Il sogno cinese, I puntata: La seconda Rivoluzione Culturale

Il gioco del calcio nasce in Cina, nell’XI secolo a.c. era diffusa una disciplina militare chiamata Tsu-chu, letteralmente: palla di cuoio calciata dal piede, che impiegava un pallone ripieno di piume e capelli femminili, lo scopo era quello di infilare il pallone in un buco sostenuto da due canne di bambù, utilizzando unicamente i piedi. Un manuale militare risalente al periodo della dinastia Han, includeva questa disciplina fra le esercitazioni di formazione fisica. Un manoscritto del 50 a.c., conservato a Monaco, attesta l’introduzione del tsu-chu in Giappone e la disputa d’incontri internazionali tra le squadre dei due Paesi.

Raffigurazione del tse Chu, XI secolo a.c.
Raffigurazione del tse Chu, XI secolo a.c.

La Cina per molti secoli prima dell’occupazione giapponese è stata una nazione avanzata rispetto al resto del mondo, nelle epoche passate osservando il colosso asiatico si poteva prevedere in che direzione sarebbe confluito  l’occidentale, quali i beni di consumo e le tecnologie che sarebbero state utilizzate,  Marco Polo quando approdò per la prima volta in Cina fu estasiato da ciò che trovò non dall’altra parte del mondo, bensì in un altro mondo.  Lo stesso si può dire della Chinese Super League che indica chiaramente quale sarà il futuro del calcio, ovvero un apparato senza cultura e tradizione, un movimento basato costantemente sugli sponsor e la politica dell’entertainment, un fenomeno che da qualche anno sta prendendo piede e mutando  il settore occidentale, in Cina tale dinamica è già a un livello avanzato.

In tale contesto non è poi così lontano lo scenario prospettato da David Foster Wallace in Infinite Jest, il romanzo, o per meglio dire, una delle opere fondamentali della letteratura mondiale, prende luogo in un’America post moderna nella quale gli anni non vengono più conteggiati, le vicende avvengono durante l’anno del Pannolone per Adulti Depend, nel quale l’intera nazione è tappezzata dal marchio dell’azienda, persino la Statua della libertà tiene in mano una confezione del prodotto, in un processo di assuefazione che porta alla totale dipendenza del marchio.

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Infinite Jest di David Foster Wallace

Il punto focale di questa analisi sono proprio i nomi delle squadre che militano nella Chinese Super League, altri non sono quelli delle aziende proprietarie: il Guangzhou Evergrande è una società immobiliare del Canton, una delle regioni più ricche e prolifiche della Cina meridionale, il Shanghai SIPG (fino al 2014 Shanghai South East Asia) è una società portuale, nonché il più grande attracco per navi mercantili di tutto il continente. Un fenomeno molto simile a quello del Basket, con l’unica differenza che quest’ultimo ha una identità e una tradizione decennale in Europa. Immaginatevi fra dieci anni un derby di Milano nel quale si affrontano Finvest e Pirelli, con i tifosi che inneggiano alle due aziende (e magari alla qualità degli pneumatici) esponendone il simbolo di modo che sia ben visibile agli occhi delle telecamere e dal pubblico da casa. Non vi sarebbe tradizione in tutto questo, ma solo un marchio da importare ed è ciò che sta succedendo a occidente con la progressiva colonizzazione calcistica, prima da parte degli emiri qatarioti, per poi spostarsi verso l’estremo oriente: Cina, Hong Kong, Thailandia.

Lo stesso fenomeno di perdita di tradizione e identità culturale lo si riscontra anche al di fuori dello sport, può certamente stonare tale definizione per la Cina, con ogni probabilità tale scenario sarà la forma definitiva di un processo tutt’ora in atto di “Seconda Rivoluzione Culturale”. Per il momento è più appropriato parlare di un paese senza memoria storica a discapito di una cultura millenaria fatta di dinastie e grandi personalità da Confucio a Gengis Khan, per citare i più famosi.

La Rivoluzione culturale voluta da Mao negli anni ’60 a seguito del fallimento del Grande Balzo in avanti, ha causato notevoli stravolgimenti. Questa imponeva di dimenticare, sradicare il passato attraverso la sua distruzione perché di tipo feudale e quindi non rispettava i dettami del comunismo. Il distacco dalla teoria del confucianesimo è netto, L’opera di Mao per struttura è molto simile a quelle del filosofo: anche esse contengono massime e brevi dialoghi, ma le similitudini si fermano qui, perché il Grande Timoniere nella sua personale bibbia non richiama la figura del vecchio filosofo, quindi tutta la tradizione sorta da quel pensiero. Il libretto Rosso si basa su una teoria prettamente marxista.

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La lunga marcia, Mao e il Libretto Rosso

Se Confucio prospettava una società ideale attraverso il rispetto delle leggi morali, Mao sottolineava la continua battaglia dell’uomo verso la libertà, in «un processo senza fine». Confucio, mediante l’indottrinamento morale, indicava la via delle istituzioni: «Vi è governo quando il principe si comporta da principe, il ministro da ministro, il padre da padre, il figlio da figlio». Mao non ammette repliche alla propria legittimità: «Soltanto attraverso il partito comunista si può vincere il nemico e portare a termine la rivoluzione nazionale e democratica».  Ancora, Confucio allontanava l’uomo dalla materialità, conducendo l’individuo verso un percorso spirituale. Mao, da vero uomo politico, fa uso del simbolo e dell’oggetto per sottomettere la nazione al proprio volere. Tutto, nella Cina socialista viene vissuto in funzione dei dettami del Libretto, e tutto in funzione di Mao.

E’ interessante notare alcune similitudine con la società odierna nonostante l’ideologia di base sia totalmente differente. Pensiamo ai rastrellamenti di interi quartieri storici, per l’edificazione di industrie siderurgiche dallo stile sovietico negli anni ’60 ai sfarzosi grattacieli che dominano le metropoli cinesi. Al libretto Rosso, elemento della propaganda comunista oggi sostituito dagli smartphone, dai nuovi mezzi di comunicazione e dalla nuova droga di internet che ingloba il soggetto in un contesto virtuale e non reale. Al volto di Mao ad ogni angolo della strada, il cui sguardo era rivolto in lontananza, sostituito dalle celebrità del momento, pop star, attori, calciatori. Cambiano i soggetti e gli oggetti della propaganda ma non la destinazione finale, il progresso tecnologico permette la parziale liberazione degli istinti ma al contempo crea nuove forme di repressione e alienazione del lavoro.

Nonostante ancora oggi il governo si definisce comunista, la Cina è un paese assolutamente capitalistico. Una forte contraddizione che ha un movente fondamentale, quello di mantenere il partito e i suoi uomini al potere. La vecchia nomenclatura, dopo la morte di Mao, non voleva fare la fine della Russia che subì un’opera di destalinizzazione con l’avvento di Nikita. Deng Xiaoping nonostante la liberalizzazione dei mercati dopo le molte riforme che facevano supporre ad un’immediata apertura democratica, non permise mai che la figura del Grande Timoniere fosse dimenticata o osteggiata. E’ Deng il padre della Cina moderna, colui che ne ha cambiato la filosofia e il modo di pensare attraverso le sue massime: “Non importa se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi”. O “Arricchirsi è glorioso”, deviando in tal modo le ambizioni di un popolo, dalla libertà e la rivoluzione all’ambizione capitalistica.

Deng Xiaoping
Deng Xiaoping

Dal 1989 in poi (anno infausto per il massacro di Piazza Tienanmen) il PIL cinese ha conosciuto una progressione mai osservata fino ad allora del 9% annuo per portarlo a contendersi il mondo con e contro gli Stati Uniti, tanto che si può parlare nuovamente di un globo diviso fra est e ovest. La battaglia si svolge sul campo delle risorse, ovvero il neocolonialismo per quanto concerne le materie prime, gas, petrolio, la Cina ha giacimenti che si estendono dall’area del Golfo, all’Africa per arrivare fino al Venezuela. Si può parlare di un’inversione di poli , noi, l’Europa, siamo diventati l’oriente di venti anni fa, un’occasione di saccheggio per i capitali dell’est.

Nonostante tutto si tende a identificare un popolo mediante uno stereotipo, permane ancora la convinzione che la Cina sia la terra della manodopera a basso costo e delle imitazioni che portano il marchio Made in China, queste sono realtà ora dominanti nei paesi in via di sviluppo del sud est asiatico come l’India che sta ripercorrendo le tappe dello sviluppo cinese. La trasformazione è avvenuta in modo così rapido da non essere percettibile. Lo stesso apparato calcistico in Europa, in costante perdita e con una situazione debitoria preoccupante può ancora sopravvivere con i continui investimenti di impresari orientali, ma con il passare degli anni e l’acquisizione dei brand più importanti è naturale pensare a uno spostamento del calcio verso est. Lo sport può per l’appunto divenire un tramite per l’imposizione dei prodotti e dei marchi orientali attraverso gli sponsor ritagliandosi così una fetta di mercato anche a occidente.

Le generazioni nate nel periodo maoista sono per la maggior parte ancorate alle proprie tradizioni e alle usanze che hanno caratterizzato da sempre il popolo cinese, mentre il processo di inversione dei valori e degli ideali ha inglobato la new wave, questa si assoggetta alle mode di consumo importate dall’occidente perdendo progressivamente le proprie radici, per questo si può parlare di “Seconda Rivoluzione Culturale” che fa uso di sistemi molto differenti e impercettibili rispetto al movimento maoista.

uno dei centri commerciali di Pechino
uno dei centri commerciali di Pechino

La popolazione si è arricchita notevolmente in modo stratificato, superando il processo di occidentalizzazione avvenuto con l’esportazione del branding e di un nuovo stile di vita fra gli anni ’80 e ‘90. La classe media ora ha possibilità inimmaginabili fino a venti anni fa, quella di un istruzione, di un lavoro ben retribuito, di un appartamento spazioso e una grossa macchina. E’ questo il sogno cinese, soppressi i desideri di democrazia nel 1989 l’ambizione dominante è materialista, del  culto dell’oggetto e dell’immagine. La Cina è l’unico sistema dittatoriale che è stato in grado di innalzare la qualità della vita del proprio popolo oltre ad essere una potenza economica ancora in crescita che si appresta a dettar legge sul mondo intero,. Il che mette in discussione il sistema occidentale basato su una democrazia spesso aleatoria. E’ questo il fulcro della nostra sconfitta, il fatto di considerare scontata la nostra libertà grazie all’apporto delle nuove tecnologie, ai nuovi metodi di comunicazione, al sovraccarico di informazione che converge in un meccanismo altamente speculativo ben distante dal concetto di verità.

Nella sempre più opulenta società cinese la macchina dell’entertainment calcistica si inserisce perfettamente. E’ il nuovo mezzo di propaganda del governo di Pechino.

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Sono nato a Urbino il 2 maggio 1991. Nel luglio 2015 ho conseguito la laurea in Chimica e tecnologie farmaceutiche. Mi occupo di giornalismo sportivo con un'attenzione particolare al lato economico e allo sviluppo del calcio in Cina, che approfondisco nel mio Blog Calcio Cina. Nel febbraio 2016 ho pubblicato il mio primo libro: IL SOGNO CINESE, STORIA ED ECONOMIA DEL CALCIO IN CINA, il primo volume, perlomeno in Europa a trattare questo argomento. Scrivo anche di saggistica (sovversiva) per kultural.eu