Non vi lasciamo soli nemmeno sotto le feste, anzi vi proponiamo qualche approfondimento per conoscere meglio il dietro le quinte di questo fantastico mondo che è il calcio. Oggi rispolveriamo un’interessante intervista del maggio 2013 ad Antonio Salamanca, osservatore del Villarreal, ma che all’epoca era senza contratto – l’accordo con il club sarebbe arrivato da lì a non molte settimane – effettuata dal portale spagnolo OffSideMag.es.
Come sei finito a fare l’osservatore?
Inizialmente ero un agente, finché il mio socio decise di ritirarsi. Paco Herrera, allora direttore sportivo del Liverpool, e Rafa Benítez mi offrirono un posto come osservatore per la Spagna. Ma alla fine firmai per il Tottenham dopo essermi impegnato con Damien Comolli fino alla fine del suo mandato.
L’uscita di scena del suo socio fu l’unico motivo di questa decisione?
No, ero stufo di fare l’agente. Alla fine tra i giocatori, i loro dubbi esistenziali, i loro amici, andai in overdose. Mi parve molto più interessante cercare nuovi talenti che gestire quelli già affermati.
Gli amici dei giocatori sono così difficili da gestire?
Si, mi riferisco ovviamente a quelli che danno pacche sulle spalle quando firmi un contratto importante e spariscono quando ti ritiri dal calcio.
Sono così facili da manipolare i giocatori?
Assolutamente. La dimostrazione più chiara è quando, appena firmano il contratto, vanno a comprarsi una macchina sportiva. Per quanto gli consigli di investire ad esempio in immobili, non ti danno retta.
Qual è il modus operandi di un osservatore? Ci sono margini di iniziativa?
La maggior parte delle volte si cerca un giocatore per rinforzare una posizione specifica all’interno della squadra, però può capitare di vedere per puro caso un giocatore interessante e decidiamo di seguirlo per conto nostro. Seguire un calciatore implica doverlo veder giocare molte volte sia in casa che in trasferta, e se possibile, anche in moduli diversi. Bisogna valutare un giocatore a lungo termine e con più parametri possibili.
Quante volte devi vedere un giocatore per valutarne il potenziale?
Se ricordo bene l’Arsenal vide giocare 52 volte Reyes prima di comprarlo! Io azzardo a medio termine, perché quando vedo troppe volte un giocatore finisco per trovargli troppi difetti. Ma è importante soprattutto vedere tante partite in casa quanto quelle fuori.
Però cinquanta volte è un’esagerazione, no?
Sì, è esagerato, però è necessario vederlo almeno dieci volte. Quando un giocatore mi sembra adeguato, un collega si scomoda per esprimere una seconda opinione sul giocatore. A quel punto decide il direttore sportivo, a volte consultandosi con l’allenatore.
Perciò il direttore tecnico deve avere una fiducia totale negli osservatori…
Esattamente. Il direttore sportivo non deve nemmeno scomodarsi. Possiamo sbagliarci, ma il numero di partite da vedere dipende dalla sua situazione. Se il giocatore è in scadenza di contratto il rischio è minimo, ma se vale trenta milioni verrà visionato molte volte.
Si analizza anche il suo comportamento fuori dal campo?
Ho sempre lavorato così con Damien Comolli. Devi sapere tutto sul giocatore: il suo atteggiamento con i compagni, la sua vita privata, il suo tempo libero. Un ragazzo può essere un ottimo calciatore, simpatico nello spogliatoio, però se ha cattive abitudini o cattive frequentazioni, si ripercuoterò sul suo rendimento sportivo. Un giocatore che perde settemila euro in una notte al casinò non starà nelle stesse condizioni per l’allenamento mattutino di uno che avrà dormito otto ore a casa sua con moglie e figli. Devi fare un lavoro da detective per scoprire com’è un giocatore fuori dal campo.
Ha mai preso un giocatore di grande qualità cercando poi di raddrizzarlo col tempo?
Mai. Non abbiamo mai comprato un giocatore problematico, neanche in scadenza di contratto. Un festaiolo cercherà sempre di trascinare con sé un suo compagno.
Si nota molta differenza nel modo di lavorare tra l’Inghilterra e il resto d’Europa?
Ho avuto la fortuna di lavorare con la stessa persona sia al Tottenham che al Saint-Ètienne, ed esiste senz’altro molta differenza per quanto riguarda l’organizzazione delle squadre. In Inghilterra ci sono molte più riunioni di lavoro e si analizzano con maggiore accuratezza i giocatori. Ad esempio in Spagna non si tiene conto della vita privata del calciatore, nella Liga ci sono molti esempi di acquisti che non hanno mantenuto le aspettative perché non si è visionato a fondo. Un ragazzo festaiolo non lo diventa venendo in Spagna, lo era già prima.
I club inglesi hanno qualcosa in più rispetto agli altri in quanto a scouting?
Soprattutto i sei club maggiori sono molto organizzati. Ogni paese europeo è perfettamente coperto da almeno un osservatore, perciò è praticamente impossibile che un buon calciatore passi inosservato. Poi si può prenderlo o meno, ma l’importante è esserne a conoscenza. Ultimamente chiacchierai con Albert Valentín a Barcellona, il braccio destro di Zubizarreta in pratica, e anche lì hanno la rete di osservazione molto ben organizzata.
Osservatore e procuratore. Matrimonio forzato?
Per niente, bisogna saper distinguere. È come quando un allenatore in seconda diventa l’allenatore in carica. Sono stato agente, ma da quando son passato a questo ruolo ho alzato una barriera. Molti agenti che conoscevo mi hanno chiamato, ma non abbiamo chiuso operazioni con loro.
Ma i procuratori non hanno acquistato troppo peso ultimamente?
No. Un osservatore non può dimenticarsi che lavora per un club e non per un agente. Nel calcio tutto viene a galla prima o poi, se lavori per un agente duri poco.
Accade spesso che un agente offra compensi economici a un osservatore?
Sempre di meno, perché ogni volta che un procuratore prova a corrompere un osservatore deve corrompere anche il direttore sportivo… L’osservatore può passare informazioni all’agente ma alla fine quel che avalla tutto è sempre il direttore sportivo.
Hanno mai provato a corromperla?
Si. Accadde quando stavo al Tottenham e avvertii immediatamente il direttore sportivo. È inevitabile informarlo per mantenere un rapporto di reciproca fiducia, e anche perché il direttore sportivo, che potrebbe imbattersi varie volte con questo agente, sappia a cosa può andare incontro.
È difficile rimanere nel mondo del calcio comportandosi onestamente?
Si può rimanere senza squadra anche solo per i continui cambiamenti all’interno di un club, come avviene per gli allenatori, ma l’onestà è una virtù tenuta molto in considerazione dai direttori sportivi. Il mondo del calcio è un mondo molto piccolo, se sei corrotto verrà alla luce, e allo stesso modo se sei onesto. E questo è molto confortante.
Tornando ai giocatori… è cambiato il profilo del giovane calciatore?
Moltissimo. Quindici anni fa il calciatore giovane era un ragazzino con la tuta e il borsone, adesso invece lo vedi scendere dal pullman con cuffie giganti e orologi costosi. Ancora non hanno dimostrato nulla e già emulano Balotelli. Ci sono ragazzi che già cono intoccabili solo perché sono stati convocati nell’under 16.
È sbagliato che i giovani già guadagnino? Ad esempio il Barcellona paga i propri giocatori nella categoria Allievi…
Dipende dalla quantità. Vado spesso al centro sportivo del Barcellona e salta all’occhio la disciplina: i più giovani non scendono dal pullman con gli auricolari alle orecchie, non fanno baldoria… le posso assicurare che questo non è quel che si vede nella maggior parte dei club francesi.
Il Barcellona è un caso isolato o questa disciplina viene applicata in tutta la Spagna?
Spagna e Inghilterra sono molto diverse dalla Francia. È una questione di educazione, il triste episodio del pullman dei Mondiali in Sudafrica (si riferisce al fatto che la nazionale francese, su richiesta dell’Adidas, ha concesso la trovata pubblicitaria della demolizione del “pullman della vergogna”, ovvero quello utilizzato dai galletti per la spedizione africana, considerata la peggior della loro storia essendo stati eliminati al primo turno dopo due sconfitte e un pareggio, nds) o di un giocatore che non saluta il proprio selezionatore (il caso di Anelka e Domenech sempre in Sudafrica, nds) sono cose che accadono solo in Francia.
Più che un problema sportivo è un problema sociale…
Assolutamente. C’è un grosso problema per quanto riguarda l’educazione, il che va al di là del calcio. Ti capita di vedere un giocatore insultare un c.t. campione del mondo, ma anche uno studente aggredire il proprio professore.
Si dovrebbe fissare un’età minima per poter avere diritto a uno stipendio o un agente?
Il problema è che i calciatori già hanno un agente a dodici anni perché tutto il mondo è impazzito: il padre crede di avere Zidane in casa, il figlio si crede Messi e la madre sogna di vederlo guadagnare quanto Cristiano Ronaldo. A volte scartiamo un acquisto anche per evitare di complicare una situazione familiare. C’è una tale mancanza di controllo che alcuni arrivano a vent’anni avendo cambiato già quattro procuratori.
Il sistema è incontrollabile?
È molto complicato perché quando un ragazzo ha talento, gli agenti gli regalano una macchina e le società un posto di lavoro al padre. E tutto senza avere la certezza che quel giocatore riuscirà ad esordire tra i professionisti.
Qual è la “scoperta” di cui si sente più orgoglioso?
Ebbi la fortuna comprare Franck Ribéry quando stavo in National (la Lega Pro francese). Ero al Boulogne, che stava retrocedendo nella Serie D francese, avevamo problemi economici e non potemmo trattenerlo. È molto gratificante vedere i tuoi giocatori arrivare al successo, però è una bella soddisfazione anche vedere ad alti livelli giocatori che non abbiamo preso ma solo consigliato di prendere.
C’è riconoscenza per il lavoro degli osservatori o spiccano solo gli errori?
Quando si lavora in una struttura complessa c’è molta gente coinvolta, per cui di solito è più che altro una cattiva gestione del giocatore più che un errore di valutazione. Più che valutare la qualità del calciatore si tratta di prevedere il suo ambientamento ad un paese, a una lingua e a un campionato. Carlos Tévez non parla inglese, è incredibile… Ha la fortuna di essere un fenomeno, però per molti altri questo si ripercuote nel rendimento. Reyes ancora non parlava inglese dopo tre anni all’Arsenal e aveva sempre bisogno di qualcuno che lo accompagnasse quando andava a fare compere a Londra! Il suo acquisto fu rischioso perché un calciatore catalano ha poche possibilità di trionfare in un paese piovoso e dove è già notte alle cinque del pomeriggio.
L’Arsenal ha avuto più fortuna con Cazorla…
Sì, però Cazorla è asturiano, e lì il clima assomiglia più a quello della Scozia o al nord dell’Inghilterra. Inoltre ho avuto la fortuna di osservarlo e conoscerlo di persona: vive per il calcio al punto che potrebbe giocarlo anche sulla Luna.
Le piacerebbe lavorare per un club spagnolo?
Adoro la Premier League però lavorare in Spagna sarebbe una bella sfida. La crisi economica del paese e l’indebitamento dei club sono un presupposto intrigante per lavorare, dovendo cercare giocatori a parametro zero o per cifre molto contenute. Inoltre questo obbliga le società a scommettere di più sui giocatori della cantera o comunque formati in questo paese.
Parlando di Spagna, lei collaborò con Javier Clemente nella sua breve tappa all’Olympique Marsiglia. Che tipo è?
Ero il suo traduttore. Nonostante fu una tappa breve era una persona molto apprezzata. Recentemente ho incontrato Cristophe Galtier, che fu un suo collaboratore, e mi ha immediatamente chiesto di lui. Clemente è un allenatore che difende a oltranza i suoi giocatori, nessuno può criticarli tranne lui. È una persona molto buona.
La Roja potrà mantenere i suoi livelli col passare degli anni?
Assolutamente. Di sicuro giocatori come Xavi o Puyol già sono in età avanzata ed è difficile trovare giocatori di così alto livello, ma Busquets e Iniesta sono ancora giovani. La nuova generazione è molto interessante e già trepida. Isco già è nel giro della nazionale e, per esempio, anche Thiago Alcántara molto presto sarà un abituale.
La Francia potrò essere la sorpresa del Mondiale?
Finché non si risolve il problema educativo ci saranno sempre punti deboli. Tutte le squadre hanno i loro problemi però non si può disprezzare e insultare il proprio allenatore. In Spagna Vicente Del Bosque è rispettato da tutti i giocatori, anche quelli non convocati. Nel ’98 donne e bambini frequentavano gli stadi, tutti ricordano la semifinale del Mondiale ’82 a prescindere dal risultato finale o le gesta dell’86 contro il Brasile. I francesi hanno bisogno di una generazione come quelle per tornare ad emozionarsi. Didier Deschamps sembra aver percorso la strada giusta, però prima dovrà qualificarsi.
Quale giocatore sarà indiscutibile con la nazionale francese?
Adoro Pogba, alla sua età già ha giocato con Manchester United e Juventus e i suoi margini di miglioramento sono impressionanti. Tutti si sono sorpresi di Varane però gioca allo stesso modo in cui giocava nelle nazionali giovanili, non c’è alcuna differenza tra il giovane che affrontava la Georgia under 17 e il giocatore che scende in campo contro il Manchester City. La sua serenità ricorda quella di Laurent Blanc, pare che stia giocando sul divano, non va mai nel panico.
(foto: offsidemag.fr)