In epoca maoista il calcio era inteso come una disciplina di rafforzamento del corpo, con Deng Xiaoping un hobby e solo successivamente un modello di businness. Con Xi Jinping gli scenari sono cambiati radicalmente, con l’ultimo leader del Partito Comunista il calcio gioca un ruolo centrale nella cultura e nell’economia del calcio, diviene una missione, un elemento della politica di soft power intrapresa dal dragone.
Dopo aver analizzato il calcio in epoca pre rivoluzione culturale (leggi qui), scopriamo nel dettaglio quale è stata l’evoluzione della filosofia calcistica con i grandi leader della Cina.
MAO ZEDONG: A STUDY OF PHYSICAL EDUCATION
Aprile 1917
“La nostra nazione manca in forza. Lo spirito militare non è stato incoraggiato. La condizione fisica della popolazione peggiora giorno dopo giorno. Questo è un fenomeno estremamente inquietante. I promotori dell’educazione fisica non hanno afferrato l’essenza del problema, i loro sforzi, per quanto prolungati, non sono stati ancora efficaci. Se questo stato si prolungherà, la nostra debolezza crescerà ulteriormente. Lo sviluppo della nostra forza fisica è una questione interna, una causa. Se i nostri corpi non sono forti, non appena vedremo un soldato nemico saremo intimoriti, per cui come potremo raggiungere i nostri scopi ed essere rispettati? La forza dipende dall’esercizio, e l’esercizio a sua volta dalla consapevolezza di se. I sostenitori di educazione fisica non hanno mancato di ideare vari metodi. Se i loro sforzi sono tuttavia rimasti infruttuosi, è perché le forze esterne non sono sufficienti a muovere il cuore.
Se vogliamo rendere l’educazione fisica efficace, dobbiamo influenzare gli atteggiamenti delle persone e stimolarli a prendere coscienza dell’educazione fisica. Se si diventa consapevoli del problema, un programma verrà sviluppato più facilmente, e noi raggiungeremo i nostri obiettivi.”
Questa l’introduzione del saggio di Mao Zedong “A study of physical education” per la raccolta di scritti pubblicata nel 1917 “The new Youth”. Il Grande Timoniere non intendeva lo sport come hobby o svago, bensì come miglioramento di se, e della propria condizione non solo fisica, ma anche psicologica. In particolar modo Mao accusava la classe dirigenziale di aver dato troppa importanza agli studi delle filosofia e delle lettere, trascurando la cura del corpo, che egli considera debole rispetto a quelli prestanti dei giapponesi.
Mao in gioventù giocava da portiere alla Scuola Normale dell’Hunan, dove esibì doti da leader guidando la squadra con voce tonante. Uno dei suoi compagni dell’epoca, Chen Zizhan, lo ricorda così: “Mao era molto freddo, le sue reazioni erano veloci. Non aveva paura di uscire dai pali per avventarsi sugli attaccanti, sapeva sempre anticiparli prima che questi giungessero al tiro.”
Con la creazione della Repubblica Popolare, Mao si distaccò dal calcio, assistette a una sola partita, quella fra la nazionale cinese e il Sanpietroburgo nel 1955. Non dava molta importanza al risultato, così Mao rispose al ministro degli esteri Zhou Enlai quando questi si lamentava delle sconfitte della nazionale: “Non giochiamo a calcio per vincere, lo facciamo per rafforzare al meglio i nostri corpi e servire la Cina”, una filosofia ripresa anche dal leader nord coreano Kim Il Sung nel 1969, nel celebre discorso: “Generalizzare la pratica dello sport al fine di preparare solidamente l’intera popolazione al lavoro per la difesa nazionale”
Solo nel 1966, anno della Rivoluzione Culturale, Mao diede una lezione di forza attraverso lo sport, per ribadire quei concetti espressi quasi cinquant’anni prima nel suo saggio. Il Grande Timoniere era un eccellente nuotatore in gioventù, e quel 1966, a 72 anni, si fece a nuoto un tratto del fiume Yangtze. Secondo quanto riportato dal “Quotidiano del Popolo”, Mao percorse 15 chilometri in 65 minuti, addirittura più veloce del campione del mondo Sun Yang. Una trovata propagandistica geniale, per la creazione di un forte culto della persona in vista della Rivoluzione Culturale.
DENG XIAOPING: L’APERTURA AL MONDO ESTERNO
Il padre della Cina moderna, della svolta capitalista. Deng Xiaoping salì al potere dopo la morte di Mao, e in breve attuò quelle riforme capitalistiche che il Grande Timoniere aveva cercato di reprimere con la Rivoluzione Culturale e il ripristino di un’utopia marxista.
Deng, nonostante i duri contrasti con Mao, e un figlio reso disabile dalle Guardie Rosse, non permise mai che la figura del Grande Timoniere fosse detronizzata dopo la sua morte. A discapito di una netta differenza di filosofie, il vivido ricordo del culto della persona di Mao era una salvaguardia per l’integrità dell’intero partito comunista dalla rivalsa della democrazia.
Secondo Deng: “Il calcio rende felici le persone e quindi deve essere promulgato, le attività calcistiche devono iniziare sin dai bambini”. Di certo il nuovo leader non era un esempio di salute e di esaltazione fisica come Mao, in quanto non nascose mai i propri vizi: “I segreti della mia longevità sono il nuoto, il fumo, il bere e il bridge”.
Negli anni ’50 e ’60, mentre la Cina si chiudeva in se stessa, Deng utilizzò il calcio per allacciare rapporti ben saldi con gli altri paesi del blocco socialista. Nel 1954, la Cina ospitò la fortissima Ungheria di Puskas per un match amichevole allo stadio di Pechino. La compagine europea prevalse 2-0 e Deng rimase colpito dalla prova di forza dei magiari, tanto che spedì una delegazione di atleti cinesi ad allenarsi in Ungheria per due anni in vista delle olimpiadi del 1956, alle quali la Cina decise di non partecipare, in quanto il comitato olimpico aveva riconosciuto ancora una volta come membro valido Taiwan.
Nel 1964 fu la volta di un club brasiliano a recarsi in Cina, si trattava del Madureira, e fu un occasione propizia per allacciare rapporti diplomatici con il Brasile di Goulart. La squadra brasiliana era stata invitata da Deng, e l’anno prima si era recata a Cuba per rendere omaggio alla figura di Che Guevara.
Solo negli ultimi anni della sua vita Deng si interessò al calcio oltre la Grande Muraglia, egli guardò per tele la maggior parte delle partite di Italia ’90 e USA ’94. Le registrava, in quanto a 90 anni non riusciva a stare sveglio la notte. Per non rischiare di scoprire i risultati delle partite, impediva alla CCTV5 (l’emittente sportiva dello stato) di aggiornare i risultati fino alla visione del match.
Con Deng anche la Cina si interessava sempre di più al calcio estero, e intuì lo sport come modello di businness, tanto che nel 1994 fu creata la prima lega professionistica sponsorizzata dalla Marlboro. Dopotutto, come sosteneva Deng: “Arricchirsi è glorioso”.
XI JINPING: IL NUOVO SOGNO CINESE
Riprendiamo una frase di Deng Xiaoping: “Mi piace il calcio, ma quando vedo giocare la Cina mi sento soffocare”. La storia non è che oggi sia cambiata più di tanto, la nazionale calcistica è ancora a uno stato mediocre, ma la trasformazione è in atto.
Dopo lo scandalo del calcioscommesse cinese che si è protratto fino al 2013 con l’arresto del vicepresidente federale, il designatore nazionale degli arbitri e la sospensione a vita di 33 persone, il pallone cinese aveva quasi smesso di rotolare, ma oggi va più forte che mai, come evidenziato dagli ultimi sviluppi sia sul piano del calciomercato, che per quanto concerne la colonizzazione dell’Europa pallonare.
“Il sogno calcistico” ha dichiarato più volte il presidente Xi Jinping “Fa parte del sogno cinese”. Uomo autoritario e fortemente accentratore, Xi si pone come degno erede di Mao e Deng Xiaoping, guidando la nascita di una nuova Cina sia dal punto di vista economico e culturale. Xi riesce a far convivere due filosofie apparentemente contrastanti, l’autorità di Mao e l’armonia del neoconfucianesimo. Anche quando parla dello sviluppo del calcio cinese, richiama sempre le figure dei grandi leader a cui si ispira, come nell’intervista rilasciata nel 2015 a Reuters, durante la visita in Inghilterra:
“Il Calcio è lo sport più popolare al mondo e in Cina ci sono ancora solamente 100 milioni di fan. Il mio grande desiderio è che la nazionale cinese possa diventare una delle migliori al mondo, e che il calcio giochi un ruolo importante nelle persone, per rafforzare corpo e spirito (una visione in tal senso, simile a quella di Mao). Dobbiamo partire dai giovani (Deng Xiaoping), riformare il sistema professionistico e allacciare collaborazioni con partner internazionali che possano incrementare il valore dell’industria calcistica.”
Non è infatti un caso che la filosofia maoista esposta in “A study of physical education” sia riscontrabile anche nel piano di riforma calcistica recentemente stilato a margine dell’ultimo congresso nazionale. Il calcio nell’era di Xi Jinping diventa una missione, quella di portare la nazionale di calcio cinese a primeggiare nel mondo entro il 2050, con un’accurata programmazione a livello giovanile e una crescita interna dell’economia calcistica. Ma lo sport più amato del mondo è anche un elemento della nuova politica di soft power attuata dalla Cina, ovvero attrarre a se i paesi occidentali attraverso la forza della propria cultura e dell’entertainment. Nonché un forte elemento di distrazione per le masse, come ben sappiamo il calcio è una panacea per tutti i problemi.