Alta tensione in Albania prima del match casalingo contro la Serbia, e non potrebbe essere altrimenti visti i fatti dello scorso 14 ottobre a Belgrado.
A poche ore dal match il pullman della nazionale serba è stato accolto a Tirana con un tiro al bersaglio da parte dei tifosi locali, situazione che potrebbe gravemente peggiorare in campo. Il premier serbo Aleksander Vucic ha comunicato agli organi stampa che non si recherà alla partita: “Non andrò allo stadio per far sì che i protagonisti siano solo i calciatori e lo sport. Chiedo alle autorità albanesi di garantire la massima sicurezza a tutti i cittadini serbi prima, durante e dopo la partita, altrimenti non giocheremo la partita”.
Serbia-Albania del 14 Ottobre, la UEFA considera tale partita a rischio e vieta la trasferta alla tifoseria ospite. L’ambiente è già teso prima del calcio d’inizio, dalla curva serba partono cori che incitano alla morte degli albanesi, poi le immagini che hanno fatto il giro del mondo: un drone ha sorvolato il campo depositando la bandiera della “Grande Albania” con la scritta “Kosovo Autoctono” (indipendente). Mitrovic, giocatore serbo, inconsapevole delle conseguenze, ha sfilato la bandiera con l’intenzione di gettarla via, gesto che non è piaciuto agli avversari albanesi che lo hanno inteso come una mancanza di rispetto verso il proprio vessillo. Si scatena una rissa fra i giocatori con invasione da parte del pubblico e l’intervento delle forze dell’ordine, il che porta inevitabilmente alla sospensione permanente del match.
Il Kosovo è sempre stato un territorio a maggioranza albanese, si è dichiarato indipendente nel 2008, un decennio dopo la fine del conflitto nei balcani. Questa presa di posizione ha creato innumerevoli controversie dal punto di vista diplomatico, non tutti i paesi dell’ONU riconoscono il Kosovo come paese a se stante, in primis proprio la Serbia, che rivendica tutt’oggi il territorio come proprio.
Tensioni sociali che potrebbero trovare libero sfogo anche nella partita di stasera, con il riaffiorare dell’odio etnico che da sempre ha caratterizzato la storia di queste due nazioni. A questo punto è lecito chiedersi: perché la UEFA si deve sempre mettere in ridicolo? E’ davvero necessario far disputare queste partite con il forte rischio di riaccendere uno spirito patriottico e nazionalistico che possa acuire l’odio fra i due popoli? Eppure le misure per la questione russo-ucraina sono state adeguate: nelle competizioni UEFA le nazionali e i club dei due paesi non possono disputare partite. Una decisione semplice e lineare, ma pur sempre efficace. I provvedimenti presi inizialmente dalla UEFA per Albania-Serbia, ovvero giocare la partita in campo neutro, sono decaduti, inoltre a Tirana è stata permessa la trasferta ai tifosi serbi.
Non si deve fare l’errore di pensare allo sport esclusivamente come un momento di festa e amicizia fra i popoli, certo, sarebbe una società ideale se fosse sempre così. Ma se non si riescono a placare le rivalità fra tifoserie all’interno di una stessa nazione, figurarsi in campo europeo. Le istituzioni sia nel nostro paese, che in Europa hanno fallito per quanto riguarda le loro campagne di sensibilizzazione alla lotta al razzismo e l’accettazione delle diversità etnica o religiosa che sia. Si celebrano solamente sterili spot, nel vano tentativo di cambiare la mentalità delle masse, quando le colpe di una mancata educazione partono da lontano: della influenze negative della nostra società, delle scuole e della mala-politica e il propagarsi di movimenti di estrema destra che hanno solamente lo scopo di intensificare l’odio verso un nemico esterno.
Come in questi casi, le istituzioni permettono ai movimenti di massa, alle corrente nazionalistiche, all’odio etnico di trovare una valvola di sfogo sugli spalti di uno stadio. E’ inutile tentare di separare il calcio dalla politica, a volte la situazione più saggia sarebbe quella di “manovrare il sorteggio” per fare in modo che certi popoli non vengano a contatto fra di loro. Il fallimento sociale è evidente, tanto vale tenere separati certi fattori per limitare un danno irreparabile.