Chi è José Ángel (da Twitter)

A Roma lo conoscono bene, ma ha lasciato pochi bei ricordi. Dalla sua unica stagione in giallorosso ne è uscito col soprannome di José Angel da Twitter – appellativo affibbiatogli da Kansas City, alias di Diego Bianchi e Simone Conte –, tanto per rimarcare come la sua intensità sui social network sia rimasta più impressa di quella sul rettangolo verde. Pomeriggi a farsi fotografare mentre gioca ai videogiochi, istantanee del suo cane con la maglia della Roma, e il tutto mentre la squadra navigava in acque poco tranquille. Sicuramente sulla soglia dei ventisette anni José Ángel Valdéz Díaz è un giocatore in declino, che non è riuscito a fare il salto di qualità promesso a inizio a carriera. Per certi versi è il tipo di calciatore che il Villarreal ama mettere sotto contratto: economico, in cerca di rilancio e con un potenziale inespresso. Eppure le premesse erano tutt’altro che scoraggianti: dopo aver bazzicato qualche anno nelle squadre del suo quartiere (nel Roces dal ‘94 al ‘96 e nel La Braña nel ‘96/97) a soli otto anni approdò nel settore giovanile dello Sporting Gijón, la principale realtà del capoluogo asturiano.
A Gijón lo Sporting non è una squadra, è un’istituzione. Qua tutti sono prima sportinguisti, e solamente dopo madridisti o barcellonisti. A casa José non può che ereditare la tradizione rojiblanca inneggiata dal nonno, che si prende la briga di accompagnarlo agli allenamenti fino al Mareo, la storica cantera dello Sporting. Sono anni fondamentali nella sua crescita personale e sportiva. Per ben quattro di questi anni coincide con Denis Chéryshev, il cui padre Dmitri è stato appena acquistato dalla prima squadra del Gijón, ma che ha un anno meno di lui. Poi quando nel 2001 il russo è costretto a trasferirsi a Burgos, José incrocia un altro futuro groguet. Marcelino García Toral, che ha dedicato tutta la sua vita da tifoso e gran parte di quella da calciatore allo Sporting, prende in mano la squadra riserve e supervisiona tutto il settore giovanile. Nota subito José Ángel (lo ha ricordato lui stesso in conferenza-stampa la scorsa settimana), ma lo conosce con un altro nome: Cote. È il soprannome che tutti i suoi compagni gli hanno rifilato, lui non sa bene il perché, ma lo fa suo.

La sua scalata nella cantera sportinguista prosegue spedita. La prima grande soddisfazione arriva nella stagione 2003/2004 con la squadra juvenil (il corrispettivo della nostra Primavera) allenata da Alejandro Menéndez. Un’annata iniziata malissimo, con una sconfitta per sei a zero contro la Real Oviedo di un giovanissimo Michu, ma che prosegue in una progressiva scalata. La squadra si aggiudica il raggruppamento regionale della División de Honor, titolo che mancava da dieci anni, scavalcando il Celta Vigo proprio all’ultima giornata e qualificandosi per la Copa de Campeones, in pratica i play-off scudetto. «Ci presentammo con tutta l’umiltà possibile, vedevi le altre squadre nell’hotel e sembravano compagini di Primera División» raccontò poi José Ángel. Ma eliminarono prima il Siviglia per due a zero e poi l’Atheltic Bilbao per due a uno. L’ostacolo maggiore, però, si chiamava Espanyol, già finalista l’anno precedente. Al Pedro Escartín di Guadalajar ne uscì una partita molto tirata, decisa solamente ai tiri di rigore.
Lo Sporting juvenil alzò al cielo la prima Copa de Campeones della sua storia, un evento che fu celebrato perfino con un omaggio al Molinón. «Non ci eravamo abituati, soprattutto alla stampa.» ricordò lo stesso José Ángel «Fu come quando Casillas scese dall’aereo con la Coppa del Mondo». Si iniziò a parlare di una generazione di campioni, ma man mano che gli anni passeranno tutti i pezzi dello scacchiere si perderanno. Ad oggi il cammino di José Ángel è stato di gran lunga quello più gratificante. Ma per il suo approdo tra i professionisti bisogna aspettare qualche anno. Solamente a diciannove anni compiuti si guadagna il definitivo salto nello Sporting Gijón B, appena promosso in Segunda División B, terza divisione spagnola. Qui trova Abelardo, ex-difensore del Barcellona dei primi anni ‘90 e attuale tecnico rojiblanco.
Sotto la sua guida José Ángel diventa finalmente un calciatore. Terzino sinistro agile, buon tocco di pallone, propensione alla sovrapposizione e ottimo cross. Grazie a ottime prestazioni si guadagna prima il debutto in prima squadra in una gara di Copa del Rey, e poi l’esordio in Liga. L’8 febbraio 2009 al Camp Nou. L’allenatore dello Sporting, Quini, lo manda in campo a partita in corso, ma c’è un piccolo particolare: sul suo lato c’è un certo Lionel Messi. «Non aver paura» gli dice il tecnico prima di spedirlo in campo «Messi non è nessuno e non c’è miglior posto che il Camp Nou per debuttare». Per inciso, a fine anno Messi vincerà il primo dei suoi quattro Palloni d’Oro consecutivi. Comunque, entrato sul due a zero, la gara finirà tre a uno ma Messi non segnerà. Una settimana dopo arriverà anche il suo primo gol da professionista, contro il Deportivo La Coruña. Se lo ricorderà bene: per vederne un altro dovrà aspettare anni, e a oggi il conto è fermo a due sole reti. La sua ascesa sembra inarrestabile. Il 27 marzo debutta con la under-21 in amichevole, e a fine stagione Luis Milla lo recluta nella selezione under-20. Con questa prende parte ai Giochi del Mediterraneo a Pescara, in cui la Spagna strappa la medaglia d’oro proprio all’Italia, e a fine stagione si aggiudica il secondo posto ai Fútbol Draft, cerimonia che incorona i migliori giovani spagnoli della stagione ruolo per ruolo, dietro a Roberto Canella che invece è il terzino sinistro titolare della prima squadra. In quel “once de oro” figurava anche un certo Sergio Asenjo tra i pali.

Le cose continuano ad andare bene anche la stagione successiva. Si inizia con la partecipazione ai Mondiali under-20 in Egitto, e Luis Milla punta di nuovo su di lui per la fascia sinistra, preferendolo a Dìdac Vilà. In squadra ci sono molti giovani promettenti: dallo stesso Asenjo in porta, a Jordi Alba e Azpilicueta, ma anche giocatori meno quotati del calibro di Iago Falque e Ander Herrera. Il Villarreal vanta ben tre canterani in squadra: Diego Mariño, Marcos Gullón, Joan Oriol. La squadra sembra girare bene, José Ángel è titolare indiscusso, ma alla prima partita a eliminazione diretta arriva la cocente eliminazione contro l’Italia di Mustacchio, la stessa che si era vista umiliare in casa pochi mesi prima. La Spagna si ritrova con un uomo in meno prima della mezzora e non riuscirà più a uscirne fuori. Ma intanto Cote diventa membro stabile della prima squadra, promosso da Manolo Preciado, l’allenatore che più di ogni altro segnerà la sua evoluzione calcistica. È un tipo tosto, severo, uno che ti spezza la schiena, noto per la rigidità dei suoi allenamenti. José sa che grazie a lui può migliorare sotto molti aspetti e non a caso a fine stagione vincerà il Fútbol Draft come miglior terzino sinistro under-21 dell’intero panorama spagnolo.
A ventuno anni è un calciatore formato. E grazie a un infortunio che colpisce il titolare, Roberto Canella che ha appena un anno più di lui, diventa titolare e disputa la sua miglior stagione di sempre. Lo Sporting chiude una splendida stagione a metà classifica e si merita le prime pagine di tutti i quotidiani spagnoli del 3 aprile 2011. Espugnando il Santiago Bernabéu Manolo Preciado infrange il record di José Mourinho che non perdeva una gara casalinga di campionato da ben nove anni, e José Ángel prende parte a pieno titolo all’impresa. Così a maggio Luis Milla se lo porta in Danimarca per gli Europei under-21, ma stavolta non giocherà nemmeno un minuto: il titolare è diventato quel Dìdac Vilà che aveva visto i Mondiali dalla panchina due anni prima. Qui conosce Bojan Krkić, che diventerà il suo migliore amico nell’esperienza capitolina, e la Spagna si laurea campione d’Europa. Proprio in questo momento arriva il momento di tentare il grande salto nel calcio che conta. Luis Enrique, che è di Gijón come lui, appena approdato sulla panchina della Roma lo pretende e Walter Sabatini lo ufficializza il 19 luglio 2011: operazione da 4,5 milioni di euro più mezzo milione di bonus facilmente attivabili (alla quinta presenza in maglia giallorossa) e 600mila euro di stipendio.
Ma, come già detto, sarà un’annata difficile. Il ragazzo non è ancora pronto per affermarsi in una piazza difficile come quella romana, specialmente in una stagione difficile come quella di Luis Enrique. Il tecnico gli ripete il solito diktat: giocare semplice, ma le cose non funzionano. Debutta nel preliminare di Europa League contro lo Slovan Bratislava in cui i giallorossi rimediano una pessima figuraccia. L’esordio in campionato va pure peggio: riesce a farsi espellere e la Roma cade contro il Cagliari allo stadio Olimpico. Il resto è storia nota. La squadra chiuderà fuori dalle competizioni europee per la prima volta negli ultimi anni e lui verrà subito messo sul mercato. Vuole tornare in Spagna e Alfredo Martínez, il suo agente, riesce a piazzarlo alla Real Sociedad in prestito. Ma le cose non migliorano: nonostante la squadra viva una stagione eccezionale, chiusa con un inaspettato quarto posto, José Ángel gioca poco e niente, il tecnico non lo vede proprio. Il suo addio a fine anno sembra scontato, ma con le dimissioni del tecnico Montanier e l’arrivo di Jagoba Arrasate ci sono i presupposti per il rinnovo del prestito per un altro anno. Trova più spazio ma le sue prestazioni convincono pochi.
Nell’estate del 2014 la Roma riesce a disfarsi definitivamente del suo cartellino: il Porto lo acquista senza pagarlo e la società capitolina si accontenta di una clausola che le garantirà la metà degli introiti sulla prossima cessione. Il club portoghese, per non sbagliarsi, lo blinda con una clausola risolutiva di trenta milioni di euro, ma nemmeno qui il giocatore ritroverà la tranquillità delle Asturie. Dopo una stagione in tribuna è ora approdato a bordo del Submarino amarillo. Partirà come panchinaro di Jaume Costa, ma con Marcelino e le tre competizioni in gioco il turn-over è assicurato. Poi a giugno si deciderà se esercitare il diritto di riscatto o meno, in attesa di capire anche come andrà la stagione di Adrián Marín al Leganés.