Raul al passo d’addio: storia di un calciatore leggendario

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In un’anonima domenica di novembre, dove i club non scendono in campo e scarseggiano le gare d’elevato interesse, un grande calciatore, fra i più popolari e importanti degli ultimi vent’anni, darà l’addio al calcio giocato. Si tratta di Raul Gonzalez Blanco, per tutti semplicemente Raul. La finale della NASL, seconda serie americana, fra i New York Cosmos (club nel quale milita Raul) e gli Ottawa Fury sarà il suo canto del cigno, che si consumerà a migliaia di chilometri di distanza dall’amata Madrid.

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Raul, con la fascia da capitano al braccio, in una foto nell’epoca in cui militava nelle giovanili dei Colchoneros

DALL’ATLETICO AL REAL – Amata Madrid, verrebbe da dire, in tutti i sensi. Eh sì, perché se Raul è diventato un’icona grazie al Real Madrid, non tutti sanno che la sua carriera è iniziata nell’Atletico Madrid, squadra, oltretutto, per la quale faceva il tifo quand’era in tenera età. Il suo, nel vasto panorama del calcio internazionale, non è l’unico caso di calciatore diventato leggenda vestendo la maglia del club rivale della squadra per cui faceva il tifo da bambino. Un altro caso, ad esempio, riguarda Callagher, capitano di lungo corso del Liverpool ma da ragazzino accanito sostenitore dell’Everton, rivale cittadina dei Reds.

E se arrivò al Real Madrid nel 1992, appena quindicenne, il “merito”, se così si può dire, fu di Jesus Gil, vulcanico presidente dell’Atletico Madrid, che fu costretto a ridimensionare pesantemente il settore giovanile dei Colchoneros per problemi finanziari. Le Merengues ne approfittarono subito, portando quel ragazzino dotato di grandissimo talento nella cantera Madridista. Dall’arrivo alla cantera al debutto in prima squadra passarono solo due anni. A lanciarlo fu un certo Jorge Valdano, che per far posto a Raul, allora poco più che diciottenne, relegò in panchina Emilio Butrageno, un’autentica leggenda del Real Madrid.

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Raul zittisce il Camp Nou, immagina diventata icona del Madridismo

DA PROMESSA A SIMBOLO: LE PRIME GRANDI SODDIFAZIONI IN MAGLIA MERENGUES – Dopo la buona prima stagione, Raul esplose definitivamente l’annata successiva, mettendo a segno 19 goal nella Liga e 6 in Champions League. Il Bernabeu s’innamora definitivamente di quel ragazzino così agile, bravo tecnicamente e freddo sotto porta. Quel numero 7 ha solo vent’anni, ma in campo si comporta come il più navigato dei compagni di squadra. L’anno successivo, con ben 21 reti realizzate, trascina il Real Madrid di Fabio Capello alla conquista di una Liga che, sulla carta, lo vedeva nettamente sfavorito sul Barcellona del “Fenomeno” Ronaldo. Per la prima volta, il marchio di Raul si lega indelebilmente ad un successo delle Merengues.

Passano solo dodici mesi e Raul, pur andando a segno con meno frequenza, vince la sua prima Champions League. Anche in questo caso, il Real Madrid parte nettamente sfavorito nella finale contro la fortissima Juventus di Marcello Lippi, alla terza finale consecutiva nella “Coppa dalla grande orecchie”. Raul non segna, ma basta una rete di Pedrag Mijatovic per riportare la coppa a Madrid dopo 32 anni d’astinenza. Dal tetto d’Europa a quello del Mondo, il passo è breve. Passano pochi mesi e il Real Madrid, grazie proprio ad un suo goal a pochi minuti dal termine del match, batte 2-1 il Vasco de Gama e vince la Coppa Intecontinentale a 38 anni di distanza dall’unico successo colto nella manifestazione.

Il Real Madrid è tornato grande: Raul è il suo simbolo. E poco dopo, ottobre 1999, diventa un’icona madridista per sempre. Siamo al Camp Nou. Si gioca El Clasico, il match più sentito al mondo. Quel ragazzino con la maglia numero 7, ormai diventato una star a livello mondiale, va a segno e, con un gesto inequivocabile, zittisce il Camp Nou gremito in ogni ordine di posto. “Ssshhhhhhh“, zitti tutti: ha segnato Raul. La stagione si concluderà con la vittoria della Champions League, la seconda della sua carriera, impreziosita da una perla che fissa il risultato sul 3-0 nella finale tutta spagnola contro il Valencia.

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L’esultanza di Raul dopo il goal realizzato contro il Bayer Leverkusen nella finale di Champions del 2002

GIOIE E DOLORI NEL REAL DEI GALACTICOS – La conquista dell’ottava Champions del Real, è l’ultima dell’era Sainz. Arriva Florentino Perez, inizia l’epoca dei Galacticos. E Raul, ovviamente, ne fa parte. Segna 24 goal in campionato, che valgono la conquista della Liga. E’ lui, a detta di tutti, il candidato forte per la conquista del Pallone d’Oro. A vincerlo, però, è Owen, funambolico numero 10 del Liverpool divenuto famoso, pochi anni prima, per un goal d’antologia durante un ottavo di finale, Inghilterra-Argentina, dei Mondiali di Francia. Raul non si demoralizza. E l’anno successivo, in un Madrid imbottito di stelle come Zidane e Figo, conquista la sua terza Champions, mettendo a segno il goal del momentaneo 1-0 nell’epilogo contro il Bayer Leverkusen, restato nella memoria collettiva per la superba prodezza di Zizou che ha fissato il punteggio sul 2-1 finale.

Nel 2003 vince la sua quarta Liga e a fine anno, complice l’addio di Hierro, diventa capitano del Real a soli 26 anni. Un record. Dovrebbe essere la definitiva consacrazione. E invece, Raul sembra perdersi. Le reti vengono realizzate con minor frequenza e anche le prestazioni non sono sempre all’altezza della sua fama. Arriva anche tanta panchina. E’ un Real di grandi nomi: oltre a Figo e Zidane, si sono aggiunti Ronaldo e Beckham. La squadra non riesce a trovare il giusto equilibrio tecnico-tattico, lui ne risente. E, incredibile ma vero, perde anche la Nazionale, restando fuori dal fantastico gruppo che, negli anni successivi, sarà capace di vincere due Europei ed un Mondiale. La sua esperienza con le Furie Rosse si chiude, ad ogni modo, con numeri decisamente eccellenti: 102 presenze, 44 goal.

Dopo tre stagioni sottotono, Raul risorge con il ritorno in panchina di Fabio Capello, il tecnico che gli consentì, dieci anni prima, di vincere una Liga d’assoluta protagonista. I goal, numericamente parlando, non sono quelli di un tempo, ma l’impegno, il sacrifico e lo spirito d’abnegazione sono da grande giocatore, che pensa prima al bene supremo della squadra sacrificando la gloria personale. Capello, nonostante la conquista del titolo spagnolo, non viene confermato. A Florentino non piace il gioco proposto dal tecnico friulano e decide di affidare la panchina delle Merengues a Bernd Schuster, tecnico tedesco con un passato al Real anche da calciatore. Sotto la gestione del tecnico tedesco, Raul torna ad essere implacabile anche a livello realizzativo: due stagioni, trentasei goal complessivi, oltre alla conquista della sesta Liga personale.

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Raul conquista anche Gelsenkirchen: questo il saluto dei tifosi dello Schalke al momento dell’addio

L’ADDIO A MADRID E LA SPLENDIDA ESPERIENZA ALLO SCHALKE – Dopo due splendide annate, Raul è oscurato dall’arrivo di Cristiano Ronaldo e Kakà. Sulla panchina madridista arriva Pellegrini, lo spazio si assottiglia. Quel ragazzino, diventato ormai un uomo di 33 anni, capisce che è venuto il momento di dirsi addio e vola nella grigia Gelsenkirchen, posto di minatori  e operai, per vestire la maglia dello Schalke 04. Ritiro dorato? Assolutamente no. Indossa l’adorata numero sette e vive due stagioni d’assoluto protagonista, realizzando 40 reti fra Bundesliga, Coppa di Germania, Champions e Europa League, togliendosi la soddisfazione di vincere Coppa di Germania, Supercoppa tedesca e raggiungere una storica semifinale di Champions, obiettivo mai raggiunto nella storia dei Knappen. Quando saluta l’Auf-Schalke Arena, la gente gli tributa una grande standing-ovation: in 24 mesi, in un ambiente agli antipodi rispetto a Madrid, ha  saputo conquistare tutti.

Dopo la Bundesliga, arrivano le esperienze di fine carriera in Qatar e negli States. In Asia, vince un campionato e una coppa nazionale con la fascia da capitano al braccio. Fiero e orgoglioso dell’esperienza fatta in un mondo totalmente differente da quello europeo, Raul abbraccia il progetto propostogli dai New York Cosmos, franchigia che milita nella seconda serie americana per importanza, la NASL. Esperienza personale splendida, che gli consente di vivere la quotidianità di una fantastica città qual è la Grande Mela. La voglia di vincere, però, non l’ha certo abbandonato. E stasera, nella finale contro gli Ottawa Fury, l’obiettivo è sempre quello, lo stesso che lo accompagna da quando, nel 1994, mise piede su un campo di calcio professionistico: vincere.