La costanza, la diligenza e con esse il compitino da svolgere da bravi piccoli uomini ligi al dovere, sebbene appassionati, non è parte del costume italiano. Quando c’è da raggiungere un obiettivo alla portata delle aspettative, ci si trascina con indolenza, che talvolta si alterna a momenti di grande concentrazione, salvo poi fallire inesorabilmente. Ma quando c’è da fare un’impresa, ecco che viene servito The Italian Job.
In un calcio sempre più moderno, considerando l’accezione più negativa dell’aggettivo che allude a fisicità esasperata e danaro tonante, spesso i grandi campioni confluiscono verso una sola compagine. Fatta questa considerazione, l’impresa di Ranieri acquista maggiore risalto.
La Premier League è il campionato attorno al quale girano più introiti, secondo uno studio pubblicato sulla Gazzetta dello Sport di mercoledì 25 maggio. In un campionato così il Leicester di Claudio Ranieri ha trionfato l’anno dopo essersi salvata in extremis da neopromossa. I paragoni si sprecano e l’aspettativa per la stagione che seguirà cresce, alla luce del fatto che si troverà a concorrere con lo United dell’agguerritissimo Mourinho, con il City dell’ambizioso Guardiola, con il Chelsea dell’indomito Conte, con il Liverpool del famelico Klopp. E proprio Antonio Conte, giusto prima di approdare in Premier League, potrebbe stupire tutti a Euro2016 con quella ferocia che portò allo scudetto la sua prima Juve: ricordano tutti con piacere quella squadra compatta, aggressiva e con una mentalità vincente. La nazionale italiana vorrebbe emularla.
Volgendo lo sguardo al passato in Inghilterra, nel 1962 ci riuscì l’Ipswich Town, che da matricola vinse il campionato. L’artefice di quella squadra vincente fu Alf Ramsey. Il successo in Premier gli valse la chiamata della nazionale inglese che condusse allo storico trionfo nel Campionato del Mondo del 1966. Nel 1977-78 il Nottimngham Forest di Brian Clough vinse il campionato inglese da neopromossa. Nel 1979 e nel 1980 si confermò in Europa vincendo incredibilmente due coppe dei Campioni consecutive, un’impresa difficilmente ripetibile. Nel 1995 fu il turno del Blackburn di Kenny Dalglish, dopo una lotta serrata con il Manchester Utd: le 34 reti in 42 partite di Alan Shearer furono determinanti per il successo.
In Italia, il sogno di uno scudetto lo ha toccato, contro i favori dei pronostici, il mitico Cagliari di Riva e Domenghini; ad allenarli Manlio Scopigno. Il calibro dell’impresa va interpretata con i tempi che correvano: la Sardegna viveva un complesso di inferiorità nei confronti dell’Italia settentrionale, in un certo senso più evoluta; quel titolo, conseguito in barba agli squadroni del Nord Italia (Inter, Juve e Milan, rispettivamente 2°, 3° e 4° classificata), segnò la storia del paese. Il capitano Cera con il portiere Albertosi e l’attaccante Gori che aveva preso il posto di Boninsegna furono i principali artefici, con Riva e Domenghini già precedentemente menzionati. Il Verona di Bagnoli nel 1984-85 (l’anno in cui Maradona arrivò al Napoli) riportò lo scudetto in provincia grazie alla coppia d’attacco Elkjær-Galderisi. Nella stagione 1990-91 la Sampdoria allenata da Vujadin Boškov, quella dei gemelli del gol Vialli (19 reti quell’anno) e Mancini, trionfò davanti a Inter e Milan.
In Portogallo invece, la regola del più potente quasi annoia: dal 1946 ad oggi il campionato è sempre stato appannaggio del Porto, del Benfica o dello Sporting Lisbona. In due casi si verificò l’insondabile: nel 1946 trionfò il Belenenses e nel 2001 il Boavista.
Sempre nella stessa penisola, quella iberica, ma questa volta in Spagna, la regola è la stessa. I successi di Real Madrid, dell’Atlético Madrid e del Barcellona hanno monopolizzato la Liga. Le sorprese, in questo caso autentiche, arrivano nel 1981 e nel 2000. Nel primo caso il titolo va a San Sebastian, grazie all’impresa del Real Sociedad; nel secondo caso al Deportivo La Coruña di Javier Irureta, eccellente ad approfittare del momento di calma con il loro calcio veloce e aggressivo. I 22 gol dell’olandese Roy Makaay furono decisivi. Nel terzo millennio, salvo due eccezioni decretate dal Valencia, gli scudetti sono stati del Barcellona (8), del Real Madrid (5) e dell’Atletico Madrid (1).
In Francia i coups de théàtre più famosi furono interpretati dall’Auxerre, dal Lens e dal Montpellier. In particolare quella dell’Auxerre nel 1996 merita una menzione. Guy Roux fu un allenatore che dedicò la sua intera vita all’Auxerre: la guidò per 44 anni (dal 1961 al 2005) e a metà dei meravigliosi anni Novanta, con mezzi economici modesti e una squadra per lo più costruita su giocatori provenienti dal settore giovanile, conseguì l’agognato titolo. Roux era un tipino molto particolare: la sera faceva il giro delle discoteche per assicurarsi che i suoi non si fossero lasciati tentare; e non appena notava un’eccessiva baldanza in qualche suo giocatore, gli metteva sotto controllo il contachilometri della macchina. In quella squadra gloriosa, che dai dilettanti arrivò al titolo, ci giocavano Lamouchi, Blanc, Silvestre e il folkloristico Taribo West; e la rimonta sul PSG (quell’anno trionfatore in Coppa delle Coppe) che portò poi al titolo si concretizzò solo alla 33° giornata. Due anni più tardi, l’ultima Ligue 1 a 18 squadre, con i campionati mondiali di Francia 98 in rampa di lancio, fu il Lens a sorprendere tutti. Daniel Leclercq realizzò l’impresa della vita: arrivò a pari punti con il Metz ma vinse il titolo grazie ad una migliore differenza reti. Nel 2011-2012 il Montpellier di René Girard mise in riga tutti, compreso il PSG milionario degli sceicchi sulla cui panchina si era appena seduto Carlo Ancelotti. Olivier Giroud, uno dei principali protagonisti di quella favola, vinse la classifica marcatori con 21 reti.
In Germania, a memoria d’uomo, ne ricordiamo un paio sensazionali: era il 1998 quando Otto Rehhagel riscriveva le gerarchie della Bundesliga, ridimensionando con personalità il Bayern Monaco, all’epoca allenato dal Trapattoni nazionale. Fu uno scudetto pazzesco se si considera che il Kaiserlautern era una neopromossa, fresca vincitrice della Zweiteliga. La loro cavalcata fu incredibile: sempre in testa al campionato, batterono in entrambi gli scontri diretti (0-1 e 2-0) i campioni in carica del Bayern Monaco. In quella squadra c’era gente del calibro di Ciriaco Sforza e Michael Ballack. Undici anni più tardi, stagione 2008-2009, fu il Wolfsburg di Felix Magath a trionfare. In quella squadra c’erano Zaccardo e Barzagli. E’ bene ricordare che il successo arrivò grazie a due bomber del calibro di Grafite (28 gol) e Dzeko (26 gol).
Con il Campionato Europeo in arrivo, impossibile non ricordare la Danimarca di Richard Møller-Nielsen ai Campionati Europei del 1992. La Jugoslavia si era regolarmente qualificata ma, ferita da rivalità, nazionalismo e violenze, era in piena Guerra dei Balcani. I danesi con soli 10 giorni di anticipo furono ripescati. Incredibile ma vero, riuscirono a superare un girone di ferro con Inghilterra, i padroni di casa della Svezia e la Francia allenata da Michel Platini; tutto ciò senza una preparazione fisica adeguata e senza il loro faro più lucente Michael Laudrup, che non era in buoni rapporti con l’allenatore. I giocatori più quotati erano il portierone dello United Peter Schmeichel, il capitano Lars Olsen, il centrocampista Henrik Larsen e Brian Laudrup, il fratellino di Michael. La vittoria in semifinale contro la fortissima Olanda di Rijkaard, Van Basten, Gullit e Berkamp ai rigori spiana la strada alla finale dove avrebbero giocato contro la Germania campione del mondo in carica di Jürgen Klinsmann, Andreas Möller, Thomas Häßler, Rudi Völler, Karl-Heinz Riedle e Mattias Sammer. La loro migliore prestazione regala un 2-0 perentorio e con esso un trofeo unico per come è maturato.
Nel 2004, l’anno dell’olimpiade di Atene, arriva un’altra impresa ai Campionati Europei, l’impresa della Grecia di capitan Zagorakis, dell’ex Perugia e Fiorentina Zisis Vryzas, del gladiatore ex Roma Traianos Dellas; e dell’allenatore Otto Rehhagel, che sembra avvezzo a sorprese di questo genere. La vittoria in finale per 1-0 sui padroni di casa del Portogallo di Rui Costa, Figo, Deco e Cristiano Ronaldo fu la gioia più grande.
E noi ne conosciamo un altro: il suo nome è Antonio Conte e arde dalla voglia di zittire a suon di vittorie lo scetticismo comune che alea intorno alla nazionale italiana. Ci permettiamo di azzardare l’ipotesi dal momento che molti giocatori della nazionale sono senza un grande blasone, desiderosi di lanciarsi sulla scena internazionale e scevri da pressioni mediatiche che il loro allenatore sapientemente dirotta su sé stesso. Staremo a vedere.