12 anni dall’ultimo titolo di Campione d’Ungheria. Un digiuno lunghissimo per chi è, in pratica sin dalla fondazione, abituato a guidare il calcio magiaro col piglio del padrone. Ma il ventinovesimo scudetto, corredato dal settimo “double” dopo la (dolcissima, battendo gli odiati cugini dell’Újpest) vittoria nella finale di Magyar Kupa del 7 maggio, non è semplicemente il ritorno al successo di una “grande” dopo oltre un decennio di vacche magre. È molto di più: perché quei 12 anni sono una sorta di viaggio dantesco.
All’inferno e ritorno, dunque. Per raccontare questa storia torniamo indietro di un decennio, all’annus horribilis: il 2006. In quell’estate al club viene negata la licenza per motivi finanziari: il Fradi, dopo l’addio del ricchissimo Gábor Várszegi, contemporaneamente proprietario degli atavici rivali della MTK (!) stanco, ufficialmente, delle intemperanze e dell’antisemitismo della tifoseria biancoverde, affoga nei debiti. Il denaro della Coppa Uefa 2004/2005, che vede il FTC ben comportarsi nei gironi dopo aver fallito l’accesso alla Champions’ League, sparito. Il denaro ricavato dalla cessione di Zoltán Gera al WBA, idem. Quello delle cessioni di Huszti, Tőzsér, Zavadsky, Gyepes, tutti ceduti tra il 2004 e il 2006, volatilizzato. Non si è mai chiarito chi e come, nell’ambito della dirigenza dell’epoca, abbia scavato il “buco”, fatto sta che il glorioso club che fu di Sárosi, Deák, Albert, Nyilasi è sull’orlo del baratro.
Ironia della sorte, è proprio un ex “fradista”, János Hrutka, protagonista della storica partecipazione alla Champions’ del ’95/’96, a mettere in mora la società: la sua azienda di marketing sportivo non ha mai visto nemmeno 1 centesimo del 172.000$ che il Ferencváros le deve.
I sit-in dei tifosi, che vedono un complotto degli odiati “rossi” al potere (in Ungheria c’è, ancora per poco, un governo socialista), i tentativi dell’indomito Zsolt Dámosy, divenuto presidente, di salvare il club sono inutili. La MLSZ ne sancisce la retrocessione. E’ serie B, d’ufficio, nonostante una sentenza della Corte Municipale di Budapest che sancisce come “illegale” la decisione della Federcalcio ungherese. Ma tant’è, la giustizia ordinaria (suona familiare, no?) non può prevaricare quella sportiva.
Il sodalizio biancoverde è all’anno zero. Se ne vanno gli ultimi giocatori di rilievo, rimangono solo Attila Dragonér e Péter Lipcsei, autentiche bandiere, che accettano di restare per chiudere la carriera ad Üllői Út.
A salvare il FTC dall’estinzione arriva…un inglese. Kevin McCabe, proprietario dello Sheffield United e delle allora Chengdu Blades, oggi Chengdu Tiangcheng FC (Cina), rileva la proprietà del Ferencváros e, come sempre accade, dichiara piani importanti: un nuovo stadio (che si scoprirà poi essere il vero interesse degli investitori britannici), collaborazione con il calcio inglese, scambi di giocatori sul mercato globale sfruttando le sinergie con le società “sorelle”. Immancabili i proclami di pronto rientro ai vertici del calcio nazionale e nel giro del calcio europeo.
La realtà si rivela, però, più dura di quanto prospettato dalla nuova proprietà: le stagioni di purgatorio del Fradi saranno ben 3. Nyíregyháza Spartacus nel 2007, Kecskeméti e Szolnoki (autentiche provinciali, massima onta per le blasonatissime Aquile Verdi) nel 2008 negano alla squadra della capitale il ritorno nella massima serie. Ci vorrà un terzo tentativo ed un allenatore inglese, Craig Short, ex-giocatore, tra l’altro, di Everton e Blackburn Rovers, per porre fine all’incubo.
Nel 2009/10, quindi, si riparte nella massima serie. Ma la china da risalire è ripidissima, il calcio ungherese ha nuovi padroni, lontani da Budapest: Debrecen e Videoton su tutti, pure il Györi ETO (oggi retrocesso, coincidenza, per gli stessi motivi del FTC) lotta in quel periodo per il titolo e riesce pure a vincerlo, nel 2012/13.
Qualcosa di importante è però cambiato, in Ungheria: il governo. Il partito Fidesz (una sorta di DC ungherese, ma molto più di destra) ha preso il potere dopo un clamoroso scandalo che ha travolto, nel fatale 2006, i partiti di centrosinistra, ed il suo leader, Viktor Orbán, ha delle idee chiarissime riguardo al futuro del calcio ungherese: nuovi stadi costruiti con soldi pubblici per tutti, rilancio del pallone come sport nazionale e, se possibile…proprietari ungheresi.
McCabe e soci colgono in fretta l’antifona: lo stadio da costruire con annessi centro commerciale ed area residenziale, il sogno della grande speculazione immobiliare (volendo chiamare le cose col loro nome) è da riporre in soffitta. I britannici sloggiano senza troppo clamore e, dopo una breve transizione, il parlamentare Gábor Kubatov, che dal 2015 è uno dei 4 vicepresidenti del Fidesz, diventa presidente del Ferencvárosi Torna Club.
Si capisce alla svelta che la musica è cambiata. I piani sono sempre, ovviamente, ambiziosi, ma le circostanze stavolta li giustificano appieno: già nella primavera del 2012 Kubatov presenta il nuovo stadio, l’odierna Groupama Aréna, modernissimo impianto da 23.700 spettatori (tantissimi, per il calcio ungherese di oggi). L’anno dopo, alla guida di Ricardo Moniz (già vincente in Austria con il Red Bull Salzburg), arriva il primo trofeo della nuova era, la Ligakupa, vinta travolgendo 5-1 il Videoton giunto secondo in campionato dietro il Debrecen.
Moniz fallisce però il salto di qualità e la società, nel dicembre dello stesso 2013, lo esonera per ingaggiare Thomas Doll. È la Svolta. Doll mette la squadra sui binari di una crescita, finora, inesorabile, aiutato da copiose sponsorizzazioni (Kubatov è uomo, per così dire, abile ed influente) che danno alle casse del club buonissimi spazi di manovra per rafforzare la rosa. Gera torna dalla Premier League, Tamás Hajnal dalla Bundesliga, Leandro dall’Omonia Nicosia. Tutti ex fradisti che non sanno resistere al richiamo della vecchia casa. Vanno ad aggiungersi ai Böde, ai Gyömber, agli Šesták per dar vita ad una rosa di spessore tecnico ineguagliabile per le possibilità delle rivali.
Il gol di Gera nella finale di Magyar Kupa, messo a segno ai danni degli arcirivali dell’Újpest negli ultimi minuti di partita, l’urlo belluino della Groupama Aréna che ha ospitato l’ultimo atto della stagione ungherese rappresentano la chiusura di un cerchio. Il Fradi è tornato.
Dicevamo, all’inferno e ritorno.