Dopo il disastroso mondiale del 2014, per la Spagna è arrivato il momento di abdicare anche al trono d’Europa, dopo la sconfitta per 0-2 contro la nostra nazionale. La partita contro l’Italia e quella precedente contro la Croazia hanno fotografato in modo impietoso la situazione della nazionale di Del Bosque, che in questo Europeo non era la favorita numero uno, ma che sembrava comunque destinata ad un cammino di tutto rispetto. Di campane a morto per le mai particolarmente amate “Furie Rosse” ne sono suonate tante, ma siam davvero sicuri che sia tutto finito?
Questo Europeo ci ha raccontato di una Spagna che ha, ad eccezione della partita contro la Turchia, stentato sempre senza mai convincere. Di motivazioni per spiegare ciò ce se ne rintracciano di diverse, a cominciare dall’impianto di gioco. Per quanto esteticamente bello e a tratti esaltante, il palleggio iberico è diventato abbastanza prevedibile e il fatto che persino quelli che hanno sdoganato il “Tiki-Taka” abbiano dovuto negli anni in un qualche modo edulcorare la loro filosofia, avrebbe dovuto far riflettere già in partenza sull’opportunità di fossilizzarsi ulteriormente su un modello al quale è stato trovato l’antidoto, per quanto questo abbia fatto la storia, un altro aspetto da non sottovalutare.
Quando arrivi a vincere tutto in così poco tempo, è inevitabile che dal punto di vista delle motivazioni venga a mancare quella voglia/necessità di emergere che spesso a questi livelli fa la differenza, a maggior ragione se il tuo zoccolo duro , pur avendo perso per strada qualche pezzo importante, è comunque ancora composto da molti fuoriclasse che hanno vinto tutto anche a livello di club. Le due ultime fallimentari spedizioni internazionali, da un lato non costituiscono elemento sufficiente per fare le pulci a gente che ha scritto la storia della “Roja” come Iniesta, Busquets, Piquè, Ramos , Silva e Fabregas, ma confermano dall’altro che è difficile restare competitivi con giocatori che non hanno nulla da dimostrare. Serve un quid in più, quel quid che a questo giro non è arrivato da un “Supporting Cast”, scelto da del Bosque(per cui vale lo stesso discorso dei giocatori) premiando più la funzionalità al sistema di gioco che non il talento, con i risultati che si sono visti sui vostri teleschermi.
Quel che serve dunque alla Spagna è una ventata di freschezza, che può arrivare solamente aprendo la porta ai tanti giovani di talento(spesso per altro già collaudati ad alto livello) che il movimento sforna a iosa, per farli crescere assieme a quei campioni che un giorno rimpiazzeranno. Tra quelli che già in un qualche modo sono inseriti come Morata, Koke e Thiago, e quelli che sono destinati a subentrare(due nomi tra i tanti, Saùl Niguez e Isco se va via dal Real che gli sta bruciando la carriera) c’è veramente l’imbarazzo di una scelta che la Spagna deve fare se vuole fare ad alti livelli. Questo vale anche per l’allenatore: la grandezza di del Bosque, come detto sopra, non si discute, ma dopo 8 anni e due successi importanti, è anche fisiologico un cambio, e probabilmente questo lo sa anche lui.
Alla fine possiamo dire che il ciclo glorioso della “Roja” è agli sgoccioli, ma guai a pensare che questo sia il sintomo di una crisi di un movimento calcistico, che, tra le altre cose, domina incontrastato nelle competizioni per club: hanno tutte le carte in regola per rilanciarsi a livello di nazionale. Se magari lo facessero dopo le qualificazioni per Russia 2018, sarebbe meglio.