“Chi è quell’uomo che potrebbe credere che esistono i figli degli dei e non esistono gli dei?”
Socrate
Sinuoso, elegante, rapido, potente. Attribuire questi pochi aggettivi a Marco Van Basten (classe 1964) è pressoché riduttivo. In ogni caso l’attributo più calzante che si possa assegnare alla sua immensa persona è senza dubbio quello di essere stato il più grande giocatore olandese assieme a Cruijff. Nato ad Utrecht, già da piccolo, incoraggiato dal padre ex giocatore, inizia a frequentare i campetti giovanili delle squadre locali prima di esordire a soli 18 anni nelle file dei lancieri dell’Ajax in una gara contro il NEC. Subentrato al profeta del gol Cruijff, ormai a fine carriera, realizza il suo primo gol in Eredivisie, il primo di una lunghissima serie che lo consacreranno attaccante di una modernità sconcertante. Nei 6 anni passati con i bianco-rossi Marco (Marcel all’anagrafe) vince tutto in patria: 3 campionati, quelli del ’82, ’83 ed ’85 e due Coppe d’Olanda (la prima nel ’83 contro il NEC, la seconda nel ’86 contro il RBC). Segna una media di 20 gol a campionato raggiungendo picchi elevatissimi come il 1986 quando realizza 37 reti e vince di fatto la Scarpa d’Oro. In Olanda ormai è già un giovane campione. Gli manca solo il primo successo internazionale che arriva l’anno successivo, nel 1987. Sotto le redini di Cruijff e con ottimi compagni di squadra quali Rijkaard ed un giovane Bergkamp, l’Ajax conquista ad Atene la Coppa delle Coppe battendo, grazie ad un gol di Marco, il Lokomotive Lipsia. E’ l’ultima stagione coi Lancieri. Infatti è il Milan a chiamarlo di peso sotto il suo indiavolato forcone. Sarà lo storico Milan di Sacchi a fare di Van Basten uno dei più grandi attaccanti di tutti i tempi. Ma proprio con i rossoneri, inizia il calvario del Cigno di Utrecht, come lo chiamano tutti.
Una fragile caviglia lo costringe alle prime operazioni (saranno quattro in totale) e a molte giornate di stop fra campionato e coppe. Ma quando gioca Marco si sente, eccome. Al primo anno in Italia Van Basten, dopo un lungo riposo per l’operazione, entra proprio quando il campionato è agli sgoccioli e grazie al suo gol contro il Napoli il Milan supera i partenopei primi in classifica e raggiunge il suo 11° scudetto nello sprint finale delle ultime giornate. Rinus Michels, allenatore della grande Ajax del calcio totale ed in quel periodo c.t. dell’Olanda, lo convoca per gli europei di Germania Ovest 1988. Una squadra straordinaria quella orange. Oltre alla bellezza di gioco di Marco ci sono lo straordinario Gullit, suo compagno di squadra, Rijkaard (che l’anno dopo passerà ai rossoneri) e Koeman. Superato il girone iniziale e battuti i tedeschi in semifinale per 2-1 grazie anche ad un gol di Marco, l’Olanda di Michels va a giocarsi la finalissima di Monaco contro l’Urss. Gullit contribuisce al vantaggio iniziale e poi, un leggendario, straordinario e memorabile gol da posizione impossibile di Van Basten chiude i conti. L’Olanda è campione d’Europa e Marco capocannoniere della competizione con 5 gol. La FIFA non ha dubbi, è lui il degno vincitore del Pallone d’Oro ’88. La caviglia continua a dolergli ma non fa nulla. Van Basten è un rullo compressore, una “macchina da gol” come dirà Maradona. Nel 1989, in una squadra da urlo con una difesa irripetibile formata da Baresi, Costacurta, Maldini e Tassotti, un centrocampo fisico con punte di spicco quali Donadoni e Rijkaard ed un reparto offensivo scioccante (lo stesso Van Basten più Gullitt) Marco vince anche la tanto sognata Coppa Campioni.
Dopo un clamoroso 5-0 a San Siro in semifinale contro il Real Madrid, i rossoneri a Nou Camp incontrano la Steaua Bucarest che tanto fece impazzire il Barcellona ai calci di rigore nella finale di Siviglia del ’86 con un grande Ducadam. Ma questa volta non c’è storia, una doppietta micidiale di Gullit ed una di Van Basten sigillano un secco 4-0 e la vittoria finale. Dopo 20 anni il Milan è ancora campione d’europa e lo sarà anche del mondo con l’Intercontinentale vinta a Tokyo grazie ad una rete in extremis nei tempi supplementari di Evani contro il Nacional Medellin di Higuita ed Escobar dopo un altro successo in Italia con la Supercoppa Italiana vinta ai danni della Sampdoria e una Supercoppa UEFA dopo aver battuto il Barcellona di Cruijff. Ciliegina sulla torta il secondo Pallone d’Oro per Marco. Sono anni straordinari quelli del cigno che non smette di far sognare i tifosi del Milan. Dribbling, tiri da fuori area, assist incredibili portano Sacchi l’anno successivo ad un secondo trionfo a Vienna in Coppa Campioni, questa volta grazie ad una segnatura in contropiede di Rijkaard contro il Benfica di Eriksson. In estate si aprono i mondiali di Italia ’90 ma l’Olanda, pur avendo campioni al suo interno, non è quella spumeggiante degli europei ed esce già agli ottavi battuti 2-1 dalla futura campione Germania. Poi un’altra Supercoppa UEFA contro la Sampdoria vincitrice della Coppa delle Coppe e a dicembre in Giappone la Coppa Intercontinentale contro l’Olimpia Asuncion. In Serie A segna a non finire. Dopo una stagione senza successi, dal 1992, con l’arrivo in panchina di Capello, inizia il dominio rossonero in campionato.
Il 12° scudetto vinto senza mai essere stati sconfitti è, fino a quel momento, un record per i rossoneri e per la serie A (raggiunti solo dalla Juventus di Conte 20 anni dopo, nel 2012). Marco realizza 25 gol ed è il bomber assoluto della stagione. In estate un altro trofeo, la Supercoppa Italiana (2-1 al Parma di Scala) e a fine anno il terzo Pallone d’Oro, tre come il suo mito Cruijff, come Platini e come Messi. Il 1993 è un anno storico per la carriera del cigno. Storico per la sua tristezza ma anche per una venerazione nei confronti di un giocatore che mai avrà fine. Giunge infatti un altro campionato, il suo terzo in Italia, e a maggio una finale di Coppa Campioni persa malamente con il Marsiglia ma sarà il suo ultimo canto. In estate la quarta operazione alla caviglia sancisce di fatto la fine della sua carriera calcistica, a soli 28 anni. Il mondo piange il ritiro di una delle più grandi personalità sportive di tutti i tempi. Senza mai giocare nei 2 anni successivi, Marco conclude la sua professione di attaccante nel 1995. E’ un addio amaro ma sormontato da una infinità di grazie. “Il calcio ha perso il suo Leonardo Da Vinci” dirà il delegato del Milan Galliani e il grande attore e regista teatrale Carmelo Bene, tifoso rossonero, sosterrà in una intervista che “Il lutto per il suo ritiro mai si estinguerà”. 10 anni dopo inizia la sua carriera di allenatore nella panchina della nazionale olandese dove però fallisce nei Mondiali 2006 uscendo agli ottavi di finale contro il Portogallo e all’Europeo del 2008 con la Russia in semifinale. Ma Marco Van Basten non può perdere.
Il cigno di Utrecht ce lo ricordiamo vincente, imponente e danzante come un ballerino russo o un cigno di Cakovskij. Marco sta al calcio come “Revolver” dei Beatles sta alla musica o “Delitto e Castigo” di Dostoevskij sta alla letteratura. Fondamentale.