“Una maschera ci dice di più di una faccia”.
O. Wilde
Tra li scaffali di una libreria lombarda, in un qualunque pomeriggio di un qualunque giorno, mi cade l’occhio su una commedia di Carlo Goldoni, “Arlecchino servitore di due padroni” e chi mi viene in mente? Jorge Campos, sì proprio lui, il più famoso portiere messicano di tutti i tempi molto prima di questo Ochoa che ha fatto impazzire Neymar e soci in una delle gare iniziali di questi caldi Mondiali brasiliani. Campos, classe 1966, soprannominato dalla stampa messicana El Brody, nacque ad Acapulco e in breve tempo sperimentò una valanga di sport: calcio, baseball, basket e, in particolare, surf. Ma fu il calcio la sua vera passione e cominciò a giocare come portiere nelle file bluoro del Pumas, club di Città del Messico, alternandosi al portiere titolare Rios. No, non nel senso che giocava uno e l’altro stava in panchina come riserva ma nel senso che Jorge a volte lasciava il suo ruolo di portiere a Rios e si metteva in area come attaccante a segnare gol. Sì beh insomma, un portiere che faceva anche la punta, una punta che stava anche tra i pali. Impensabile, no? E invece il nostro Jorge sapeva far entrare la palla in rete come sapeva anche farla non entrare. Un capogiro tattico unico nel mondo del calcio. Ma perché l’Arlecchino goldoniano, come la madaleine di Proust mi ha fatto associare la carnascialesca figura ad un ricordo di gioventù, in questo caso con il giocatore messicano?
Campos, dovete sapere, era solito disegnare e colorare le maglie che indossava in campo, proprio come un supereroe che si appresta a completare a mano la sua armatura. Colori sgargianti facevano di Jorge una specie di catarifrangente umano, un uomo carnevale che attirava l’attenzione del pubblico come un orso sul miele. E il Ricardo Espadas di Holly e Benji avrà sicuramente pagato il copyright al messicano. Con i “puma” inizia il suo ciclo nel 1988 e l’anno dopo conquistò la CONCACAF (la Coppa Campioni nordamericana) battendo i cubani del Pinar del Rio nella doppia finale del torneo: 1-1 all’andata e 3-1 al ritorno con gol indovinate di chi, beh di Jorge. Nel 1991 Campos e compagni vinsero anche la Primera Division messicana. Ma è con la nazionale che Campos avrà enormi soddisfazioni. Dopo la Copa America in Ecuador nel 1993, persa malamente in finale contro l’Argentina 2-1 grazie ad una doppietta killer di Batistuta, vinse una Gold Cup, quella di USA-Messico nello stesso anno con il 4-0 in finale contro gli USA. Lui, Ramirez e soprattutto Hugo Sanchez, straordinario giocatore che vinse molto con i blancos a Madrid, formavano una spina dorsale solida in quella nazionale, divenendo in pochi anni la squadra più forte del Nord e Centro America.
Nel frattempo a livello di club Campos iniziò a fare il ramingo: dopo i Pumas passo ai messicani dell’Atlante poi negli Stati Uniti a vestire le maglie del Galaxy e degli Chicago Fire, altro approdo felice dopo i bluoro per Jorge dove alzerà i titoli del campionato nord-americano (la Major League Soccer) e l’Open Cup (più o meno la nostra Coppa Italia). Intanto nel ’94 arrivò di prepotenza il mondiale di USA ’94 (Gli Stati Uniti in quegli anni organizzarono un bel po’ di eventi calcistici). Fu il momento di gloria (visiva più che altro per via delle sue maglie) di Jorge. Tutto il mondo vedeva un arlecchino in campo, questa volta rigorosamente fra i pali. Blatter, presidente della FIFA, decise che Campos avesse dovuto ricoprire un solo ruolo. Basta portiere-attaccante. Aut-aut, o questo o quello. Campos, a malincuore optò per stare in porta (e restarci!). Dirà poi, in una intervista “Non capisco che cosa significhino le dichiarazioni di Blatter. Se io sono in grado di giocare in due ruoli, è un vantaggio che il mio allenatore, se lo ritiene opportuno, ha tutto il diritto di sfruttare.
Certo, in tutto il Mondiale, mi piacerebbe giocare almeno un quarto d’ora da attaccante. Sarebbe una soddisfazione personale” . Jorge fa show negli Stati Uniti, le sue maglie che avrebbero fatto invidia ad un arcobaleno, accecavano, più o meno, gli attaccanti avversari. Il Messico riuscì a passare il girone per il rotto della cuffia, dopo un incredibile pareggio con l’Italia di Sacchi. Agli ottavi però l’ottima Bulgaria di Stoichkov fermerà l’avventura di Campos e compagni ai rigori. Due anni dopo, sotto la guida del grande Milutinovic, il Messico conquisterà una seconda Gold Cup grazie ad un 2-0 finale al Brasile con uno scatenato attaccante, Blanco. E proprio Blanco porterà un po’ di spettacolo nelle file messicane durante i mondiali di Francia ’98. Sì perché Jorge non potè più portare, come da regolamento, le sue super maglie e così Arlecchino fece spazio alle giocate di Blanco, con quella sua Cuauhtemiña (saltare l’uomo con la palla stretta fra i piedi, come un canguro o un uomo dentro ad un sacco durante una gara estiva da boy scout) che tanto fece brillare gli occhi del pubblico. Anche in quella edizione il Messico si fermerà agli ottavi, questa volta contro la Germania di Bierhoff.
Dopo la parentesi americana Campos tornò nel 1998 nel suo amato Pumas ma solo per una stagione, proprio nell’anno (il 1999) nel quale Jorge vince ancora, sempre col Messico, questa volta la Confederation Cup contro il Brasile di Rivaldo (4-3 il risultato finale). Il Puebla l’ultimo suo porto calcistico nell’anno 2002-2003, anno in cui decise di fermarsi de finitamente per aprire una catena di fast food e lavorare successivamente come commentatore sportivo a Città del Messico, la sua patria calcistica, quella che l’ha iniziato nel suo leggendario percorso. Parate scatenate come portiere, incursioni fulminee in area come attaccante, fumettistico e fosforescente per le sue vesti color fruits, Jorge Campos rimane ancora oggi il più importante portiere della storia del Messico. Chissà se Ochoa sarà il suo degno erede, carnevale permettendo.