Chi è Cristian Espinoza, la joya dell’Huracán

Cristian Espinoza è considerato il più cristallino talento mai formato dalla cantera dell’Huracán. Il Villarreal lo ha prelevato a inizio mese ma non lo ha ancora ufficializzato, giacché il giocatore non è ancora atterrato in Europa perché la società gli ha permesso di rispondere alla convocazione della selezione olimpica. Può essere considerato come l’ultima scommessa di Antonio Cordón prima del suo addio – le due precedenti sono state Gabriel Paulista e Vietto, rivenduti a un valore complessivo di circa una quarantina di milioni di euro, rispettivamente ad Arsenal e Atlético Madrid. La sua storia, come quella di molti giocatori argentini, è ricca di aneddoti e si interseca, potremmo dire che si fonde, con quella dell’Huracán, storico club del calcio bonaerense, di cui Espinoza ha sempre vestito la maglia.

La sua carriera calcistica inizia tra le fila del Los Andes, squadra del barrio Banfield, a soli quattro anni. Papà Omar è un grande tifoso di calcio e prefigura un futuro sul rettangolo verde per Cristian («non appena Sandra rimase incinta, già sapevo che sarebbe diventato un calciatore, ma non l’ho mai obbligato, doveva essere una sua decisione»), ma il suo sogno è che vesta la maglia della sua squadra del cuore: l’Huracán. La grande opportunità arriva quando Cristian ha dieci anni. José Argañaráz, detto “Gara”, tutt’oggi tecnico delle giovanili, gli concede un provino e, convinto delle qualità del ragazzo, lo tiene sotto la sua ala protettrice. Per la famiglia Espinoza l’impegno non è da poco: La Quemita, il centro di formazione del Globo, dista oltre quaranta chilometri da Alejandro Korn, il sobborgo in cui vivono, e la mamma Sandra impiega un paio di ore ad accompagnarlo a ogni allenamento. Poi la situazione famigliare si aggrava nel giro di poco tempo. Papà Omar perde il lavoro e Sandra deve mantenere il marito e i due bambini, ma pur di non perdere questa opportunità, si incarica lui stesso di accompagnare Cristian a Buenos Aires.

Il percorso è sempre lo stesso. Prima si prende il treno da Alejandro Korn fino a Costitución, e ci vuole un’oretta, poi da lì si va in bicicletta fino al campetto per una cinquantina di isolati. Papà Omar resta a guardare gli allenamenti, e poi quando si fa sera si ritorna a casa alla stessa maniera, ma non senza mai dire al ragazzo quanto di buono si è visto in campo. Restare con i piedi per terra è il suo diktat, e quando Cristian torna esausto da lui, si sente sempre ripetere che può fare di meglio. In questi anni imparerà il valore del sacrificio e della dedizione. Soprattutto quella sera che Omar ha un attacco di crampi durante una pedalata in discesa e quando riescono ad arrivare in stazione, alle undici di sera, l’ultimo treno per Alejandro Korn è già partito. Grazie al cielo ci pensa un amico di famiglia che passa di lì a riportarli a casa con un furgoncino. Ma il carattere del piccolo Cristian si sta formando, e sarà la sua forza quando capirà che a guadagnarsi le cose da solo è tutta un’altra musica.

A quindici anni arrivano le prime soddisfazioni, quando vince il Latinoamericano di Mar del Plata, torneo under-17 di risonanza nazionale. In quella squadra ci sono anche Alejandro Romero e Tiago Casasola: il primo debutterà qualche mese dopo di lui in prima squadra, dove tuttora gioca, il secondo emigrerà in Premier League nel giro di poco, per poi finire alla Roma, società che lo ha ancora sotto contratto (la stagione appena conclusa l’ha disputata al Como, allenato dal fratello di Walter Sabatini). È la prima volta che il Globo, come viene chiamato l’Huracán, si aggiudica un torneo giovanile di questa rilevanza e il suo talento inizia ad essere notato. La consacrazione definitiva avviene in Sexta División, campionato regionale, dove Espinoza si mette in mostra come capocannoniere e miglior giocatore del torneo: è il biglietto da visita per il definitivo salto tra i grandi. Debutta il 24 marzo 2013 – due a due contro contro l’Instituto di Córdoba –, non ancora diciottenne nella Nacional B, la cadetteria argentina, lanciato da José Manuel Llop che crede fortemente nel ragazzo.

Ma è dalla stagione successiva che diventa titolare. Rapido e tecnico, è la tipica ala sinistra sudamericana: eccellente controllo del pallone, padrone della fascia laterale, predilige il traversone al centro, ma non disdegna andare in gol. È la prima volta nella storia del Globo che un ragazzo ha scalato tutte le categorie del settore giovanile e si è imposto in prima squadra. Papà Omar vede un sogno realizzarsi: suo figlio veste la maglia dell’Huaracán ed è più felice di lui. E l’anno della svolta è proprio il 2014. Conclusa la stagione 2013/14, la ristrutturazione del campionato argentino impone un torneo di passaggio, il Nacional 2014, da disputarsi tra agosto e dicembre, che permetterà a ben dieci squadre della Nacional B di accedere alla Primera División. Ed è a questo punto della storia che irrompe un personaggio unico e bizzarro: Néstor Apuzzo, un nome indissolubilmente legato al Globo. Sostituisce Kudelka a campionato in corso e in un mese e mezzo riscrive la storia recente del club. Su di lui ci si potrebbe girare un film, strano che nessuno ci abbia ancora pensato.

A soli diciotto anni già sedeva nella panchina dell’Huracán in massima serie, ma la leva obbligatoria gli rovina la carriera da calciatore. Torna dalle isole Falkland, anzi dalle Malvinas, con un rene sfondato che gli fa orinare sangue tutti i giorni e un’infezione al piede che viene diagnosticata erroneamente come un tumore. Se la caverà, ma il rettangolo verde lo vedrà solo in televisione. Gli consigliano di fare causa alla società, ma Dio gli dice di non farlo: ha altri progetti per il suo futuro e il suo amore per il club prevale. Finirà per guadagnarsi da vivere facendo il tassista notturno, ma a ventotto anni arriva la chiamata della sua vita. Torna a vestire la maglia dell’Huracán, ma sezione calcetto: diventerà in pochi anni uno dei più grandi giocatori di futsal della storia del club, tanto che a fine carriera verrà spostato al dipartimento di calcio a undici. Qui giocherà fino ai trentacinque anni e la sua avventura nel calcio proseguirà tra allenatore e dirigente sportivo (tra le altre cose diverrà anche un tecnico de La Masia). Nel novembre 2014 prende in mano la prima squadra del Globo e mette la sua firma su quarantatré giorni leggendari in cui vince otto partite e ne perde solo una. In pratica riporta la squadra in massima serie, dove mancava da oltre tre anni, e alza il primo trofeo in più di quarant’anni di storia del club, la Copa argentina. Non pago, si aggiudicherà anche la Supercopa contro i campioni nazionali del River Plate, tra le cui fila compaiono Funes Mori e Kranevitter (e l’ex-amarillo Cavenaghi).

Ma durante la partita decisiva per la promozione, a Mendoza, sugli spalti c’è Humberto Grondona, c.t. dell’Argentina under-20, che viene positivamente sorpreso dalla joya dell’Huracán e decide di convocarlo per il Campionato Sudamericano under-20 2015. «Mi sorpresero lui e Leo Rolón» affermò in una successiva intervista «Cristian non si stanca mai, a volte bisogna fermarlo perché inizia a correre e lo vedi dappertutto, a destra, a sinistra…». Nella selezione under-20 ritrova Tiago Casasola, ma soprattutto condivide lo spogliatoio con Léo Suárez, che proprio in quei giorni passa al Villarreal. Nel torneo continentale parte titolare, ma nel proseguo della competizione si perde un po’, oscurato da Ángel Correa, talento dell’Atlético Madrid, e da Giovanni Simeone, figlio dell’allenatore colchonero, che si consacra capocannoniere della rassegna. L’Argentina comunque si aggiudica il trofeo nell’ultima gara contro l’Uruguay di Franco Acosta, altro acquisto della cantera grogueta, e si guadagna il passi per i Mondiali in Nuova Zelanda e per i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro.

In Primera División le sue prestazioni si confermano di alto livello, e torna a vestire la maglia della selezione nazionale per i Mondiali di categoria. Ma stavolta la squadra di Grondona esce rovinosamente al primo turno, eliminata da Austria e Ghana, due formazioni che dimostreranno agli ottavi di finale di essere ben poca cosa. Espinoza gioca due spezzoni di gara e non lascia il segno nemmeno stavolta. Ma comunque il Villarreal tenta un primo approccio durante quell’estate, offrendo quattro milioni di euro per l’80% del cartellino, però il presidente Alejandro Nadur rifiuta prontamente. Anzi, resosi conto che la clausola del giocatore è di appena cinque milioni di euro preme per il rinnovo, ma il giocatore preferisce non porre alcuna firma: lo alletta di più una possibile partenza per l’Europa. Partenza che non dovrebbe tardare a tramutarsi in realtà, soprattutto perché il suo estro si ritaglia fette sempre più grandi di popolarità. Come nel match di agosto contro il Crucero del Norte, quando l’Huracán è sotto di tre reti a un quarto d’ora dalla fine, e anche grazie alla sua doppietta trova un inaspettato pareggio nel finale.

Il suo affiatamento con RamónWanchope Ábila gli permette di distinguersi più per i suoi assist che per i suoi gol, ma la stagione appena conclusa non gli permette di agguantare la definitiva consacrazione che i tifosi si aspettano. Proprio come accadde con Luciano Vietto, le cui prestazioni subirono un notevole calo prima dell’addio per la Spagna. D’altronde quando la pressione mediatica sale non è mai facile per ragazzi così giovani gestirla. Nel derby contro il San Lorenzo, ad esempio, Espinoza si rende protagonista di uno spiacevole gesto. A ridosso del fischio d’inizio si affretta a lasciare a bordocampo il gagliardetto della squadra rivale dopo il rituale scambio, ma una volta giunto sulla linea laterale lo lascia cadere e lo calcia. Il gesto viene interpretato come una mancanza di rispetto da tifosi e calciatori del San Lorenzo, storica e acerrima rivale dell’Huracán, ma poi il calciatore spiegherà che si era trattato di un gesto istintivo e preterintenzionale, per il quale chiederà umilmente scusa. È solo un episodio che aiuta a capire come alla sua età alcune situazioni gli si rivoltino contro senza che se ne possa rendere conto.

 

(Fonte video: tn.com.ar)

Ma tutto sommato il Globo corre forte. Tralascia il campionato, dove comunque raggiunge una tranquilla salvezza, ma c’entra la finale di Copa Sudamericana, la corrispondente Europa League continentale. La sua tripletta affonda il Tigre, mentre ai quarti di finale offre al solito Wanchope Ábila il pallone che deciderà la doppia sfida. Nella semifinale col River Plate la sua rete permetterà di espugnare il Monumental gettando le basi per la qualificazione alla finale contro l’Independiente di Santa Fe. Ma nella finale di ritorno abbandona il campo a metà del primo supplementare, e la sua squadra si arrenderà ai rigori. Cambia poco: il Villarreal la sua scelta l’ha fatta. Il “Di Maria destro”, come viene definito su YouTube, è pronto per il salto in Europa. La dirigenza lo ha riscattato mediante clausola risolutiva a inizio mese, e negli scorsi giorni la Federazione argentina ha confermato la validità dell’operazione. Il giocatore comunque si sta preparando per i Giochi Olimpici in Brasile, e solo dopo di questi potrà finalmente aggregarsi per la sua nuova avventura in Spagna. I numeri per fare bene ce li ha, da qui in poi le sue giocate saranno a disposizione dei tifosi groguets. Ma prima ci sarà da battere la concorrenza dei suoi nuovi compagni di squadra.

Mihai Vidroiu

Mi chiamo Mihai Vidroiu, ma per tutti sono semplicemente Michele, sono cresciuto a Roma, sponda giallorossa. Ho inoltre una passione smodata per il Villarreal, di cui credo di poter definirmi il maggior esperto in Italia, e più in generale per il calcio, oltre ad altri mille interessi.

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