Simeone, lo sgarbo del “Cholo” alla “Signora”

Atletico Madrid Simeone

Diego Pablo Simeone lo aveva dichiarato alla vigilia del match: “Per noi è come una finale. La Juve è una squadra complicata, club che per tradizione, modo di essere e di lavorare incute grande rispetto. Tatticamente non mi aspetto una Juve chiusa e pronta a ripartire perché questa non è una squadra che fa contropiede. Piuttosto ti pressa altissimo per recuperare la palla e darla rapidamente a Tevez e Llorente, due che si trovano bene vicino all’area”.

E così è stato, con l’Atlético di Madrid a fare i lanci lunghi affidandosi alle rapide ripartenze, mentre la Juventus dominava nel possesso palla.

Il grande rispetto di Simeone per la Juve non era di certo timore.
Quando si trova di fronte squadre ricche, blasonate e temute, “El Cholo” Simeone si trasforma. Dentro di lui vive un’anima da outsider, che dà tutto quello che ha con i mezzi (spesso pochi) che ha. Non può farci nulla, lui deve stupire.
E tutte le volte che infilza la “Signora” bianconera, gode. L’aveva battuta già quando era l’allenatore del Catania ed ora ci riesce nuovamente con l’Atlético: 1-0 il risultato finale grazie ad una rete di Arda Turan.
Questa era una partita da dentro-fuori dopo il passo falso in Grecia contro l’Olympiakos e Simeone, in partite di questo genere, si esalta caricando i suoi ragazzi a mille.
“E’ stata una partita dura, tatticamente chiusa, dove lo spettacolo di certo non ha brillato”  ha dichiarato a fine gara l’allenatore argentino.

Nelle sue squadre, i calciatori devono lasciare tutto in campo perché lui era un combattente vero e le sue squadre non possono essere da meno. Vuole uomini veri, quelli con gli attributi, li stessi che mostrò poco educatamente quel 1° aprile del 2000, quasi fossero un pesce d’aprile.
Quella volta, su un delizioso cross del connazionale Veròn, aveva trovato l’incornata vincente che aveva permesso alla sua Lazio di battere la Juve in casa.
E da uomo vero aveva fatto il suo dovere fino in fondo anche in quel sciagurato 5 maggio del 2002, quando sempre un suo gol di testa aveva condannato l’amata Inter alla sconfitta, consegnando lo scudetto proprio agli juventini.
L’inesorabile legge dello sport.