Lasciati alle spalle i rispettivi lusinghieri esordi, Ungheria eIslanda si presentano all’appuntamento del magnifico Vélodrome col vento in poppa. La vittoria di Király e compagni, largamente inattesa, e il pari imposto al Portogallo dagli uomini di Lagerbäck hanno creato i presupposti per una gara cruciale a dispetto delle analisi pre-torneo complicando, tra l’altro, il lavoro dei classici “tabellonisti” (conviene arrivare primi, no meglio secondi…) che regolarmente ammorbano qualsiasi torneo, fosse anche di briscola.
Vento in poppa, dunque, ma con dei distinguo non di poco conto: l’Islanda, a volerla dire tutta, era attesa alle luci della ribalta dopo la scintillante qualificazione alla rassegna francese. Fa certamente impressione la parola “Islanda”, mai pronunciata in certi consessi, ma la qualità della rosa a disposizione di quella vecchia volpe di Lagerbäck, il gioco messo in mostra nella fase preliminare con le vittorie ai danni di Olanda, Rep. Ceca, Turchia rendono francamente arduo considerare gli scandinavi come una sorpresa assoluta. Definizione invece perfettamente calzante per l’Ungheria, che, a detta dello stesso Storck, deve far tesoro dell’euforia che ha travolto l’intera nazione dopo il 2-0 con l’Austria trasformandola in nuove ed insospettabili energie. Per dare un’idea della situazione psicologica dei magiari, il giovane Kleinheisler, invitato alla conferenza stampa post-gara d’esordio in qualità di migliore in campo, ha esordito con un “Vi ringrazio per l’invito, non mi sarei mai aspettato di trovarmi qui”. Come camminare a 5 metri da terra.
Storck deve rinunciare all’affidabilissimo Fiola, che ha immolato una caviglia nel trionfo di Bordeaux. La scelta è per lo spostamento di Lang sulla destra del reparto difensivo (ruolo spesso svolto nel Videoton) affiancando a Guzmics l’esperto Roland Juhász. Evidentemente il tecnico tedesco teme la fisicità islandese e vuole tenersi da parte la carta Lovrenciscs, peraltro appena recuperato, che sebbene indicato come sostituto naturale di Fiola ha in realtà doti offensive più spiccate essendo, in pratica, un’ala riciclata. Spicca al centro dell’attacco la presenza di Priskin, preferito a Szalai, l’improbabile eroe della prima partita. Islanda invariata, stesso 11 della sfida con i lusitani.
La fase iniziale della gara propone un’Ungheria decisamente manovriera, decisa a far valere il proprio maggior tasso tecnico. Il palleggio di Gera, Kleinheisler, Nagy è ben supportato dall’attività di Lang e Kádár. L’Islanda fa densità sulla propria trequarti e cerca di ripartire in transizione, ma non riesce, o non vuole farlo, ad alzare il ritmo della gara. Soffrono sì, i magiari, i centimetri scandinavi sui calci piazzati ma, a parte un paio di palloni che fischiano minacciosi dalle parti di Király, nella prima mezz’ora non succede granché. Giusto allo scoccare del 30′ Gudmundsson avrebbe la palla buona, favorito da una pennica di Kádár, ma non riesce a far meglio che tirare addosso al pittoresco portiere ungherese da pochi passi.
La frittata la fa proprio il buon Gábor al 39′: esce su un corner ma manca il pallone finendo a terra in mezzo all’area di rigore. Nella mischia che ne scaturisce Kádár abbatte Gunnarsson per un solare calcio di rigore. Gylfi Sigurdsson non sbaglia, 1-0, e su questo risultato, senza ulteriori sussulti, si chiude la prima frazione di gioco. Ungheresi col pallone quasi sempre tra i piedi ma, di fatto, poco o nulla pericolosi. Uno 0-0 mancato, nell’ambito nel quale la differenza l’hanno fatta gli svarioni dei danubiani.
Le squadre si presentano al rientro in campo senza sostituzioni e nemmeno cambia il copione della partita: Ungheria che fa girare palla ma senza trovare lo spunto vincente e islandesi ben arroccati nel proprio “terzo”: è il cambio di ritmo che pare far difetto alla squadra tricolore, incapace di mettere in difficoltà gli scandinavi con questa intensità di gioco. Storck rompe gli indugi al 65′: dentro Nikolics e Böde al posto degli evanescenti Priskin e Stieber (male soprattutto il primo). Lagerbäck risponde avvicendando Gunnarsson con Halfredsson e Bödvarsson con Finnbogason, forze fresche per centrocampo e attacco precependo, evidentemente, un inizio di calo fisico per i suoi.
Calo fisico che appare vieppiù evidente nei minuti che seguono i cambi islandesi con gli ungheresi che, sebbene i pericoli per la porta di Halldórsson latitino, meriterebbero il pari per l’impegno profuso. L’ultimo cambio, Szalai per Juhász, è la misura della disperazione magiara.
Al minuto 88′ la giocata di Nagy mette Nikolics nelle condizioni di crossare radente dall’interno dell’area: Halldórsson è tagliato fuori, a Sævarsson non rimane altro che anticipare Böde (al quale rende almeno una ventina di kg) per il più classico degli autogol. Pari ampiamente meritato, propiziato da una splendido passaggio di prima del più giovane, e probabilmente il migliore, degli ungheresi.
C’è ancora tempo per un mezzo infarto collettivo quando il vecchio Gudjohnsen, allo scadere, sfiora il gol sugli sviluppi di un calcio di punizione concesso al limite dell’area ungherese (fallo dentro? fuori?).
I magiari si abbracciano come se avessero vinto, ed è come – in effetti – se lo avessero fatto: i quattro punti raccolti finora sono un bottino probabilmente sufficiente per raggiungere una qualificazione all’eliminazione diretta che manca al calcio ungherese dai mondiali del 1966. Punto meritato ed ottenuto tra innumerevoli difficoltà, a causa dei limiti strutturali della rosa danubiana (non dell’organizzazione di gioco, quella di buon livello) e dei meriti della tenacissima Islanda, che alla fine non ne aveva proprio più. I migliori in campo, a nostro avviso, Nagy (se vi serve un centrocampista in gamba, pensateci) e capitan Dzsudzsák, mai domo. Per gli scandinavi su tutti Ragnar Sigurdsson e, finché è rimasto in campo, Aron Gunnarsson.
Il “muro rosso” può continuare a cantare. Si resta in Francia, ancora per un po’.