“Rafael Benitez non è più l’allenatore del Real Madrid“. Rafa, uno dei guru della panchina, è in netta difficoltà. La notizia è questa. “El Rey” (de Valencia), “The Spanish Manager” (of Liverpool), da un paio d’anni non sa più far volare le proprie squadre. Pare un secolo fa quando Rafa con i Reds fu capace di rimontare 3 goal e di battere in finale un Milan stellare nell’epica finale di Istanbul del 2005. E soprattutto la squadra stellare dei suoi ultimi anni di Liverpool con il vero Torres e campioni come Reina, Xabi Alonso, Mascherano e Kuijt. Unitamente a un collettivo e a una simbiosi con Anfield straordinaria. Forse è quella la sua migliore squadra.
Sicuramente lo è per chi non ha memoria storica dei 3 anni di Valencia, quelli dei numeri da “Invincibile Armada” che gli valsero due campionati e l’inizio della fama di “Re di Coppe”: la Coppa Uefa del 2004. Il ricordo di quelle squadre “verticali” e pimpanti ora è sbiadito e ha ceduto ormai il passo a quelle delle ultime esperienze. “Orizzontali”, grigie e tristi. Come è svanito del resto il Rafa signorile, elegante e soprattutto vincente. Lontano anni luce da quello nervoso, rancoroso e scuro in volto di oggi. Quello dell’integralismo tattico e dell’ormai prevedibile 4-2-3-1. A Napoli era passato da “Don Rafé O Viceré e Spagna” a “Panino con la mortadella” da un’annata all’altra. Prima stagione eccezionale e parentesi felice in mezzo ai fallimenti targati Inter e Real Madrid e all’altrettanto fugace esperienza londinese col Chelsea salvata in extremis con la seconda Europa League della carriera: tanti nuovi innesti, terzo posto, 12 punti in un girone di Champions con Arsenal, Dortmund e Marsiglia e una Coppa Italia.
Secondo anno sbiadito. I contrasti con la società sul mercato e il mancato salto di qualità (nessuna cessione illustre e quindi milioni da investire o niente rinnovo e quindi niente spese pazze? O tutte e due?), il “resto o vado via” e i troppi “ni” a farla da padrone e una stampa che lo detestava apertamente. A tal punto da rovinargli l’immagine parlando alla pancia di una certa parte del tifo napoletano. Quella delle dicerie, quella che pende dalle labbra di Auriemma, quella delle trasmissioni locali. “Non li fa filare“, “Non li fa allenare abbastanza“, “Gli da troppe vacanze“; “Guadagna tanto e se ne va pure in vacanza“. Il miracolo al Chelsea gli era riuscito. Dopo la deludente eliminazione in Champions e soprattutto la sconfitta nella finale della Coppa del Mondo per Club con il Corinthians, Rafa, a Londra da “traghettatore” dopo l’esonero di Di Matteo, aveva salvato la stagione con la vittoria in Europa League.
A Napoli il miracolo non gli riesce. Nonostante la mancanza di un portiere vero, una difesa colabrodo (la stessa che adesso vola con Sarri) e il duo di centrocampo Lopez-Gargano a dir poco inadeguato per il suo 4-2-3-1, Rafa porta il Napoli in semifinale e sfiora l’ennesima finale europea della sua carriera, complici un Dnipro quantomeno fortunato e una serie di evidenti errori arbitrali. Niente finale di Coppa Italia e niente Champions: El Rey scappa a Madrid in fretta e furia con appena una Supercoppa in tasca. Durante la presentazione si commuove annunciando d’aver coronato il suo sogno ma la musica rispetto a Napoli non cambia. La squadra rimpiange Ancelotti e non mancano episodi imbarazzanti e plateali di sfida e ostilità nei suoi confronti. In allenamento Kroos gli fa una linguaccia e Ronaldo lo manda addirittura a quel paese. Solo avvisaglie delle prestazioni sotto tono e delle smentite di rito: “Il mio rapporto con i giocatori è essenziale“. E soprattutto della testata che insieme a Zidane la proprietà gli ha servito.
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