Una volta c’era la Jugoslavia, una meravigliosa squadra che oggi non esiste più. Per la rubrica Calcio Sfogliato abbiamo intervistato Paolo Carelli, autore del libro “Il Brasile d’Europa” (Urbone Publishing), nel quale racconta quello che è stato il calcio nell’ex Jugoslavia, dalle origini, alla disgregazione all’inizio degli anni ’90.
Come è nata l’idea di scrivere un libro sull’ex Jugoslavia
L’idea nasce da Urbone Publishing, con l’autore Gianluca Iuorio che ha notatao i miei lavori su zonacesarini, e mi ha proposto di scrivere un libro sul tema dell’ex Jugoslavia. Ho scritto un libro di memorie, che non riguarda solamente il calcio, attraverso esso si possono cogliere gli aspetti di quel pezzo di mondo che oggi non c’è più. Non parlo solamente della guerra, che è stata fondamentale nella frammentazione, ma anche della psicologia delle popolazioni balcaniche, che si ritrovano nel calcio, con la differenza fra le varie etnie. Il calcio è il filo conduttore in rapporto alla nazione.
L’ultima partita della Jugoslavia unita è stata contro le isole Faroer, dopodiché vi sono stati i primi distacchi che hanno portato all’esclusione dell’europeo del 1992. Quali sono stati i motivi politici?
Il giorno dopo quella partita la parte croata e quella slovena si distaccarono e la Jugoslavia finì le qualificazioni per Euro 92 decimata. Il calcio è stato per certi versi l’ultimo elemento di unità mentre la guerra era già in corso la Stella Rossa vinceva la Coppa Campioni con una squadra composta di giocatori appartenenti a tutte le etnie. D’altro canto è stato anche un forte fattore di discordia, che ha alimentato l’astio fra le varie etnie, i serbi contro i croati, i bosniaci contro i serbi… tensioni che hanno avuto il loro culmine nel derby fra la Dinamo Zagabria e la Stella Rossa, con il famoso calcio di Boban al poliziotto, un episodio quello che è considerato il vero inizio delle ostilità.
La Jugoslavia all’inizio degli anni ’90 era una nazionale fortissima, piena di talenti, definita il Brasile d’Europa. Come si spiega l’attuale involuzione delle squadre di club e di una nazionale, come quella Serba, incapace di accedere alla fase finale di un Europeo, nonostante la presenza di ottimi giocatori?
Quella particolare generazione che va dall’87 al 92 è stata definita il Brasile d’Europa, dal periodo che va dalla vittoria del mondiale U20 in Cile al mancato europeo. La grande forza della nazionale Jugoslavia, non solo nel calcio, ma anche in altre discipline sportive era quella di contaminare e aggregare etnie diverse fra loro. L’etnia che storicamente ha dato il suo maggior contributo negli sport di squadra è stata la Croazia, vuoi per una maggior razionalità, ma anche per il fatto che il calcio è arrivato prima a Zagabria che in altre aree dell’ex Jugoslavia. Se analizziamo la nazionale degli anni ’20, degli anni ’50 e quella dell’ultimo ciclo, ci accorgiamo che è composta prevalentemente da giocatori croati, e non è un caso, che l’unica nazione che riesce ad ottenere risultati è quella della Croazia, giunta terza al mondiale francese nel 1998. Quella croata, , è sempre stata una realtà che ha sfornato innumerevoli talenti nella pallanuoto, nel basket, sono stati dei pionieri. Oggi sono stati ridimensionati, ma almeno riescono a qualificarsi per i mondiali e gli europei, a differenza della Serbia.
Guardando ai giocatori dei vari stati, spesso vien da dire, che la Jugoslavia di oggi sarebbe una grande nazionale. Nello sport vi sono alcuni elementi di unione fra stati separati, come ad esempio l’Irlanda di rugby, che racchiude Eire e Irlanda del Nord. Addirittura le due coree, in passato, hanno partecipato ad alcune manifestazioni sotto un’unica bandiera. L’idea di una Jugoslavia unita nel calcio, perlomeno a livello di nazionale, può essere un idea realizzabile, o è pura utopia, viste anche le recenti tensioni che hanno coinvolto Jugoslavia e Albania per quanto concerne la questione kosovara?
Uno degli esempi più lampanti è anche quello della Gran Bretagna, che alle olimpiadi partecipa sotto un’unica bandiera. Per quanto riguarda la Jugoslavia… credo di no, ma non è un problema solamente calcistico, tutto sommato credo sia un bene che questo non avvenga. Il mio libro finisce con la fine della Jugoslavia, gli ultimi argomenti vengono affrontati marginalmente. Oggi vi è una forte propensione al calcio nostalgico, del passato, ecco, il mio libro non vuole esserlo… o perlomeno, fino a un certo punto. Non voglio tornare a un passato che non c’è più. Voglio fare in modo che attraverso i racconti di calcio si possa fare memoria della storia. Credo che se spiegassimo la guerra nei Balcani nelle scuole, a partire dal calcio, serbi e Stella Rossa da una parte, Corazia e Dinamo Zagabria dall’altra, allora potremmo ottenere un coinvolgimento e una consapevolezza migliore nei confronti delle nuove generazioni. In quest’ottica della memoria trovo inutile fare un discorso sull’ipotetica formazione della Jugoslavia oggi, anche se c’è da dire che sarebbe molto forte, con tutti i talenti slavi che militano non solo nel nostro campionato, ma anche in Premier League, a testimonianza del fatto che quei paesi preservano una grande tradizione calcistica, a discapito di un nuovo assetto economico del calcio europeo, che porta i giocatori ad accasarsi nei club più ricchi, andando così a indebolire notevolmente il calcio dell’est Europa, solo vent’anni fa molto competitivo, pensiamo alle due Coppe Campioni conquistate dalla Steaua Bucarest e della Stella Rossa di Belgrado.
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