Ci sarebbe tanto da scrivere su Johan Cruijff, il Pelè Bianco, il Profeta del gol, uno dei più grandi giocatori della storia del calcio.
La notizia della sua morte, oggi 24 marzo 2016 a causa di un cancro ai polmoni ha scosso il mondo del calcio. Cruijff aveva battuto da moltissimi anni il fumo, che già nel ’90 gli aveva causato non pochi problemi, fu anche protagonista di una campagna contro il tabacco nella quale dichiarò “Nella mia vita ho avuto solamente due vizi, il calcio e le sigarette, le seconde mi stavano togliendo il primo”. Nello spot Cruijff palleggiava un pacchetto di sigarette per poi distruggerlo.
Per quelli come me, nati negli anni ’90, che non hanno avuto l’opportunità di vedere il calcio totale dell’Ajax e dell’Olanda, Crujff ha rappresentato una sorta di idolo lontano nel tempo, un pioniere che ha ribaltato totalmente il modo di intendere il calcio, trasformandolo da un’arte statica a una mobile e armonica. Se oggi possiamo apprezzare il gioco di una macchina perfetta come il Barcellona lo dobbiamo a lui, che arrivò in Catalonia negli anni ’90 per rivoluzionare l’assetto della società blaugrana, il loro modo di pensare allo sport.
Che ruolo aveva Crujiff? Punta, seconda punta, mezzala, regista, era in grado di giocare in qualsiasi posizione del campo, non vi era un numero che lo poteva identificare. Negli anni ’60, quando Cruijff debuttò con la maglia dell’Ajax, i numeri di maglia erano convenzionali, si andava dall’uno all’undici, in base al ruolo in campo, eccetto un ragazzo, che portava sulle spalle il numero 14. Aveva quattordici anni, quando vinse con l’Ajax il suo primo titolo giovanile. Johan era un “lanciere” dalla nascita: i suoi genitori abitavano a due passi dallo Stadion De Meer, in cui lui entrò per la prima volta a 4 anni. Alla morte del padre ne aveva 12 e fu praticamente adottato dall’Ajax, che aveva assunto la madre come lavandaia.
Con i lancieri Cruijff vinse tutto, ben nove campionati nazionali, sei coppe, tre Coppe Campioni e una Coppa Intercontinentale. Nell’agosto del 1973 si trasferì a Barcellona, dove gli fu impedito di vestire la 14, Cruijff optò quindi per la numero 9, indossando la 14 sotto la maglia blaugrana. E’ nel dicembre di quello stesso anno che i giornali lo soprannominarono “L’Olandese volante”, con il gol del 2-1 rifilato all’Atletico Madrid con una rovesciata d’antologia.
L’olandese volante è una figura mitologica, che sembra derivare dallo scrittore inglese Edward Fitzball nel 1826. L’olandese volante è un vascello fantasma che solca i mari in eterno, con il destino avverso che gli impedisce di tornare a casa.
La numero 14 fu consacrata durante il mondiale tedesco del 1972, con l’Olanda che insegnò al mondo il futuro del calcio. I tulipani, alla loro terza partecipazione alla fase finale della Coppa del Mondo, dopo le deludenti apparizioni nel ’34 e nel ’38, dominarono con un gioco strabiliante le partite disputate, liquidando nel girone finale l’Argentina per 4-0 e i campioni in carica del Brasile per 2-0, con Cruijff che andò a segno in entrambe le occasioni.
I sogni di gloria dell’Olanda si infransero in finale contro i padroni di casa della Germania dell’Ovest, che vedeva il confronto diretto fra i due migliori giocatori della manifestazione, Cruijff da una parte e Beckenbauer dall’altra. Per certi versi si può dire che quella partita vinta in rimonta dai tedeschi, fu un dibattito filosofico tenuto con i piedi.
In occasione del suo sessantesimo compleanno, l’Ajax ha ritirato la maglia numero 14. In quell’occasione, il 19 aprile del 2007 prima della partita di semifinale di coppa contro il Waalwijk, il presidente dei lancieri Jaake dichiarò:
“Johan Cruyff è stato preziosissimo per l’Ajax e ha permesso a questo club di acquisire una fama mondiale. Citare la maglia numero 14 significa citare Johan Cruyff ed è per questo motivo che il suo numero sarà ritirato per sempre come tributo a questo giocatore unico. Johan ha 60 anni, il 14 è per sempre”.