Bordeaux, 14 giugno 2016: una data che ogni ungherese, più o meno appassionato di calcio, ma certamente, in tutti i casi, fiero tifoso della propria Nazionale, non dimenticherà per il resto della propria vita. Il ritorno dei magiari alla ribalta internazionale è stato bagnato da una vittoria tanto meritata quanto imprevista nel derby con l’Austria, da tutti non a torto considerata tecnicamente superiore a Dszudszák e compagni. Organizzazione e solidarietà in campo gli ingredienti che hanno permesso agli uomini di Bernd Storck di centrare un successo niente meno che storico.
Il tecnico tedesco cambia qualcosa rispetto alla dignitosa amichevole con la Germania, costretto anche dall’indisponibiltà di Lovrencsics: confermata la retroguardia con Fiola-Guzmics-Lang-Kádár, sceglie Zoltán Gera in mediana per affiancare il giovane Nagy (ottima prova la sua) e, tra i trequartisti, Németh per far reparto con Kleinheisler e il capitano Dszudszák. L’intento è, evidentemente, quello di alzare il livello tecnico del proprio centrocampo per sfruttare il “lavoro sporco” di Szalai, unica punta.
L’Austria di Koller si presenta con l’undici atteso con la retroguardia ancorata a Dragovic e Fuchs. Il piatto forte arriva dal centrocampo in su, con Baumgartlinger ed Alaba davanti alla difesa ed il trio Harnik-Junuzovic-Arnautovic a far da supporto al bomber Janko.
L’attesa è per un’Austria destinata a mantenere il controllo del gioco con gli ungheresi pronti a colpire di rimessa, ma, dopo il palo colto da Alaba al 1′, in realtà nel corso del primo tempo, nella sorpresa generale, sono proprio i magiari ad emergere dal punto di vista del palleggio. Nagy, Gera, Dszudszák, Németh ma soprattutto Kleinheisler, che risulterà il migliore in campo, mettono in difficoltà, ad un certo punto anche psicologica, i più quotati avversari che hanno pure un paio di buone occasioni (bravo Király in una circostanza). La sensazione però è che l’idea ungherese vada a sbattere contro il muro dell’inadeguatezza di Ádám Szalai, centravanti spuntato e apparentemente spompato (zero gol in 2 anni di carriera!) che appare del tutto fuori contesto rispetto al buon lavoro in fase di costruzione portato avanti dai compagni. Al 42′ la palla della giornata sarebbe sul piede di Dszudszák, messo davanti ad Almer da un’imbeccata di Kleinheisler: il capitano magiaro ciabatta a lato, ma è probabilmente la scintilla che dà all’Ungheria la convinzione di poter vincere la partita.
Nella ripresa, quando si dice l’imperscrutabile volontà degli Dei del Calcio, è proprio il finora innocuo (per l’Austria) Szalai a portare in vantaggio i suoi in seguito ad un’altra intuizione di Kleinheisler, mentre i tifosi ungheresi stanno cominciando ad invocare Nemanja Nikolics e i suoi 28 gol nel Legia Warszawa. L’Austria, già scossa per le difficoltà incontrate nel primo tempo, si affloscia e non crea se non qualche mischia dalle parti di Király prestando, inevitabilmente, il fianco al contropiede ungherese. Sarà Zoltán Stieber, quasi allo scadere, a firmare il 2-0 definitivo (era entrato pochi minuti prima al posto del bravissimo Kleinheisler) mandando in delirio i 10.000 magiari sugli spalti.
L’Ungheria che non ti aspetti, dunque: spirito di squadra ed organizzazione le portano tre punti insperati, per certi versi sulla falsariga di quanto ottenuto dall’Italia nell’esordio di lunedì. Applicazione, coesione tra i reparti e, attenzione, doti di palleggio da non sottovalutare. Tutti, o quasi, gli uomini di Storck, peraltro nella migliore tradizione danubiana, possono vantare un eccellente rapporto con il pallone. È invece da valutare di nuovo la capacità dei magiari di alzare il ritmo partita contro, magari, avversari nettamente più dotati: la gara di Bordeaux non si è, certamente, contraddistinta per particolare intensità atletica.
Per Alaba e compagni, invece, un esordio da incubo. Non mancano i mezzi per risalire la china, ma la prova fornita in quella che doveva, sulla carta, essere la gara più facile del raggruppamento è stata negativa sotto tutti i punti di vista. Squadra molle, evidentemente entrata in campo con una certa supponenza, non hanno saputo gli austriaci cambiare registro, aumentare i ritmi, aggredire gli ungheresi, magari, con maggiore cattiveria agonistica a fronte di un piano-partita, fondato evidentemente sulla presunta superiorità tecnica, alla luce dei fatti del tutto inadeguato.
Il Gruppo F ci regala la sorpresa, finora, più grossa del torneo: potrebbe non essere la sua ultima.