Nel panorama calcistico Andrés Fernández è una di quelle rare eccezioni che a volte fa piacere trovare. Non tanto per la caratura del calciatore, che non può essere messa in dubbio soprattutto dopo una buonissima stagione al Granada, ma più che altro per il calibro della sua personalità. Pur essendo cresciuto con l’ambizione di diventare Jorge Molina (che tra l’altro fu allenatore del Villarreal nel 2011/12) o Iker Casillas, se gli si dovesse chiedere chi sia il suo punto di riferimento nella vita risponderebbe senza ombra di dubbio Gandhi. L’influenza della mamma che lo ha condotto al buddhismo ha avuto il suo peso, ma la sua devozione verso il Mahatma ambisce a una serie di valori spesso inflazionati dai calciatori ma raramente apprezzati sul serio: la filosofia del sacrificio e l’individualità al servizio del gruppo. Non è facile sentirsi dire da un giocatore che la sua più grande passione è leggere perché bisogna trovare un posto in questo mondo anche al di fuori del calcio.
Ma come la maggior parte delle storie di calcio, anche quella di Andrés inizia fra le strade della sua città, in quel di Murcia, dove inizia a giocare con gli altri bambini del quartiere. Nessuno vuole andare in porta, così spesso e volentieri ci finisce lui. Ma a forza di stare lì ci prende gusto. Un allenatore delle giovanili del Real Murcia lo intravede e lo convince a iscriversi alla scuola calcio della società. Andrés non ci pensa su due volte: il Real Murcia, assieme al Real Madrid, è la squadra del suo cuore, tradizione ereditata dal nonno. Ma la carriera militare del padre lo porta a Tenerife all’età di quattordici anni: è qui che si formerà la persona e il portiere. Gli anni adolescenziali li trascorre nelle isole Canarie, dove termina la scuola dell’obbligo e intraprendere gli studi universitari alla Facoltà di Ingegneria informatica.
E dopo cinque anni, nell’estate del 2005, arriva la chiamata importante. Lo vuole il Mallorca, la cui prima squadra milita in Primera División, e Andrés coglie al balzo l’opportunità. Nella cantera maiorchina perfeziona la tecnica, ma non riesce a fare il salto tra i professionisti. Occasione che invece gli darà l’Osasuna. Il club navarro lo mette sotto contratto due anni più tardi, e pochi mesi dopo gli concede la possibilità di debuttare in massima serie. Succede il 21 ottobre 2007 contro l’Almería, il titolare Juantxo Elía si fa espellere e Andrés Fernández entra senza riscaldamento. Le cose non vanno benissimo: appena entrato non riesce a neutralizzare il rigore di Felipe Melo e a fine gara l’Osasuna uscirà a testa bassa dall’incontro. Ma sarà nella squadra riserve, l’Osasuna Promesas, che le sue prestazioni prenderanno il largo, alimentandone una reputazione di para-rigori. Nella gara contro il Sestao ne parerà addirittura due negli ultimi minuti di gioco.
La stagione che lo consacrerà definitivamente sarà il 2010/11. Assieme ad altri quattro giocatori rojillos – Echaide, Jokin, Oscar Vega e Jorge Galán – viene ceduto in prestito all’Huesca, compagine di Segunda División (in rosa coincide anche con Tariq Spezie dell’Udinese). Qui si ambienta subito: alla sua prima intervista dichiara «mi trovo bene, mi sembra di essere sempre stato qui e invece sono arrivato solo da una settimana». Viene seguito da Ángel Lozano, preparatore dei portieri già a Salamanca e Tarragona, e nonostante non parta titolare viene lanciato per la prima volta alla settima giornata contro lo Xerez. È la gara della svolta. L’Huesca trova la prima vittoria stagionale e Andrés Fernández toglie il posto a Jesús Cabrero, mantenendo la porta inviolata anche nelle gare successive contro Cartagena ma soprattutto il Barcellona B di Luis Enrique, tra le cui fila spiccano Nolito e Jonathan dos Santos. Le sue quotazioni prendono il volo, soprattutto per merito di gare come quelle contro il Rayo Vallecano (che terminerà secondo ma viene battuto per 4-2) e il Córdoba (2-0), tanto che l’Osasuna a febbraio gli rinnova il contratto ponendo una clausola di ben nove milioni di euro. A fine stagione, nonostante il quattordicesimo posto in classifica dell’Huesca, Andrés si aggiudica il Trofeo Zamora, premio assegnato al portiere con il miglior coefficiente di reti subite per gare disputate in campionato. Ha incassato appena ventisei reti in trentuno presenze, il che ha permesso alla sua squadra di chiudere con la terza miglior difesa della divisione. Il suo coefficiente di 0,84 reti per incontro è il miglior quarto risultato da quando esiste questo trofeo tra i cadetti (cioè dal 1985/86) e solo Claudio Bravo con 0,88 due anni prima aveva fatto meglio di lui e ha poi raggiunto livelli maggiori.
Così l’Osasuna decide di richiamarlo alla base come terzo portiere. Lui viene preso sotto l’ala protettivo di Ricardo, ex-portiere del Manchester United e oggi preparatore dei portieri della nazionale giapponese, che per Andrés diventerà alla stregua di un fratello maggiore adottivo. Anche stavolta la fortuna gira dal verso giusto. Nel corso della prima di campionato il titolare Asier Riesgo si infortuna e l’allenatore decide di mandare in campo lui: Andrés sigilla la porta e diventerà il titolare inamovibile di uno dei migliori Osasuna di sempre, in grado di arrivare settimo in Liga, a un punto dalla qualificazione per l’Europa League. E dire che l’annata non era iniziata nel migliore dei modi. Già, perché il 17 settembre 2011 incappa in una delle giornate più difficili di sempre. Ne incassa otto dal Barcellona e per un portiere non è mai facile. Ma nel tunnel verso gli spogliatoi Víctor Valdés prova a consolarlo dicendogli che non ha colpe su nessuno degli otto gol subiti e lo abbraccia. È un gesto semplice ma spontaneo, il genere di gesti che Andrés sa apprezzare. Ma nel resto della stagione dimostrerà tutto il suo valore con alcune prestazioni fenomenali, come nelle partite contro il Betis, la Real Sociedad, il Levante o il ritorno col Barcellona, vinto per 3-2. Sarà un caso ma l’anno successivo, proprio contro i catalani, si renderà protagonista di un’altra prestazione sensazionale: subisce due reti, è vero, ma si mette in evidenza con tredici parate. Non tre, ma tredici.
Nell’estate del 2013 c’è il primo avvicinamento del Villarreal. Lui è uno dei portieri emergenti più chiacchierati del campionato e il Sottomarino giallo cerca un titolare per il ritorno in massima serie. La mattina del 10 luglio si trova l’accordo sulla base di una cifra tra i tre e i quattro milioni di euro, più vari bonus facilmente accessibili che porterebbero l’entità del trasferimento fino a cinque milioni di euro. Ma sei giorni più tardi, quando mancano solo le firme tra le tre parti, il presidente navarro Miguel Archanco annulla tutta l’operazione emettendo un comunicato ufficiale. Una questione mai totalmente chiarita, per cui si presunse una burrascosa relazione con alcuni dirigenti sottoposti, l’allora direttore sportivo Ángel Martín González e il direttore generale Ángel Vizcay. A farne le spese fu il Villarreal (e il Siviglia che stava trattando Arribas e finì nella stessa situazione), ma soprattutto il portiere che non si mosse da Pamplona. Il Submarino amarillo virò alle stesse cifre su Sergio Asenjo, attuale portiere groguet, mentre l’Osasuna si imbatté in una pessima stagione, conclusasi con una retrocessione che ancora brucia.
Da qui in poi inizia la parabola discensiva della sua carriera con la cessione al Porto, che lo paga due milioni e mezzo. In Portogallo giocherà poco e niente, appena tre presenze: una in campionato, una in coppa e una in Europa. Fino al prestito al Granada nella scorsa stagione in cui ha finalmente ritrovato continuità difendendo egregiamente i pali della società andalusa. Ma guai a parlare di sfortuna: per lui, che di rituali non ne vuole sentir parlare, la superstizione è solo un indizio di debolezza. Adesso, a ventinove anni, approda finalmente al Villarreal, solamente in prestito ma con un diritto di riscatto non precisato, comunque abbastanza accessibile. E si è subito fatto notare parando due rigori contro lo Sporting Lisbona nel Troeo Ibérico, il giorno del suo debutto. Sicuramente il titolare sarà Asenjo ma Marcelino ha sempre dato molto spazio anche alle seconde linee, specialmente dovendo affrontare tre competizioni. Nessuno ne ha parlato ma probabilmente questa operazione va inquadrata in un’ottica di copertura assicurativa nel caso in cui Asenjo dovesse imbattersi nell’ennesimo guaio al ginocchio, possibilità da tenere in considerazione visti i precedenti. Questo perché il club poteva già contare su un secondo portiere di esperienza come Mariano Barbosa, che fino a poco più di un anno fa era un buon titolare in massima serie. Ma la speranza è che tra Andrés Fernández e Sergio Asenjo possa esserci soltanto una sana competitività per tutta la stagione.
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