“Sono l’Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti in uno stile d’oro dove danza
il languore del sole“.
– Paul Verlaine, Languore
Sarò sincero: mai e poi mai mi sarei immaginato di usare dei versi di Verlaine per discutere riguardo il calcio ma ritengo che questo estratto possa essere quanto mai attuale se paragonato alla squadra presa sotto esame: il Real Madrid.
Sono un inguaribile ottimista, riesco a guardare il bicchiere mezzo pieno anche quando non ne è rimasta neanche una goccia. E sono nel Sahara. C’è solo un’eccezione nella quale tutto questo non si avvera ed è questa, purtroppo. Credo che stasera il Real Madrid abbia raggiunto il fondo e sia riuscito a raschiare con le unghie anche l’ultimo strato rimasto, come se non bastasse. No, non sono pazzo, lo so che c’è una partita di ritorno da giocare e per di più al Bernabeu ma la sfida di oggi credo sia il livello più basso a cui potessero arrivare i Galacticos. Nelle ultime due stagioni il riconoscimento più grande ricevuto dai Blancos è stato quello di riuscire ad interrompere la striscia di trentanove risultati utili consecutivi del Barcellona. 2-1 al Camp Nou, una vittoria importante ma che lascia un retrogusto assai amaro: anche quest’anno il Real non alzerà un trofeo e la squadra non lo ha capito nella gara persa contro il Wolfsburg bensì nel successo ottenuto in Catalogna. Alla Volkswagen Arena, in un clima surreale, gli uomini di Zidane sono caduti al suolo, inermi, sotto i fendenti inflitti dalla squadra bianco-verde. 2-0, qualificazione appesa ad un filo.
La miglior qualità delle Merengues che trionfarono in Champions League nel 2001-2002 (ma anche nella squadra che alzò la coppa solamente due anni fa) non era quella in campo ma la grandezza e la facilità con cui erano in grado di reagire alle difficoltà: era una compagine fatta da grandi calciatori ma ancor prima da grandissimi uomini. Flashback doveroso: oggi siamo agli antipodi. Ed il declino dell’Impero è iniziato nella sessione di calciomercato estivo del 2014, quando Florentino Perez ebbe la brillante idea di privarsi dell’unico giocatore dotato di una dose massiccia di attributi, Angel di Maria.
Da lì in avanti la caduta inesorabile di una squadra capace di aggrapparsi a Cristiano Ronaldo ma non viceversa. Alcuni anni fa, Phil Jackson, il più vincente allenatore NBA di sempre, prese da parte Michael Jordan e gli disse che doveva fidarsi della squadra, perché il singolo potrà anche vincere una battaglia ma il collettivo vincerà la guerra. Inutile dirlo, i Chicago Bulls vinsero tre titoli di fila. Oggi l’asso portoghese non si fida dei suoi compagni e, usando un altro paragone con il mondo cestistico, non riesce a metterli in ritmo: Bale sembra essere un alieno in quel di Madrid, Benzema è in crisi mistica ma di esempi se ne potrebbero fare a miliardi. Cristiano sembra essere proprio quello stile d’oro di cui sono fatti gli acrostici che compone Verlaine, belli ma effimeri. E’ inutile negarlo, mercoledì sera si è raggiunto il punto più basso della storia del Real Madrid. Si è passati dall’essere una squadra grintosa ad una superficiale ed il fatto che arrivi dopo la vittoria in quel Clasico non mi stupisce minimamente.
L’altra faccia della medaglia, però, è rappresentata da un’ovvietà: si può solo risalire quando si ha toccato il fondo. Per scalare la ripida cima del football, però, bisognerà dare fiducia a quell’allenatore che quando indossava la maglia dei Galacticos era un connubio perfetto di eleganza ed aggressività, Zinedine Zidane. Chi meglio di colui che fu protagonista di una della più gloriose epoche del madridismo potrebbe riportare quest’ultimo ai suoi antichi fasti? Certo, i tempi saranno estremamente lunghi ed il blocco del mercato sarà un ulteriore zavorra con cui fare i conti ma scorre nel sangue di chi è nato nella capitale spagnola quell’insana voglia di voler non solo vincere ma anche sottomettere l’avversario. Per rievocare gli antichi spiriti, però, si dovrà inevitabilmente passare attraverso i tre momenti utilizzati da Hegel per parlare della dialettica: ricordare il glorioso passato (tesi) – dimenticare quest’ultimo guardando al contemporaneo (antitesi) – unire le due fasi precedenti grazie al lavoro di sintesi e di ri-affermazione. Quest’ultima, chiamata Aufhebung, è il punto che dovranno raggiungere i Blancos, ancorati all’interno di uno scomodo presente. Occorre rivoluzionare, stravolgere la propria natura per tornare ad essere se stessi, quel Real Madrid che solo a pronunciarlo ti tremava la voce ed allora il sole tornerà a illuminare l’Impero.