“Blood, sweat and tears”, Steven Gerrard forever

Gerrard

Mettete da parte le vostre tipiche faziosità italiane, rivolgete lo sguardo verso il cielo e lasciatevi trasportare nella folla di Anfield Road, nelle lacrime agli occhi dei 45 mila presenti (e anche di quelle di noi da casa, purtroppo) e, soprattutto, nelle lacrime che inevitabilmente inumidiranno gli occhi di uno dei migliori prodotti (diciamocelo, il migliore) della Kop di sempre, Steven Gerrard 8.

Alle 18:30 il Liverpool affronterà il Crystal Palace. Segnatavelo sul calendario, 16/05/2015. La partita in se non è affatto importante ma segnerà di fatto the end of an era. Oltre 17 anni dopo, oltre 700 partite disputate, oltre 180 gol messi a segno per il suo unico grande amore, il Liverpool, Steven Gerrard scenderà in campo per l’ultima volta nel suo stadio, Anfield Road.

Si è vero, il tempo passa e ti accorgi che inesorabilmente una parte di te se ne va, resti con un vuoto dentro ad assistere con ansia e malinconia a quegli ultimi 90 minuti che segneranno la fine della più bella storia d’amore a cui nessun romanziere renderà mai giustizia. Perchè vuoi o non vuoi Steven Gerrard non è stato solo uno dei più grandi calciatori inglesi, non è stato solo un’icona, un simbolo, una leggenda, è stato molto di più: è stato tutti noi. Il numero 8 incarna quello spirito tipicamente operaio della Merseyside, quell’essere così speciale senza mai perseguire manie di protagonismo.

Durante la Seconda Guerra Mondiale un altro inglese abbastanza orgoglioso, Winston Churchill, dichiarò al mondo cosa serviva veramente all’esercito d’oltremanica per diventare il più forte: “Blood, sweat and tears“. Fatico a trovare tre aggettivi che si possano sposare meglio con il modo di giocare e di vivere (che per uno come lui è la stessa cosa) di Steven Gerrard: il sangue ribolle da sempre nelle vene del capitano del club di Anfield, pronto ad esplodere; il dolore, quello di chi è sempre stato ad un passo dal potercela fare e poi, puntualmente, cadeva; le lacrime di chi dopo una vita di battaglie dovrà lasciare il posto a qualcun’altro. Chiedo venia, ho cercato di essere imparziare ma è impossibile. Steven Gerrard è il calcio, il mio calcio. Varie notti mi sveglio credendo che tutto questo sia solo un incubo, il peggiore, ma non è così.

In una serata movimenta della primavera del 2005 lo vidi per la prima volta, su un prato all’inglese. Sul braccio sinistro scintillava il segno della sua leadership; dietro quella maglia un po’ troppo rossa per non essere notata, riecheggiava il suo numero, l’8; la mano destra era fissa sul cuore, anch’esso troppo rosso. Fu subito colpo di fulmine. Dopo 45 minuti di fuoco Milano, sponda rossonera, si preparava ad alzare al cielo la sua ennesima Champions League. È lì che conobbi Gerrard: nel lungo corridoio che precede il terreno di gioco, volto, come al solito, a portare a termine la sua battaglia. Una delle tante. In occasione del decimo anniversario da Istanbul 2005, il 26 maggio, scriverò il mio ultimo saluto, a mente fredda magari accennando un sorriso. Oggi il mio mood è abbastanza triste, scusatemi ancora. 

Per i romantici l’appuntamento è stasera ore 18 ad Anfield Road, spiritualmente saremo tutti lì, vicini, stretti in un ultimo abbraccio, pronti ancora una volta a cantare: “Steve Gerrard, Gerrard, He’ll pass the ball 40 yards, He’s big and he’s f**kin’ hard, Steve Gerrard, Gerrard”.  

Grazie di tutto Steven, You’ll Never Walk Alone.

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Classe 96. Aspirante giornalista e telecronista, coltiva la sua passione scrivendo per tuttocalcioestero.it. E' un amante sfrenato degli intrecci specie quando a fondersi sono calcio e storia, lato poetico in una vita fatta di prosa.