Watford: la magia dei Pozzo nella città di Harry Potter

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Watford, Hertfordshire, 15 minuti di treno da Londra in direzione nord-ovest, è una cittadina di circa 90.000 abitanti famosa per essere la sede dei Warner Bros. Studios in cui sono state girate numerose scene della saga cinematografica di Harry Potter e in cui oggi si possono visitare i set ed ammirare le scenografie ed i costumi utilizzati nella produzione dei film.
Calcisticamente, la squadra locale aveva goduto di un breve periodo di gloria durante i primi anni ’80, quando un facoltoso tifoso si era sobbarcato l’onere di acquisirne la proprietà e di portarla ad un livello mai raggiunto prima. Parliamo di tale Reginald Kenneth Dwight, meglio noto come Sir Elton John.

Una volta raggiunti un secondo posto nel massimo campionato inglese, una finale in F.A. Cup e la qualificazione europea in Coppa UEFA, gli anni ’90 hanno segnato il declino degli Hornets.
La riscossa è venuta dall’Italia nel 2012 e si è concretizzata con l’ingresso in società della famiglia Pozzo, già proprietaria dell’Udinese e del Granada.
La stampa italiana spesso considera le partnership straniere della galassia Pozzo come due satelliti dell’Udinese, squadre in cui parcheggiare chi non riesce a trovarsi bene in serie A o qualche giovane in attesa che esploda il suo talento.

In Inghilterra lavora ormai in pianta stabile Gino Pozzo, figlio di Giampaolo storico patron dell’Udinese, che, in un’intervista rilasciata al Messaggero Veneto lo scorso ottobre, parla invece del Watford come la squadra con il maggior giro d’affari tra quelle sotto il suo controllo.
Possedere 3 club in 3 dei maggiori campionati europei non significa solamente attivare sinergie a livello societario e gestire un’ampia rosa di giocatori in contesti diversi e di primo livello, significa anche differenziare la strategia aziendale sfruttando le risorse e le opportunità che ogni mercato riserva.
Ad esempio in Spagna ci sono meno vincoli al tesseramento di giocatori stranieri e si possono far crescere i giovani talenti nella squadra “b” impegnata nei campionati minori, in Inghilterra si possono sfruttare le ingenti risorse finanziarie derivanti da una più equa distribuzione dei diritti televisivi ed in Italia si può dar spazio a giocatori più esperti in cerca di un rilancio.

A grandi linee è questo lo scenario dipinto da Gino Pozzo, che rimane attaccato all’Udinese come squadra di famiglia da 30 anni, ma che non può negare che oramai il centro nevralgico degli affari si è spostato oltremanica. Resta in piedi ovviamente l’organizzazione tipica della società friulana, capace di sfoderare un’ampia rete di scout in giro per il mondo per andare a pescare quelle giovani promesse, che poi, una volta valorizzate, saranno rivendute come giocatori pronti per i top team.
Solo che ora la strategia si è differenziata: Udinese per il rilancio, Granada per i giovani stranieri, Watford per gli investimenti di maggiore spessore.

La famiglia Pozzo ha rilevato il Watford per una cifra intorno alle 500.000 sterline, dopo di che ne ha dovute sborsare circa 10 milioni per risanare i debiti e quindi ha iniziato ad investire prima sullo stadio (almeno 5 milioni di sterline), poi sul parco giocatori, allenatore e staff.
Con queste premesse è ovvio che l’arrivo della proprietà italiana sia stato accolto come una manna dal cielo dai tifosi degli Hornets: la progettualità e la capacità di investimento dimostrate hanno da subito convinto la piazza di aver ritrovato qualcuno che la potesse portare nuovamente fra i grandi della Premier in pianta stabile.

Dagli aspetti finanziari si è poi passati al campo e, dopo la mancata promozione di due anni fa con la finale play-off persa contro il Leicester, l’anno scorso è arrivato finalmente il ritorno in massima serie.
I bookmakers non davano molto credito ai giallo-neri, riservando per loro un’elevata probabilità di ricadere in Championship, ma non avevano fatto i conti con la programmazione e la nuova guida tecnica del Watford.
L’architetto di questa stagione da urlo è Quique Sanchez Flores, allenatore con un’Europa League in bacheca, al rientro dall’esperienza più che triennale negli Emirati Arabi.

La sua rosa multietnica (oltre 20 nazionalità per circa 30 giocatori) sembra parlare il linguaggio comune del football come poche altre squadre in Premier ed i risultati stanno lì a dimostrarlo, così come l’esplosione di Odion Ighalo, quarto marcatore della Premier con 12 gol.
Il nigeriano è la rappresentazione in campo della strategia aziendale dei Pozzo: portato in Italia dagli scout dell’Udinese, il giovane Ighalo non riuscì a sfondare, ma la dirigenza decise di non disfarsi dell’atleta e di cercare di valorizzarlo al meglio girandolo al Granada in Spagna.

Qua le cose sono andate decisamente meglio ed il giocatore ha iniziato a giocare con continuità, seppure senza raggiungere livelli trascendentali. Nel 2014 l’arrivo al Watford e subito 20 gol in Championship.
Quest’anno l’esordio in Premier e per ora i gol sono 12 in 17 partite.
Quique Sanchez Flores ha detto di non aspettarsi una sua eventuale cessione a gennaio, ma non ha minimamente escluso che Ighalo possa lasciare Vicarage Road a fine anno. Sarebbe il perfetto completamento del tipico percorso di un atleta sotto la gestione Pozzo.

Per il momento comunque non si pensa agli affari, la parola spetta al campo e con 28 punti a 2 gare dal giro di boa, squadre titolate come Chelsea e Liverpool dietro o Manchester United a 1 punto, non si può far altro che sognare ad occhi aperti, ricordandosi sempre, come scrive anche il tifoso Bradley Hayden sul sito del Watford Observer, che nulla sarebbe stato possibile senza i Pozzo.

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Cresciuto a pane e telecronache delle proprie partite con le figurine Panini sul campo di Subbuteo, sviluppa una passione viscerale per il calcio, che si trasforma presto in autentica dipendenza. Da sempre dalla parte degli underdog, non scambierebbe mai 1000 vittorie da cowboy con un unico grande successo indiano sul Little Bighorn. Tra una partita e l'altra, trova il tempo per laurearsi in economia, Tuttocalcioestero gli offre l'occasione per trarre finalmente qualcosa di buono dalla sua "malattia" per il pallone, strizzando l'occhio al sogno nel cassetto del giornalismo di professione.