Tanto si è detto e tanto si è scritto su Italiagermania, tutto attaccato, una sorta di feticcio per la storia calcistica nostrana. I precedenti, soprattutto quelli più pesanti, ci sorridono, contro i tedeschi abbiamo vinto una finale e due semifinali mundial, gare rimaste nella memoria collettiva, tanto che nel 1990 Andrea Barzini decise di dedicare un film alla leggendaria partita del 1970, un quattro a tre che si meritò il titolo di “Partita del secolo”. Meno memorabile, dopo tutto parliamo di un’amichevole, ma anche la partita di stasera potrebbe lasciare tracce negli anni a venire. Ultimo test in vista degli Europei di quest’estate, primo e unico torneo che vedrà Antonio Conte in veste di ct, considerando che l’allenatore salentino si è premurato di far sapere a tutto il mondo che dall’anno prossimo casa sua sarà Stamford Bridge. Modalità discutibile, ormai una consuetudine per l’uomo che ha riportato la Juventus ai fasti ai quali era abituata prima di abbandonarla in maniera inaspettata. A Torino non lo rimpiangono, Allegri ha fatto anche meglio, forse neppure a Coverciano mancherà. Tavecchio lo ha voluto fortemente quale uomo immagine del nuovo corso, Conte conosce il calcio e sa tirare fuori il massimo dai propri uomini, tuttavia l’impiego part-time lo sfibra. Lui vorrebbe lavorare tutti i giorni e pretende stage che i club non gradiscono, prevedibile ma il salentino non se ne fa una ragione. Un amore mai nato, e pensare che il match della scorsa settimana sembrava il miglior viatico per la kermesse continentale. Convincente il pareggio con la Spagna, una squadra che – non giriamoci intorno – è ben più forte di questa Italia.
Non essere forti è uno svantaggio, palese, non sentirsi forti però può diventare un’arma per affrontare ogni sfida con la bava alla bocca. Questa nazionale non ha campioni (non ce ne voglia Buffon, ma la carta d’identità non è un dettaglio), Conte si è trovato a lavorare un materiale informe o quasi e qualcosa ne ha tirato fuori. Tuttavia, i dubbi superano ancora di parecchio le certezze, sfido chiunque ad azzeccare l’undici titolare che affronterà il Belgio all’esordio europeo. La Germania attuale è di un altro pianeta, può sembrare lapalissiano ma è sempre meglio essere chiari, il pubblico italiano su certe cose fa orecchie da mercante e in pochi sembrano essersi stupiti a dovere per la finale raggiunta quattro anni fa da Prandelli con una squadra superiore a questa ma certamente non straordinaria. Una mezza impresa, a battere la Germania allora pensò quel Balotelli che nel frattempo si è perso tra un problema fisico e un tweet di troppo, il tutto intervallato da generosi dosi di muso lungo e prestazioni abuliche. Oggi Mario non c’è, manca l’attrazione, il fenomeno, ma manca pure l’alibi, l’uomo (anzi, ragazzo) sul quale scaricare la colpa quando le cose non vanno più. Ripensate ai mondiali di due anni fa. Conte non ha consegnato le chiavi di questa Italia a nessuno, tanto meno a livello di immagine, le tiene strette nella sua mano, una mano che non vede l’ora di usarle per uscire dalla prigione dorata che gli ha offerto Tavecchio.
A Monaco Conte subisce uno smacco sul terreno di guerra a lui più caro, quello dell’intensità. La Germania è un rullo compressore e per lunghi tratti sembra che gli azzurri di più non riescano a fare, in questi casi tiriamo sempre fuori la scusa della condizione atletica e Conte non si è negato questo feticcio tutto italiano nel dopo-gara, ma la questione è più semplice e più dura al contempo: gli avversari hanno giocato meglio, di più e più forte. Il peggior risultato della nazionale marchiata Conte matura in mezzo al campo, dove Thiago Motta e Montolivo hanno fatto da spettatori alle scorribande teutoniche, non che la difesa abbia fatto meglio, con Bonucci che propizia il gol di Kroos e saluta anzi tempo per infortunio. Sbagliano tutti, tocca anche a Bernardeschi, anche lui con un gol sulla coscienza, Conte lo prova in qualsiasi posizione lui offre una prova trasparente. Qualcosa di buono lo offrono i giocatori entrati nella fase conclusiva, Okaka ed El Shaarawy, con il primo che si sbatte e il secondo che segna di giustezza il gol della bandiera. Il Faraone appare rinvigorito dall’esperienza giallorossa, speriamo che il fisico non lo tradisca ancora.
Abbiamo detto della statica mediana azzurra, mobilissimo invece il pacchetto avanzato di Low, con Draxler, Muller e Gotze che si scambiano continuamente posizione e mettono in croce l’Italia, gambe pesanti e testa leggera per gli azzurri, che stendono un tappeto rosso dinanzi a Kroos, figurarsi se il centrocampista Real sbaglia la battuta. Non c’è niente da fare, Muller si diverte come un pazzo nel propiziare l’azione del raddoppio e la palla morbida con la quale pesca Gotze è da sogno. L’Italia non c’è, la Germania gioca, sì, ma giogioneggia pure. Altri due gol nel secondo tempo, tris firmato Hector ma gran merito a Draxler, chiude i conti Ozil su rigore, la gara però comunque non è mai iniziata. Da ora si fa sul serio, speriamo che questo match sia solo un incidente di percorso ma guai a non considerarne il duro responso: quest’Italia non è forte, ma se ne prenderà serenamente atto potrà diventare qualcosa.