François David è uno dei massimi esperti di Liga spagnola in Francia, e lo scorso febbraio ha realizzato su Eurosport France una interessantissima intervista-fiume ad Antonio Salamanca, osservatore del Villarreal, per scoprire meglio questa fetta di mondo calcistico mai abbastanza conosciuto. Ve la proponiamo in italiano, ricordandovi che il contesto è quello della fine del mercato di riparazione dello scorso inverno, ma chi vuole conoscere più da vicino i segreti di un addetto ai lavori non rimarrà deluso.
Come è stato il tuo ultimo giorno di mercato?
“Molto movimentato, abbiamo perso Hernan Perez senza averlo preventivamente messo in conto. Nelle ultime 48 ore abbiamo analizzato tutti i dati sui giocatori che abbiamo monitorato da mesi, e ci sono arrivate anche molte telefonante dagli agenti, alcuni giocatori venivano proposti da due o tre di loro. Finché abbiamo presentato una lista di giocatori alla dirigenza e abbiamo virato su Oliver Torres. Sapevamo che l’Atlético Madrid stava trattando Diego e che perciò lui avrebbe trovato meno spazio, così abbiamo colto al volo l’occasione”.
Puoi definire il ruolo dell’osservatore?
“Io lavoro per trovare il miglior calciatore possibile in rapporto al budget che ho a disposizione. Se il Villarreal mi dice due milioni, non è un centesimo in più. Il nostro presidente (Fernando Roig, nds) gestisce in maniera ineccepibile il club, nonostante la grande mole di lavoro. Fondamentalmente io seguo la Francia, la Serie B spagnola, che è un vero e proprio vivaio, l’Europa League e la Champions League. L’Europa League è la più interessante per noi per motivi di eterogeneità, osserviamo club e giocatori che difficilmente seguiremmo altrimenti”.
Il tuo allenatore ad esempio ti chiede un difensore centrale. Che fai?
“Ho un enorme database nella mia lista di dati. Innanzitutto mi deve dire se vuole un destro, un mancino, quale sia il suo punto di forza: il colpo di testa piuttosto che il recupero, giovane o esperto, rude o elegante. Ci sono mille criteri. E se non ho trovato il giocatore ideale, faccio in modo che siano gli agenti a trovarmeli. Ho più di una dozzina di chiamate al giorno e decido tutto autonomamente, ma poi la scelta definitiva è il direttore sportivo a farla”.
Dici di decidere tutto autonomamente, ma volte subisci pressioni?
“So come funziona.Mi è capitato che degli agenti mi propongano denaro per creare un dossier sui loro giocatori. Non sorprenderti di vedere giocatori mediocri in buone squadre,ma se poi questi non sono all’altezza delle aspettative come mi giustifico? Io rischio di essere licenziato, mentre l’agente continuerà la sua vita tranquillamente. Il calcio è un piccolo mondo, prima o poi tutto viene a galla”.
Quando si osserva un giocatore dal vivo come viene visionato?
“Altri scout si limitano a guardare, ma io prendo molti appunti. Osservo cosa fa il giocatore con la palla e senza la palla, i suoi movimenti, se capisce lo sviluppo dell’azione. Se si tratta di un attaccante boa valuto come lavora ogni singolo pallone, ecc. Ma la cosa più importante è l’intelligenza del giocatore, ogni volta che si muove sul campo non lo fa a caso, è frutto del lavoro fatto durante la settimana. Molto importante: visionare più volte il giocatore, in gare casalinghe e soprattutto nelle trasferte. Se io sono convinto del calciatore, lo torno a vedere in un altro contesto”.
Nella vita di tutti i giorni cosa accade?
“Siamo in tre nel mio ufficio. Quattro televisori sono permanentemente sintonizzati sulle partite. Io di solito visiono i video che mi inviano, approfondisco la mia conoscenza sui giocatori che mi sono segnato, chiamo le mie persone di fiducia nei paesi di riferimento e chiedo loro filmati (in originale ‘mixages’ che dovrebbe corrispondere a compilation video sulle prestazioni del giocatore, nds) – abbiamo un ufficio specializzato in questo –, o mi organizzo il week-end con un paio di viaggi per analizzare in maniera completa i dati su un paio di squadre. Può anche capitare di chiedere consiglio ai miei colleghi che lavorano con me. Perché l’osservatore può fare un errore o due, ma al terzo sei licenziato, è normale. Per questo le mie giornate sono spesso molto lunghe”.
Perché il Villarreal non ha esitato a prendere giocatori ultratrentenni?
“Ogni club ha il suo modo di lavorare. Qui a Vila-real pensiamo che un mix tra vino vecchio e vino giovane possa funzionare. Se ci viene offerto un attaccante di 32 anni, non rifiutiamo a prescindere, se poi segna 8 reti e arriviamo in un piazzamento europeo allora si ricredono anche i più scettici. Smettiamo di credere che un giocatore sia finito a 30 anni, quella che fa la differenza è la sua fame”.
Cosa ne pensi di quello che sta accadendo ai club francesi?
“Alcuni lavorano bene, altri meno. Senza voler offendere nessuno, la maggior parte sono molto meno organizzati che in Inghilterra o in Spagna. Per un club senza potere economico come PSG, Monaco, Barça, Real e cosi via, è necessario ridurre al minimo i rischi. Devi prendere tutte le informazioni che ti servono. Quando trovi un ragazzo di 15 anni che poi esplode, e dicono che sei stato tu a notarlo prima di chiunque altro, è gratificante”.
E’ così che hai scoperto Franck Ribéry?
“All’epoca ero ad Alès e l’allenatore, Renè Marsiglia, cercava un incursore. Io conoscevo Franck da Boulogne (cittadina sullo stretto della Manica, nds), pensavo meritasse una seconda chance ed ero assolutamente convinto delle sue qualità. In quel momento era senza squadra, così organizzammo un’amichevole per vedere i suoi progressi. Era ormai evidente che era pronto per esplodere”.
Prima di arrivare al Villarreal, sei passato per il Liverpool e il Tottenham, tutt’un altro mondo rispetto ad Alès…
“Sì, certo, ho lavorato con Damien Comolli”.
Sai che gode di una pessima reputazione in Francia?
“Provo a spezzare una lancia a suo favore riguardo alcune vicende. Ok, possono esser stati commessi alcuni errori come Andy Carroll (pagato 41 milioni di euro per rimpiazzare Torres a Liverpool, chiuse la stagione con soli 4 reti in campionato, per poi esser girato altrove, nds). Ma anche Barça, Real, Manchester.. tutto il mondo sbaglia! A Liverpool Damien non era l’unico a decidere (si riferisce a Kenny Dalglish, allora tecnico dei Reds). Al Tottenham, c’era lui dietro Gareth Bale e Luka Modrić. Lui prese anche Kaboul, Assou-Ekotto e Berbatov, che ha fatto molto bene e che abbiamo venduto per una fortuna al Manchester United (38 milioni di euro, nds). Per quanto riguarda Liverpool, era convinto che giocatori come Glenn Johnson e Steven Gerrard restassero, cedette Fernando Torres a un prezzo enorme, e non parliamo di Luís Suárez…”.
Come è stato ingaggiato Suárez?
“Non c’è bisogno di fare 50 relazioni di scouting per capire che è un giocatore eccezionale. Damien consultò solo me, doveva agire in fretta perché c’erano molti club su di lui, e a Liverpool è diventato uno dei migliori attaccanti al mondo”.
Altri esempi?
“Conservo ancora i miei database di quando lavoravo in Inghilterra. Di tanto in tanto gli ridò un’occhiata, Canales ad esempio volevamo portarlo agli Spurs, ma la famiglia non era disposta a trasferirsi da Santander a Londra. A Liverpool eravamo vicini a Isco che avevamo seguito per molti anni, ma a favore del Malaga ha influito molto la sua scelta di cuore, lui è andaluso. La sua clausola rescissoria era di 6 milioni, ma noi eravamo sicuri delle qualità del giocatore”.
É più facile lavorare a Liverpool o a Vila-real?
“Sicuramente quando ti presenti e dici “Liverpool” la gente rizza le orecchie, è un club mitico, è stata una macchina da guerra, mentre a Vila-real è il procuratore o la famiglia del giocatore a fare la differenza. Spesso ti imbatti in ottimi agenti, ma di altri non voglio nemmeno starne a parlare. È quello che a volte mi accade, che è lo stesso agente di un giocatore a cui sono interessato a mettermi i bastoni fra le ruote, e in questo caso io mi rivolgo direttamente al calciatore. I procuratori vivono di commissioni pagate dal club, il più delle volte al momento del trasferimento, per un guadagno immediato, soprattutto in tempi di crisi. Ad esempio sondano spesso in Russia dove le commissioni sono maggiori e i loro assistiti vengono valutati molto più che in Spagna.. e spesso riescono a convincerlo, sia lui che la sua famiglia”.
Quando un giocatore non convince “fuori dal campo”, cambiate idea sul suo acquisto?
“Esatto, questo evita molti inconvenienti. Al Villarreal si presta molta attenzione alla “vita del calciatore”, come avviene un po’ dappertutto, o almeno spero.. sapere che tipo è, la sua capacità di imparare un’altra lingua, se ha una vita sana, se è sposato o fidanzato.. se scopriamo che gli piace fare tardi, prima o poi avremo problemi con lui perché lui ne avrà all’interno dello spogliatoio”.
Hai un esempio concreto?
“Non posso fare nomi per non mancare di rispetto. Io preferisco incontrare il giocatore prima di fargli firmare il contratto, cenare con lui e la sua compagna per conoscerlo meglio. Stavo per ingaggiare un giovane quando ero a Liverpool, molto educato, molto fine, sulla carta era perfetto. Ma quando ho iniziato a interrogarlo non ha detto una parola. La sua donna rispondeva per lui. Da quel momento ho detto no. Non aveva abbastanza carattere per imporsi, né dentro né fuori dal campo, e i fatti mi hanno dato ragione, quest’estate è stato acquistato da un grande club ma non gioca mai”.
É più difficile lavorare con giocatori francesi?
“In Francia la funzione d’intermediario non è regolamentata. Molti “controllano” i giocatori e li orientano verso una scelta che non è più sportiva, ma finanziaria. In questo senso è più difficile prendere un giocatore francese che uno messicano,argentino o brasiliano. Peccato, perché qui ci sono diversi buoni giocatori. Tuttavia la loro professionalità a volte lascia molto a desiderare”.
Viceversa, perché pochi giocatori spagnoli vanno in Francia?
“Ci sono molte difficoltà per i calciatori spagnoli. Giusto Arteta ha fatto bene al PSG, e Azpilicueta a Marsiglia seppur abbia faticato parecchio durante la sua prima stagione. Può darsi che i giocatori spagnoli abbiano maggiori difficoltà a livello di spogliatoio, che è molto differente dall’Inghilterra o dalla Germania (presumo si riferisca alle difficoltà culturali che i giocatori mediterranei riscontrano nei paesi anglosassoni, nds). Poi, a livello di gioco, quando hanno il pallone preferiscono costruire la manovra, si sentono a loro agio all’interno di una squadra a cui piace la circolazione del pallone. In Francia invece si gioca un calcio molto verticale. Lo spagnolo si sa adattare alla meraviglia, ma il tipo di calcio che propone in Inghilterra o in Germania probabilmente gli si addice meglio che in Francia. Infine c’è anche un fattore economico, i club francesi difficilmente possono competere i loro vicini europei, salvo PSG e Monaco. Detto questo… Koke o Ander Herrera non sarebbero mali laggiù!”
(foto: offsidemag.fr)