Undici bambini rifugiati calpesteranno l’erba dell’Allianz Arena nel prossimo match, del 12 settembre, tra Bayern Monaco e Augsburg. Le loro piccole mani stringeranno quelle dei vari Manuel Neuer, Arjen Robben e Thomas Müller. Li guarderanno dal basso verso l’alto, giganti per i loro occhi, accompagnandoli sul terreno di gioco prima dell’inizio della partita di Bundesliga. I canti dei tifosi saranno, solo per qualche minuto, tutti per questi ragazzini, avvolti in un gesto d’affetto e simbolo di integrazione. Ne è convinto Karl-Heinz Rummenigge, amministratore delegato della plurititolata società tedesca: «Per il Bayern è una responsabilità sociale. Dare una mano ai profughi, ai bambini bisognosi, a donne e uomini per aiutarli e accompagnarli in Germania». E’ solo una delle tante, tantissime iniziative che il Fußball si è caricato sulle spalle per incrementare il processo di accoglienza, nonostante, è inutile negarlo, le difficoltà e i numerosi intoppi burocratici che coinvolgono i richiedenti asilo.
Proprio in queste ore, nella città bavarese, stanno arrivando numerosi migranti siriani accolti tra applausi, primi aiuti e canti di giubilo. Il calcio in Germania si dimostra particolarmente sensibile e in prima fila, proponendosi come mefagono per iniziative di integrazione e di supporto. Lo stesso Bayern Monaco, per esempio, fa sapere che, in collaborazione con la città e con tutto il land bavarese, finanzierà la costruzione di un centro d’allenamento per i rifugiati, garantendo lezioni di tedesco, pasti e attrezzatura sportiva. Non da ultimo, la società donerà anche un milione di euro, raccolto attraverso una partita amichevole, da destinare per altri progetti.
L’Europa, ed è sotto gli occhi di tutti, sta affrontando il più grande flusso migratorio dal secondo Conflitto mondiale: più di quattro milioni di persone sono fuggite dalla Siria da quando è scoppiata la guerra nel 2011. Solo nel mese di agosto sono entrati in Germania 104.460 richiedenti asilo, e si prevede che circa 800.000 persone faranno lo stesso quest’anno, quattro volte il numero del 2014. In migliaia hanno attraversato il confine tedesco, passando dall’Ungheria e dall’Austria, prima di mettere piede nella stazione di Monaco.
Così, partendo da qui ed estendendosi a macchia d’olio, gli stadi si sono spogliati delle tipiche e acerrime rivalità per stringersi in cori unisoni: nelle scorse settimane, tra i campi di Bundesliga e Zweiteliga (la Serie B tedesca), sventolando tra le gradinate, sono apparsi numerosi striscioni con la scritta “Welcome refugees”. Da Amburgo a Berlino, passando per Brema, a cambiare erano solo i colori delle scritte, ma non il messaggio: la mobilitazione delle tifoserie in favore dei rifugiati ha ripreso l’hashtag #refugeeswelcome promosso su Twitter dal Borussia Dortmund, dopo che la società aveva invitato 220 rifugiati ad assistere, nella famosa e maestosa Sudtribune del Signal Iduna Park, il match di Europa League contro i norvegesi dell’Odds Ballklubb. Lo scorso marzo la società giallo-nera aveva, inoltre, lanciato una campagna molto particolare per scoraggiare le frange più estremiste, molto presenti nella città della Vestfalia. Sotto il motto “Kein Bier für Rassisten” (Niente birra per i razzisti), il club aveva minacciato la chiusura degli spillatori a chi si fosse macchiato di un comportamento offensivo. Sempre da Dortmund, il difensore Neven Subotic, arrivato in Germania dopo esser scappato con la famiglia dalla guerra in Bosnia negli anni ‘90, ha detto la sua: «Prosperità e sicurezza non possono essere date per scontato e chi vive nell’agio ha una responsabilità nei confronti di coloro che sono meno fortunati e nella maggior parte sono bambini».
220 Flüchtlinge des Projekts “Angekommen in Dortmund”, zu Gast bei #bvbodd. #refugeeswelcome pic.twitter.com/CJA2QfmiAG
— Borussia Dortmund (@BVB) 29 Agosto 2015
Anche il Mainz ha portato i rifugiati allo stadio: alla Coface Arena, per vedere i padroni di casa vincere contro l’Hannover in uno scoppiettante 3-0, il club ha regalato 200 biglietti e nella prossima sfida casalinga, quella contro l’Hoffenheim, il numero di posti disponibili leviterà a più di 400. L’Hannover, invece, ha dichiarato che nei prossimi mesi organizzerà qualcosa di simile, ma, intanto, sul suo profilo Twitter ha fatto sapere di aver donato e regalato magliette e palloni.
Come visto, le società sportive tedesche rivestono un ruolo importante, ma anche i tifosi stanno rispondendo positivamente. Al Monaco 1860 si sono addirittura superati: per la prossima partita in casa, a fine settembre, contro il RB Leipzig, i tifosi dei Löwen hanno la possibilità di acquistare un biglietto per sé e uno per i rifugiati e, anche se al momento sono stati venduti più di 200 tickets con questa formula, la società ha affermato che provvederà a dare una mano aggiuntiva. «Già dalla passata stagione abbiamo sostenuto i più bisognosi in varie misure – ha affermato Markus Rejek, amministratore delegato – perché la questione riguarda tutti noi e come club è nostro compito essere coinvolti nella nostra città». Sempre nella seconda divisione calcistica tedesca, un altro club ha fatto qualcosa di simile: il St. Pauli, squadra di Amburgo storicamente nota per le sue forti prese di posizione contro gli estremisti di destra e contro i razzisti, ha aperto le porte del proprio Millerntor-Stadion, per l’amichevole di lusso persa 2-1 contro il Borussia Dortmund, dando la possibilità a 1000 rifugiati di assistere gratuitamente al match e invitando i propri fan ad arrivare un paio d’ore prima per socializzare e per conoscere le loro storie e vicissitudini. Le immagini pubblicate sul sito della società dimostrano grande partecipazione all’evento, confermata dalla vendita di più di 25mila biglietti.
Iniziative in sostanza simili, ma con sfumature differenti hanno coinvolto anche il Wolfsburg, lo Stoccarda, il Colonia, il Bayern Leverkusen e l’Eintracht Francoforte. Il Darmdstadt, neopromossa in massima serie, organizzerà degli incontri di sensibilizzazione davanti allo stadio prima dei match casalinghi, mentre il Werder Brema continua ad investire nel progetto “Bleib am Ball” che prevede, tra le altre cose, campetti da calcio in giro per la città per dare possibilità ai più piccoli di divertirsi, ma anche di ricevere un’educazione sportiva. In questo cortometraggio, realizzato per promuovere il programma, vengono raccontate le “disavventure” di Rahul, bambino siriano, e dei suoi amici che girovagano per Brema alla ricerca di un luogo per tirare quattro calci ad un pallone, prima di venire a conoscenza dei campi messi a disposizione dalla società bianco-verde.
Anche i calciatori, però, gonfiano il petto e fanno sentire la propria voce. Proprio un ex del St. Pauli, Gerald Asamoah (una stagione, nel 2010-2011), la settimana scorsa è stato testimonial di un video che ha avuto grande risalto in Germania. Il 36enne tedesco, ma di origini ghanesi, bandiera e idolo dello Schalke 04, assieme ad un altro ex calciatore ghanese e naturalizzato, Hans Sarpei, ha puntato il dito contro tutti quelli che si voltano dall’altro lato o alimentano la cultura dell’odio. «Attacchiamo chi non ha niente, chi è alla ricerca di aiuto. Sedetevi e domandate a voi stessi: perché facciamo cose del genere?», accusa nel video Asamoah, primo giocatore nero a far parte della nazionale tedesca, che poi lancia il messaggio, condiviso dalla società di Gelsenkirchen e da tutta la Federazione: «Steht auf, wenn ihr Menschen seid!» (Alzatevi se siete umani!).
#stehtauf #stehtaufwennihrschalkerseid #stehtaufwennihrmenschenseid https://t.co/Irk0rOjBwv
— FC Schalke 04 (@s04) 1 Settembre 2015
A più di 300 km a nord dalla città del carbone, più precisamente ad Amburgo, lo scorso martedì 1° settembre, René Adler e Lasse Sobiech hanno passato la notte in una tenda, assieme ad un gruppo di rifugiati. Separati dalla rivalità cittadina (Adler difende i pali dell’Amburgo, mentre Sobiech è il difensore del già citato St. Pauli), ma uniti dallo stesso spirito d’animo, i due hanno trascorso una serata in compagnia cantando, raccontando storie e ascoltando alcune esperienze e portando, ha affermato il portiere, un po’ di normalità nelle loro vite. Nella seconda città più popolosa della Germania, infatti, l’organizzazione “More than shelters”, per offrire agli stranieri una sistemazione temporanea e un po’ di umanità e dignità, ha ideato delle tende chiamate Domo che si adattano alle condizioni climatiche e sostituiscono accampamenti improvvisati e container.
«Per la solidarietà. Per il rispetto. Per l’integrazione. Per l’apertura mentale. Per il fairplay». Cinque parole, cinque concetti, mostrati su altrettanti cartoncini e sorretti dai giocatori della Nazionale. In un video apparso qualche giorno fa sul sito della Federazione tedesca, Schweinsteiger, Boateng, Gündoğan, Özil e Kroos, con la schiena dritta e fermezza nello sguardo, hanno ribadito il loro impegno e di tutta la squadra, vincitrice dell’ultimo Campionato del Mondo, a lottare «contro la violenza e contro il razzismo».
Ma non è tutto: vi siete domandati se esistono squadre di soli rifugiati? La risposta è, ovviamente, sì. Quella del FC Lampedusa Hamburg è una storia romantica fatta di solidarietà, viaggi e sofferenze, mentre lo scorso agosto è stato ufficialmente riconosciuto dalla Federazione tedesca il team Welcome United che si fa portavoce dell’empatia creatasi tra tifosi e stranieri. Nato dalla costola del SV Babelsberg 03, squadra di quarta divisione non lontana da Berlino, il gruppo è composto da ragazzi provenienti dalla Serbia, Somalia, Nigeria e Macedonia ed è stato fondato l’estate scorsa dopo un’iniziativa dei supporter del Babelsberg che hanno finanziato l’acquisto di magliette e kit sportivi. «L’integrazione completa dei giocatori nella vita del club è ciò che rende speciale questo progetto», si legge sul sito ufficiale del club. «I giocatori sono diventati membri, ottenendo gli stessi diritti e doveri, come tutte le altre squadre». Il che significa avere un’assicurazione, attrezzature, istruzione durante il tempo di formazione, ma non solo: la società cerca di offrire ai giocatori una nuova casa, di fornire assistenza per pratiche amministrative e supportarli nella ricerca del lavoro. Perché, come si legge nella nota: «Crediamo che ogni essere umano possa essere una risorsa per la nostra società».