni della sua formazione sono innanzitutto Álvaro Medrán, regista in prestito dal Real Madrid, che si trasforma in autentico leader del centrocampo; ma anche Pablo Sarabia e Víctor Rodríguez sulle fasce laterali, che amano accentrarsi per allargare il raggio d’azione. La squadra sembra girare bene: chiude il girone d’andata al dodicesimo posto, alla larga dalla zona retrocessione. E se ne accorge anche il Villarreal che cade al Coliseum Alfonso Pérez per due reti a zero. Ma poi il giocattolo si rompe. Prima arriva l’infortunio al perone di Álvaro Medrán che lascia Mehdi Lacen solo in mezzo al campo senza una valida spalla a fianco su cui contare. Poi nel mercato invernale la società vende due titolari all’estero: il centrale difensivo Alexis e la punta Lafita, in pratica l’unico che la buttava dentro. Il Getafe entra in una spirale negativa da cui non riesce più a uscire. Quando Fran Escribá viene esonerato, a sei giornate dal termine, la sua squadra ha raccolto appena due punti degli ultimi trentasei disponibili e non segna in trasferta da quasi tre mesi. La sconfitta fatale la rimedia al Madrigal, proprio come era successo a Marcelino che prima di approdare al Villarreal era saltato dalla panchina del Siviglia proprio dopo una sconfitta col Submarino amarillo. Lascia la squadra in zona retrocessione con la convinzione che sarebbe riuscito a salvarla, ma non ci riuscirà nemmeno il suo successore, in grado di espugnare Anoeta e Riazor e di pareggiare col Valencia.
Dopo l’esonero di Marcelino il suo è stato il primo nome preso in considerazione dalla famiglia Roig. Nonostante molti si aspettassero il ritorno di Manuel Pellegrini la dirigenza amarilla ha sempre avuto una certa filosofia in materia allenatori: pochi, affamati e meticolosi. Fernando Roig non ha mai puntato su grandi nomi per la panchina, ha sempre preferito puntare su tecnici emergenti che considerassero il Madrigal un punto di arrivo e non una meta di passaggio. Non avevano pedigree di razza né Manuel Pellegrini né Marcelino García Toral prima di arrivare nella Plana Baixa, come non ne ha Fran Escribá. La fame (calcistica, s’intende) è il primo parametro considerato, e tra l’altro va a braccetto con uno stipendio più magro rispetto alla scelta di un nome affermato. Fattore da non tralasciare considerando che i due milioni percepiti da Marcelino e staff equivalgono a quelli di un calciatore di punta qui a Vila-real. Ma, punto secondo, la scrupolosità. Escribá, proprio come il suo predecessore, è un tecnico duro: pretende il massimo dai suoi calciatori e dedica altresì tutto sé stesso alla squadra. Il suo diktat è uno, e lo ha ripetuto più volte durante la prima conferenza-stampa: ordine. Anche scorrendo le sue interviste a Elche e Getafe questa parola emerge spesso: squadra ordinata, l’ordine difensivo, non bisogna scomporsi, ci vuole prima di tutto ordine. E proprio per questo con lui sulla panchina il progetto Villarreal continuerà a procedere sulla strada già tracciata dal tecnico asturiano in questi ultimi tre anni e mezzo. «Vado matto per i giocatori per i calciatori che si allenano bene, e spesso e volentieri sono i migliori anche a livello tecnico» rivelò nel corso di un’intervista su AS a inizio stagione «La cosa fondamentale è la nostra posizione dietro la linea del pallone». Il suo calcio non è difesa e attacco, ma ordine ed equilibrio.
E proprio come Marcelino finisce per farsi assorbire completamente dal suo lavoro. «Dall’inizio al termine di una stagione passano circa undici mesi: in tutto questo periodo non mi dedico al mio lavoro per sei o sette giorni al massimo». Praticamente un’ossessione. La cura dei dettagli fino a lambire nella mania. «Dedico praticamente ventiquattro ore al giorno al mio lavoro, ho poco tempo per riposarmi» ribadì a Marca pochi mesi fa «Adesso per esempio stavo vedendo Levante-Rayo (i valenziani erano il prossimo rivale del Getafe, ndr), ma appena arrivo a casa, mangio e mi rimetto sotto. Per un allenatore gli allenamenti sono la parte in cui lavora di meno: stai all’aperto assieme ai giocatori e devi solo stargli dietro». Se solo allenasse da più tempo sarebbe stato definito un perfezionista. Tanto da mutare l’atteggiamento della sua creatura in base all’avversario. «Rispetto i colleghi che dicono di preparare tutte le gare alla stessa maniera, indipendentemente dall’avversario, ma io non lavoro così» rivelò a Mundo Deportivo «C’è una parte che dipende dai tuoi giocatori, ma ce n’è un’altra dipende dal tuo avversario e non puoi condurre lo stesso allenamento. Gli esercizi che fai durante la settimana devono essere propedeutici alle situazioni della partita che ti aspetti di giocare». Forse tanto male non è.
Questa sua attenzione maniacale per i dettagli ha spesso caratterizzato Escribá, al pari di quanto succede con Marcelino, a vedere i propri giocatori rendere al di sopra delle aspettative. Ad esempio calciatori come Xumetra, Fidel, Corominas, Fayçal Fajr, Jonathas, Víctor Rodríguez o Pablo Sarabia non hanno mai raggiunto prestazioni di livello come sotto la sua guida. Se per alcuni, come per Álvaro Medrán o Mario Pašalić, la carta d’identità è una valida giustificazione, per altri più maturi come Jonathas o Sarabia la spiegazione può essere trovata solo nelle qualità del tecnico valenziano. Se così fosse allora sarebbe una marcia in più per questo Villarreal, abituato a cavare il meglio dai propri tesserati. E ad aiutarlo in questa difficile avventura ci saranno i suoi collaboratori fidati: il suo vice Josep Alcácer e il preparatore atletico José Mascaros. José Alcácer, ex-centrocampista semi-professionista, nonostante la sua giovane età (37 anni a breve) ha già un curriculum di tutto rispetto. Laureato in Scienze Motorie, è stato allenatore dell’Atlétic Llíria Juvenil, nella sua città natale, del Levante sezione femminile e di una rappresentativa valenziana sempre femminile, e allenatore in seconda di Abel Resino al Castellón e di Manuel Preciado allo Sporting Gijón. Avrebbe dovuto essere il suo vice anche nell’esperienza al Villarreal, quando la società lo scelse per riportare il Sottomarino giallo in Primera, ma dopo la sua morte Josep Alcácer si ritrovò a gambe all’aria. E proprio in quel momento Escribá lo scelse come suo collaboratore. È inoltre stato collaboratore al Levante e al Villarreal B, nel 2009/10, sotto la guida di Paco Herrera.
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