L’arte di essere Diego Pablo Simeone: tra Cholismo e un miracolo chiamato Atletico

Fonte foto: Angel Martinez/Getty Images

Ieri sera è andato in scena l’ennesimo capitolo della saga di Diego Pablo Simeone e del suo “Cholismo”, che ancora una volta è risultato parecchio indigesto ai marziani del Barcellona. Una vittoria forse pronosticabile ma che ogni volta ha un gusto sempre diverso e sempre migliore. In un mondo del “futbol” che predilige ormai il modello del tiki-taka, del fraseggio palla a terra, della costruzione dell’azione a partire dalla propria area di rigore, c’è ancora qualcuno che non si è convertito a questo credo e che preferisce più la sostanza che la forma. Quel qualcuno è proprio Diego Pablo Simeone, che con il suo “Cholismo” continua a stare a galla tra i grandi e a incantare le folle con il suo mix di grinta, corsa e tanto (ma tanto) cuore.

Il match di ieri si può considerare come l’apoteosi di questa scuola di pensiero, infatti il “Cholo” ha reso umani per una notte gli alieni del Barcellona, quella corazzata guidata dalla “MSN” che nessuno sembrava in grado di fermare. Nessuno tranne l’Atletico Madrid di Simeone, che ieri ha dimostrato come con un’organizzazione difensiva ferrea e una cinicità spietata là davanti si possa fare molto male anche ai campioni del mondo in carica. Il piccolo miracolo del “Cholo”, però, parte da molto lontano, precisamente da quando lui era ancora un giocatore: infatti Simeone ha trovato la sua tattica vincente semplicemente esportando i suoi valori da calciatore (leadership, carattere forte, grinta, spirito di sacrificio e tanta corsa) anche in panchina e cercando di trasmetterli meticolosamente ad ogni suo calciatore/discepolo. Si, discepolo, perché la peculiarità di Simeone è quella di considerare ogni giocatore uguale agli altri, non c’è posto per “prime donne” nel suo sistema di gioco, prima viene il gruppo e poi il singolo. Questo è il primo principio fondamentale di ogni sua squadra, infatti se non sei capace di sacrificarti e di farti in quattro per i tuoi compagni non troverai mai spazio nel sistema di Simeone.

Un altro caposaldo del suo credo è un’organizzazione tattica maniacale, infatti il “Cholo” è uno di quegli allenatori che prepara la partita non lasciando nulla al caso, un vero sergente di ferro che cerca di far mantenere ai suoi il livello di attenzione sempre, e comunque, oltre il 100%, con la consapevolezza che se uno molla, la fine è vicina. Inoltre tutto si basa su una sorta di filosofia basata sul carattere e sulla fiducia in sè stessi; parafrasando un celebre slogan della Nike, “Impossible is nothing” è la frase che più si adegua a questo Atletico. Una squadra in cui magari non ci saranno delle proprietà tecniche altisonanti, ma che riesce a tamponare questa mancanza con uno stile di gioco particolarmente aggressivo, quasi al limite del regolamento, dove il pressing alto e i raddoppi sistematici di marcatura la fanno da padroni. Trappole in cui, ancora una volta, è caduto il Barcellona, che ieri sera non è riuscito a districarsi nel complesso labirinto di marcature inventato dal “Cholo” Simeone. Squadra impostata con un baricentro molto basso, addirittura in alcune situazioni (soprattutto nel finale) tutti e 11 i componenti della squadra erano dietro la linea del pallone.

Diego Pablo Simeone, direttore d'orchestra del Calderon. Fonte foto: elareatecnica.pusku.com
Diego Pablo Simeone, direttore d’orchestra del Calderon. Fonte foto: elareatecnica.pusku.com

Ma a colpire è l’organizzazione dei “Colchoneros”, che saranno accusati anche di essere una squadra catenacciara ma sanno interpretare la fase difensiva in maniera quasi perfetta. Infatti nel corso dei novanta minuti gli undici in campo si sono mossi come un unico corpo, un unico insieme dove tutti sembravano coordinati da una forza esterna. Quando Griezmann e Carrasco si alzavano per portare pressing ai difensori catalani, tutta la squadra di colpo si alzava con una puntualità incredibile, quasi con naturalezza, mentre quando c’era da fare il contrario, entrambe le punte si posizionavano senza problemi sulla linea dei centrocampisti per “andare a fare densità e legna”. Ma a rifinire la vittoria sono state le ripartenze devastanti dei Colchoneros, che nel preciso istante in cui recuperavano palla avevano anche la forza, nervosa e mentale, di attaccare lucidamente la trequarti avversaria, ma non per tenere lontano il pallone dalla propria area ma per andare a fare gol. L’esempio lampante di ciò è senza dubbio la cavalcata trionfale di Filipe Luiz intorno al novantesimo minuto di gioco, dove prima il terzino anticipa di gran carriera Sergi Roberto (al novantesimo!) e poi punta diretto verso la porta di Ter Stegen, arrivando a provocare anche il calcio di rigore del 2-0 finale.

Il terzo punto fondamentale del suo stile di gioco è quello di “distruggere, annullare e annientare il gioco della squadra avversaria”. Ed è esattamente questo che si è visto nel corso del match di ieri sera, dove le folte maglie difensive dell’Atleti non hanno permesso al trio delle meraviglie Messi-Neymar-Suarez di esprimersi al meglio; non a caso a metà del secondo tempo, Messi è stato costretto ad abbassarsi sulla linea mediana per dare inizio alle azioni dei suoi e per ricevere il pallone senza essere attorniato da 5-6 avversari. Stessa storia per i due compagni di merende Neymar e Suarez, che per tutto il corso del match hanno visto il proprio spazio vitale terribilmente limitato e non sono mai riusciti ad incidere su un match maschio e giocato molto sul piano nervoso. Ma il vero segreto di questo successo è anche il pubblico del Calderon, vero e proprio 12esimo uomo in campo per i “Colchoneros”. In un qualche modo anche i tifosi sono parte integrante dello schema filosofico del “Cholo”, che da buon direttore d’orchestra li coordina con grande saggezza (vedi le braccia al cielo durante i rigori contro il PSV o gli ordini di ieri sera, dove per tutti i novanta minuti ha esortato i tifosi a supportare i suoi ragazzi).

Probabilmente fuori dal Calderon un giorno costruiranno una statua in suo onore, ma per ora l’unica cosa importante per il Cholo, per l’Atletico e per tutto il pubblico dei Colchoneros è quello di continuare a sognare la coppa dalle grandi orecchie; e chissà che il destino non ci conceda una rivincita della finale del 2014, magari stavolta con un esito diverso, dove magari celebreremo la consacrazione europea della filosofia “Cholista”:Si se cree y se trabaja, se puede (se si crede e si lavora, si può)”.

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Appassionato di ogni genere di sport (calcio e basket in primis), è un grande esperto del "calcio minore". Che sia la Copa Libertadores o la terza divisione danese poco importa, in qualunque campo rotola un pallone e ci sono 22 uomini c'è sempre una storia da raccontare.