Das Berliner Stadtderby, lo scontro cittadino tra Hertha e Union è qualcosa di anomalo in una grande capitale europea che non può esibire le sue figlie nel grande calcio, nelle coppe europee o in lotta per un successo nazionale. Nella geografia del fußbal, Berlino si guarda attorno un po’ spaesata: quello della prima città tedesca, verrebbe da dire, è un derby di Serie B, o meglio, di Zweite Liga, non fosse per altro che l’Union nella massima serie non ci ha mai messo piede. Ma è sbagliato chiamarla “Batracomiomachia”. No, non è una guerra tra topi e rane. Lo sappiamo, nel calcio non ci si giocano solo pezzi di metallo da alzare al cielo: la gloria è tutt’altra cosa. Così quando l’Olympiastadion ha riaccolto il derby di Berlino nel febbraio 211, c’erano quasi 75mila tifosi. E lì si è fatta la storia.
Però, per parlare del derby del 5 febbraio 2011, esattamente quattro anni fa, bisogna fare un passo indietro nella stagione 2008-2009, in pratica l’ultima annata pazza della Bundesliga, prima del duopolio Monaco-Dortmund. Il Wolfsburg di Grafite e di Edin Dzeko alza al cielo il Meisterschale davanti ai musi lunghi del Bayern, secondo. Poi al terzo posto lo Stoccarda e subito dietro, sorprendentemente, l’Hertha, che si qualifica per l’Europa League. Intanto, al termine dello stesso anno, l’Union, dopo una trionfante cavalcata in terza serie, approda in Zweite Liga. Con 78 punti conquistati, nove di vantaggio sul Fortuna Dusserldorf, l’Eisern arriva primo in classifica. In poche parole un trionfo della gestione dell’allenatore Uwe Neuhaus.
La stagione successiva, quindi, si preannunciava radiosa per i due emisferi di Berlino: si organizza addirittura un derby amichevole (si fa per dire) nell’estate del 2009, per festeggiare la riapertura dell’Alte Försterei rimesso a nuovo. Davanti a 20mila spettatori, la squadra dell’Ovest batte 5-3 quella dell’Est. Ma qualcosa nell’Hertha si spezza sin da subito: la squadra arranca in Bundes, ha difficoltà a gestire i doppi impegni con l’Europa League che prosciuga emotivamente i ragazzi blu. Superano la fase a gironi, arrivano ai 32esimi, ma di fronte c’è il Benfica. Dopo l’1-1 dell’andata all’Olympiastadion, l’Hertha perde il ritorno, in Portogallo, con un sonoro 4-0. E la stagione finisce qui: 18esima posizione, ultimo posto con soli 24 punti e una sentenza pesantissima. Si retrocede in Zweite Liga.
Pronti via, non si scherza più. Dopo anni di amichevoli, incontri di beneficenza, nella stagione 2010-2011 lo Stadtderby torna a valere tre punti. Tre punti pesanti. Il 17 settembre Köpenick, casa dei rossi, è tutto un fermento, arrivano i cugini dell’Ovest. Il match, però, finisce 1-1 e l’appuntamento è rimandato nel 2011, al ritorno.
Nel mezzo, la macchina Hertha si riaggiusta, trova l’assetto giusto per dominare la stagione in corso, il ritorno in paradiso, dopo una stagione nel limbo, è praticamente una formalità. Ci vorrebbe solo l’ombrellino nel long drink, una vittoria in casa, all’Olympiastadion, contro l’Union. E arriviamo all’11 febbraio: ci sono 74.244 tifosi, record stagionale, 20mila vengono dall’Est. L’Eisern è tredicesimo e vanno nella tana della prima in classifica. I giornali berlinesi parlano dell’Impero romano che affronta un gruppetto di Galli arrivati lì per caso. Spacciati.
Agonismo e spettacolo, un trauma cranico, giocate pazzesche, assedi, pali e qualche errore clamoroso. In questa partita c’è stato tutto questo: solo così si fa la storia. Al 13’ apre subito Roman Hubník per i padroni di casa; i ritmi sono alti, l’Hertha prova a raddoppiare, poi, al 37’ John Jairo Mosquera si inventa un gol pazzo da fuori area. E’ il segno che in un giorno freddo di Berlino, soffia aria calda proveniente da oriente. L’Hertha nel secondo tempo preme, sbaglia di tutto sotto porta. Ma, goffamente si impappina pure il portiere: al 71’, Torsten Mattuschka, il capitano e la leggenda dell’Union, calcia una punizione da oltre 25 metri. Tiro debole, ma Maikel Aerts non trattiene e la rete si muove per la seconda volta.
Tutti sotto la curva resa rossa dai fumogeni accesi. L’Impero romano crolla, si sgretola. Non sono Galli, ma Cartaginesi guidati da Annibale, il loro leader con il numero 17 sulle spalle.
Qui potete rivivere quel giorno: