Real Madrid-Atlético Madrid 1-2: i colchoneros scrivono la storia espugnando di nuovo il Bernabéu

Tiago Mendes Atlético Madrid

L’Atlético Madrid espugna per il secondo anno consecutivo il Santiago Bernabéu in campionato, si tratta di un’impresa visto che è la prima volta ad esserci riuscito in 111 anni di storia. Anzi, fino a poco tempo fa sembrava fantascienza anche solo pensare di vincere la stracittadina nel proprio fortino. Con l’arrivo di Diego Pablo Simeone si è interrotta una striscia di delusioni lunga tredici anni, ma adesso i colchoneros dettano legge con regolarità: è infatti l’ottavo derby madrileno consecutivo in cui esce imbattuto in gare di Liga. Numeri ancora più assordanti se si pensa che i dirimpettai sono il club più ricco, famoso e celebrato di sempre.

Basta leggere l’undici schierato da Carlo Ancelotti per farsi un’idea. Tra i pali c’è Casillas, che dopo 23 derby perde l’imbattibilità personale nella stracittadina; in difesa Arbeloa, Pepe, Sergio Ramos, Fabio Coentrão; dalla metacampo in su ci sono sei pedoni che corrispondono ai nomi di Kroos, Modrić, James Rodríguez, Bale, Cristiano Ronaldo e Benzema. Più che un 4-2-3-1 in campo si dispongono come un banale 4-4-2 con il colombiano a sinistra e il gallese a destra. Speculare la formazione di Germán Burgos, che sostituisce Diego Pablo Simeone, con Tago e Gabi in mediana, Koke e Raúl García esterni, e la coppia Mandžukić-Raúl Jiménez davanti. Eppure bastano meno di dieci giri di lancette ai colchoneros per portarsi in vantaggio, ovvero il tempo di guadagnarsi un calcio d’angolo, che da queste parti vale quanto un rigore. Koke batte e Tiago segna. Numeri alla mano è l’undicesimo gol su gioco aereo dell’Atleti degli ultimi quattordici messi a segno in campionato, terrificante. Ma forse non è un caso che il Real Madrid abbia invece incassato sette degli ultimi quindici su palla inattiva. L’arte di saper premere sui punti deboli avversari.

L'esultanza di CR7
L’esultanza di CR7

Poi ci pensa Sua Maestà Ronaldo a rimettere le cose in parità. Basta lasciargli un uno contro uno in novanta minuti e lui ti purga: Siqueira lo stende in area con grande ingenuità, lui s’incarica del calcio di rigore e lo trasforma. Non è un caso che sia il dodicesimo gol casalingo consecutivo in campionato (solo il leggendario Pahiño seppe raggiungere una striscia simile con questa maglietta a cavallo tra gli anni ’40 e ’50). Sì, perché per molti il calcio è solo episodi, oggi hai vinto perché ti è andata bene, domani hai perso per colpa di uno stupido episodio, ma la verità è che gli episodi accadono quando gli uomini trascurano dettagli che permettono la loro realizzazione. E il “Mono” Burgos lo sa. Lui sa che significa vestire questa maglia e subire le angherie di un vicino di casa più ricco, più forte, più fortunato. Per questo segue Simeone dai tempi di Catania, perché crede nella forza di volontà, crede negli uomini, più che nel caso, più che nell’episodio.

É il 20 gennaio 2003 quando dimostrò che chi non ha paura è destinato a farcela. Si giocava Real Madrid-Atlético Madrid, forse il derby madrileno più simile a quello di stasera della storia recente. I colchoneros si erano imposti al Bernabéu l’ultima volta che ci avevano giocato in Liga, dopo nove anni di umiliazioni, e ora erano chiamati alla conferma, ma i Galacticos sono già avanti 2-1, doppietta di Luis Figo. Il secondo gol l’aveva trasformato dal dischetto, Burgos aveva provato a innervosirlo dicendogli se si sarebbe buttato a destra. Il portoghese fintò di tirare proprio dove lui si buttò, ma realizzò tirando nell’altro angolo. Ma adesso l’arbitro ha appena assegnato un altro rigore alle merengues, e Burgos ci riprova, gli tira lo stesso colpo. Stavolta Figo cambia angolo, el Mono no, ma non vede comunque la palla che gli colpisce il naso e rimbalza lontano dalla linea. Continuerà a giocare con due vistosi pezzi di cotone nelle narici per arrestare l’emorragia interna, all’ultimo minuto Albertini segnerà il gol del pareggio e l’Atleti uscirà di nuovo imbattuto dal Coliseo blanco.

Adesso tocca a lui sbrogliare la situazione, un’altra volta, deve buttarsi e indovinare la direzione vincente. La partita è arrivata a un punto di stallo. La sua squadra è molto compatta, gioca idealmente in un quadrato di venti metri per venti, non concede spazi se non le fasce laterali dove sa recuperare palla meglio di qualsiasi altra squadra al mondo. Il Real Madrid controlla la gara ma non riesce a creare occasioni importanti, se non un paio di chance sciupate da Benzema sull’ondata di entusiasmo del gol del pareggio. Così Germán Burgos leva il mediano Gabi e mette una mezza punta: Arda Turan, arretrando Koke. Carlo Ancelotti risponde inserendo Javier Hernández e Isco, ma la carta vincente è quella dell’argentino. Il fantasista turco ridà intensità e linfa alla sua squadra, l’Atletico osa, alza il baricentro, rinuncia alla compattezza difensiva consapevole della propria forza. Le squadre di spezzano in due tronconi, ma se i colchoneros sanno abbozzare un meccanismo difensivo continuo, non si può dire lo stesso dei blancos. Juanfran aggredisce la fascia destra e gli viene concesso lo spazio per il traversone, ne viene fuori un passaggio rasoterra verso il limite dell’area, la difesa di Ancelotti si schiaccia sul primo palo mentre lo schermo del centrocampo è in pezzi: Arda Turan sprigiona un diagonale sul secondo palo che sancisce la vittoria finale.

L'ingresso di Arda Turan ha cambiato la partita
L’ingresso di Arda Turan ha cambiato la partita

Il “Mono” è tornato eroe nello stadio più temuto di Spagna, ancora una volta, ancora nel suo modo. Il suo Atlético non ha la garra e l’intensità di quello di Simeone, ha più la cattiveria e la brutalità del suo nuovo condottiero. Non domina gli avversari, non è una macchina perfetta, preferisce subire il rivale e dimostrare la propria forza incassando i colpi senza fare una smorfia, per poi affondare il colpo di grazia. Come fece quando gli diagnosticarono il cancro al rene e pretese di rinviare l’operazione a lunedì perché domenica doveva giocare. Così fa, e così l’Atlético scrive la storia nello stadio inviolabile. Vince e affossa un Real Madrid privo di giustificazioni: dopo due giornate dista già sei lunghezze dal Barcellona, avendo la peggior difesa del campionato e soli tre miseri punti. Non ha mai vinto il titolo nazionale con un avvio così spaventoso. In tutta la storia della massima serie spagnola ci sono riusciti solo il Barcellona per due volte (1928/29 e 1973/74), l’Athletic Bilbao (1930/31) e il Valencia (1970/71), e comunque solamente in due occasioni nel dopoguerra. La stagione è appena incominciata, e nulla è precluso, ma adesso il Real Madrid, come nella passata stagione, dovrà disputare un girone d’andata all’inseguimento, con la pressione di chi sa che non può più sbagliare.

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Mi chiamo Mihai Vidroiu, ma per tutti sono semplicemente Michele, sono cresciuto a Roma, sponda giallorossa. Ho inoltre una passione smodata per il Villarreal, di cui credo di poter definirmi il maggior esperto in Italia, e più in generale per il calcio, oltre ad altri mille interessi.