Nella tranquilla Lugano, una lunga intervista avuta dal quotidiano sportivo AS con Fabio Capello ha rivelato molti curiosi retroscena. Il primo su tutti, il suo rapporto con quel cattivone di Cassano. Non ci stupiamo delle ripetute frizioni che accadevano tra i due: l’uno monello e intemperante, l’altro severo e irreprensibile. L’allenatore usò il pugno di ferro con il talento di Bari vecchia, estromettendolo dalla rosa all’indomani della goffa imitazione carpita da una TV spagnola. Fantantonio lo scimmiottò a bordo campo e Capello non la prese per niente bene. Sempre con Cassano arrivò addirittura a perdere le staffe, venendo incredibilmente alle mani ai tempi della Roma. “Siamo quasi arrivati alle mani? Ci siamo arrivati, sì, ma a Roma – racconta Don Fabio – lì avevo un gruppo di uomini eccezionali con cui vincemmo un campionato. Io rispetto i giocatori e pretendo da loro rispetto. Questo è essere seri, non duri. Ora Cassano capisce il rispetto che deve avere nei confronti della gente”.
Sul difficile momento attraversato dalle Merengues, dopo l’esonero di Rafa Benitez e l’avvento di Zinedine Zidane, così si è espresso: “È possibile che il cambio da Ancelotti allo spagnolo sia stato traumatico per i giocatori allenare a Madrid è molto difficile e quando un presidente parla direttamente con i giocatori prima che con l’allenatore, vuol dire che il tecnico per lo ‘spogliatoio’ è già morto”. E poco dopo precisa che da Perez non ha mai ricevuto nessuna chiamata, nemmeno prima di affidare la panchina a Zizou: “No, io ormai sono in pensione e poi al presidente non piacciono gli allenatori che hanno lavorato con altri presidenti, gli piace scegliere cose nuove – spiega Capello – Zidane ha grande carisma e questo è importante, bisognerà dargli tempo perché hai la fiducia dei giocatori finché non sbagli, ma lo spogliatoio ti valuta ogni giorno”.
Poi è il momento di spendere qualche parola in sua difesa: “È una menzogna che circola da quando ho vinto il primo scudetto con il Milan, perché vincemmo tante partite per 1-0 – osserva il tecnico di Pieris – Ma non ricordate il mio primo anno al Real? Giocavo con un solo centrocampista che era Redondo! Poi c’era Seedorf che faceva la mezzapunta, Raul e Victor esterni e in attacco la coppia Mijatovic-Suker. Emerson-Diarra? Nel mio secondo Real? Mancava un po’ di qualità, è vero, e avevamo problemi con qualche giocatore, come Ronaldo, però abbiamo vinto il titolo”. In quella squadra c’era anche il ‘Fenomeno’, uno dei giocatori più forti che abbia mai allenato anche se i rapporti non furono immuni da controversie: “Pesava 96 chili, gli chiesi quanto pesava quando vinse il Mondiale nel 2002 – racconta Capello – mi rispose 84, gli chiesi di arrivare almeno a 90, non lo fece. Però Ronaldo era impressionante, quando mi chiedono chi è il giocatore più forte che ho allenato rispondo sempre Ronaldo: lui e Van Basten sono stati i migliori”.
Nel calcio di oggi, molto diverso da quello che lui praticava, non sono molte le squadre che lo affascinano: “Vedo tante compagini che cercano di imitare il Barcellona senza averne la qualità – è l’analisi dell’ex ct della Russia – Ora la cosa migliore è recuperare palla velocemente e verticalizzare come fanno lo stesso Barça e il Bayern, ma lo fanno bene anche Napoli e Liverpool. Luis Enrique ha introdotto nel Barça questa novità, ma ha potuto farlo grazie alla grande qualità che ha. È stato così per tutti i tecnici che hanno rivoluzionato il calcio: Kovacs aveva Cruyff, Neeskens e altri, nel Milan di Sacchi c’erano Van Basten, Gullit, Rijkaard, Baresi, Maldini, in questo Barça Xavi, Messi, Iniesta, Busquets”.
La sua ultima partita vissuta dal campo risale a 7 mesi fa, quando la Russia da lui allenata fu sconfitta per 1-0 dall’Austria; la federazione russa sollevò il tecnico dall’incarico e da allora non ha più allento.
Infine il tecnico friulano si lascia andare anche a qualche lungo flashback: “Pieris è un paesino di 1000 abitanti, è il paese con meno abitanti ad essere mai arrivato a militare nel calcio professionistico. Ben 3 giocatori sono arrivati in Nazionale partendo da Pieris, e 9 sono arrivati in Serie A. Quando ci ripenso, credo sia incredibile. Io ho fatto le giovanili alla Spal, nonostante l’interesse del Milan. Ho debuttato in Serie A a 17 anni. Ero una specie di De Rossi, avevo qualità, gol e sacrfificio, poi ho avuto diversi problemi al ginocchio. Quando giocavo con la Roma, mi allenò Helenio Herrera. Era 10 anni avanti a tutti. Non per la tattica, ma per come le sue squadre si muovevano senza palla. Prima queste cose non si facevano. Era un motivatore lui, diceva sempre: si gioca come si allena. Io e Pairó ci confrontavamo spesso con lui per migliorare la squadra”.
Quindi Herrera sicuramente è uno degli allenatori che più lo hanno ispirato; l’altro è Liedholm: “Quando c’erano problemi lui parlava sempre in modo tranquillo. I suoi allenamenti erano tecnica, tecnica e tenacia…Come fa anche Ancelotti! Infatti Carlo è stato un suo giocatore per molto tempo alla Roma. Con lui ho imparato, proprio come Carlo, che allenando molto i fondamentali la tecnica si pupo sempre migliorare”.