God save the Premier League: inglesi contromano per le strade d’Europa

Se da un lato la Premier League resta il prodotto calcistico di maggior rilievo al mondo, grazie a quel complesso di stadi, atmosfere e risorse economiche, dall’altro lato è innegabile che il calcio inglese stia vivendo un momento decisamente complicato. Complicato è il momento della nazionale.  I Three Lions che già storicamente fanno estrema fatica nei momenti che contano, dopo la fine di un ciclo di campioni che si lascia alle spalle tanti rimpianti e nessun successo, si ritrovano con tanti giovani brillanti in rampa di lancio, ma con pochissimi giocatori fatti e finiti in grado di costituire un’ossatura importante(e come se tutto questo non bastasse, a dirigere le operazioni c’è ancora Roy Hodgson, fate voi). A livello meramente tecnico, una situazione abbastanza simile a quella da noi vissuta come movimento dopo il 2006. Se però per le nazionali di paesi che hanno movimenti calcistici sviluppati, in fondo si tratta di cicli, diverso è il discorso per i club inglesi, che, in questo momento, in Europa, fanno decisamente fatica. Dopo le eliminazioni clamorose di West Ham e Southampton, la prima giornata della fase a gironi sia di CL sia di EL, ha dato un responso eloquente.

Due le vittorie, ma i successi di Chelsea e Tottenham, rispettivamente in Champions contro il Maccabi Tel Aviv e in Europa League contro il Qarabag, si possono celebrare il giusto. E  forse nemmeno quello. Un pareggio, quello conquistato (si fa per dire) da un Liverpool costruito senza né capo né coda, contro il Bordeaux, e poi le tre sconfitte in Champions. Al Manchester United si può concedere come decisa attenuante per l’upset contro il PSV il terribile infortunio a Shaw, per l’impatto psicologico che ha avuto. Meno facile concedere attenuanti al Manchester City, non tanto per la sconfitta in se, che ci può stare in quanto avvenuta contro la Juventus (non se la passerà benissimo, ma è pur sempre vice-campione d’Europa e sempre Juventus c’è scritto sulla maglia) ma per una prestazione tutt’altro che consona sia al livello della manifestazione sia alla qualità della rosa. Stroncatura totale per l’Arsenal, sconfitto a Zagabria, e non serve aggiungere altro. In questo momento i top club di Premier League sembrano essere tutto, fuorché squadre inglesi.

Prive di carattere,  dell’animo combattivo e di quella grinta da working class, che, combinata ai valori tecnici (sempre generalmente tendenti all’alto) dei vari club, ha reso i club di Premier League squadre sempre difficilmente praticabili, spesso quelle da battere. Una peculiarità che in questo momento il football made in England, sembra aver smarrito ad appannaggio di quella che in questo momento si può definire soltanto con la parola fuffa. In questo senso, Chelsea-Arsenal di sabato scorso rappresenta un’istantanea perfetta. Decisamente lontana da un match che fino a poco tempo fa sarebbe stato un must, piuttosto vicino a un ideale non plus ultra calcistico, la partita di sabato scorso, incentrata principalmente sulla faida Mou-Wenger (pesa dirlo, somiglia a un dissing tra rapper vicini all’età pensionabile), aldilà di contenuti tecnici non eccelsi (cosa che può capitare) ha offerto come massimo apice dell’agonismo il “duello” Diego Costa-Gabriel, una scaramuccia tra ragazze con lo stesso vestito in una discoteca a Milano Marittima più che ad una battaglia fisica. Non basta dunque avere tante possibilità economiche, tanti giocatori di qualità, se l’atteggiamento in campo è diacronicamente opposto a quello della tua cultura calcistica. E’ evidente che il Football sia in crisi di identità.

Per risollevarsi, il movimento calcistico inglese ha bisogno di ritrovare se stesso, e questo può accadere tra dieci giorni, come tra dieci anni. E se da un lato, da italiani, siamo consapevoli che nella crisi del calcio inglese ci conviene sperare per riprendere ciò che abbiamo perso e completare la risalita, dall’altro lato, vedere il calcio che ha ispirato capolavori come “Febbre a 90′” in questo stato, ammettiamo, fa un certo effetto. E non necessariamente positivo.

 

Emilio Scibona

Laureato in Storia, proiettato nell'attualità, intossicato dal presente e incuriosito dal futuro. Appassionato di calcio, esaltato dal basket, catturato dal rombo di motore della Formula 1. Rimpiango i tempi che furono ma credo comunque nel domani.

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